Esteri

Stop USAID e Onu: ecco quanti sopravvivono grazie ai fondi Usa

Il mondo sta scoprendo una realtà per troppo tempo sottaciuta e ignorata: centinaia di milioni di persone beneficiano dei fondi Usa. Che meriterebbero parecchi “grazie”

Usaid (Nbc)

“Rivalutare e riallineare gli aiuti esteri degli Stati Uniti” è stato uno dei primi ordini esecutivi del presidente Donald Trump, firmato poche ore dopo il suo insediamento. Ha sospeso con effetto immediato l’assunzione di impegni con e l’erogazione di fondi a Paesi stranieri e a organizzazioni non governative per 90 giorni al fine di verificare, caso per caso, se i programmi di assistenza estera attualmente finanziati sono allineati con gli interessi americani e se ne rispettano i valori.

Al termine della verifica si deciderà quali programmi continuare, modificare o interrompere. Nel mirino degli ispettori è finita anche l’USAID, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale, il principale organo governativo preposto alla gestione degli aiuti internazionali, che da sola provvede alla assegnazione di 40 dei quasi 70 miliardi di dollari che Washington stanzia ogni anno per la cooperazione.

Una gestione allegra

L’USAID è stata fondata negli anni 60 del secolo scorso per gestire i programmi di aiuti umanitari del governo americano. Ha circa 10 mila dipendenti, tre quarti dei quali distaccati all’estero, ha sedi in oltre 60 Paesi ed è operativa in molti altri. Gran parte delle sue iniziative sono affidate ad altre organizzazioni che l’USAID ingaggia e finanzia. Principalmente si tratta di aiuti umanitari, ma la gamma delle sue attività è molto vasta.

È da tempo che si denuncia una gestione disinvolta e persino impropria dei fondi a sua disposizione, destinati spesso a progetti incompatibili con le direttive dell’amministrazione Usa. Per evitare che accada di nuovo, il presidente Trump intende annettere l’Agenzia al Dipartimento di Stato, l’organo responsabile della politica estera attualmente affidato al segretario Marco Rubio.

Africa il continente più colpito

Gli effetti della sospensione della cooperazione internazionale Usa sono stati evidenti nel giro di pochi giorni. “Ci hanno detto di fermare tutto, anche le attività in corso – spiegava all’agenzia di stampa Reuters a fine gennaio il direttore dell’Organizzazione per il servizio sociale, la sanità e lo sviluppo, Yirga Gebregziabher – non sappiamo neanche se potremo pagare gli stipendi di febbraio”.

La sua ong distribuisce in Etiopia aiuti alimentari e medicinali per la cura dell’Aids a oltre 30.000 persone nella regione del Tigré che ancora non si è ripresa dalle conseguenze della devastante guerra del 2020-2022. In Zimbabwe, ZNNP+, la rete nazionale per le persone affette da HIV, si prepara all’eventualità di dover ridurre l’accesso ai servizi essenziali con conseguenze sia in termini di prevenzione che di cura.

Nella Repubblica democratica del Congo, dove lo scorso anno il 70 per cento delle operazioni umanitarie dalle quali dipende tanta parte dell’assistenza alla popolazione sono state finanziate dagli Stati Uniti, sono a rischio non solo la gestione ordinaria dei progetti umanitari, ma anche la campagna di vaccinazione contro l’epidemia di mpox scoppiata nel 2022. Nel Sudan in guerra da quasi due anni la sospensione degli aiuti Usa lascia milioni di persone senza difese contro le epidemie di colera, malaria, morbillo.

L’impatto su altri Paesi

L’Africa è il continente più colpito dalla sospensione degli aiuti, ma situazioni critiche si registrano in tutto il mondo. Ad Haiti, ad esempio, generi alimentari per 340 milioni di dollari aspettano di ricevere dagli Usa l’autorizzazione a essere distribuiti. In Pakistan è in forse il programma avviato nel 2023 per aiutare il Paese a combattere la tubercolosi di cui si registrano più di 600.000 nuovi casi all’anno. A rischio sono le circa 1.500 famiglie assistite ogni mese. Inoltre centinaia di dipendenti potrebbero perdere il lavoro.

In Colombia se verranno meno le risorse fornite dagli Stati Uniti tramite l’USAID la Chiesa cattolica non sarà più in grado di provvedere a 15.000 persone assistite in nove giurisdizioni ecclesiastiche. In Bangladesh preoccupa l’interruzione degli aiuti alimentari dell’USAID ai quasi 700.000 rifugiati Rohingya, fuggiti dal Myanmar e ospitati dal 2017 al Cox’s Bazar, il più grande campo profughi del mondo.

L’uscita da OMS e agenzie Onu

Quelli USAID sono progetti realizzati nell’ambito della cooperazione Usa bilaterale. Ma non sono i soli che rischiano di essere, se non sospesi, ridimensionati. Gli Stati Uniti infatti sono i maggiori finanziatori, e di gran lunga, dell’agenzie umanitarie dell’Onu.

L’annunciata decisione di uscire dall’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, priva l’agenzia di oltre il 14 per cento dei suoi fondi, tanti erano quelli versati da Washington. Tra le motivazioni per l’uscita dall’Oms ci sono la pessima gestione della pandemia di Covid-19 e di altre crisi sanitarie globali, il fallimento nel realizzare riforme ritenute urgenti e la mancanza di indipendenza da indebite influenze politiche esercitate dagli Stati membri, prima fra tutte la Cina ovviamente.

Trump potrebbe decidere di sospendere il finanziamento ad altre agenzie Onu con conseguenze disastrose. L’Alto commissariato Onu per i rifugiati, ad esempio, che ha un bilancio di quasi 11 miliardi di dollari, nel 2024 ha ricevuto dagli Usa più di due miliardi. Il secondo maggior finanziatore è stata la Germania, con 332 milioni, seguita dall’Unione europea con 270 milioni.

Se mai venissero meno i fondi americani, ne risentirebbe l’assistenza a 100 milioni di sfollati e rifugiati che sono sotto mandato dell’Alto commissariato.

Una eventuale riduzione degli aiuti Usa alla lotta contro l’Aids avrebbe conseguenze devastanti. A dirlo è l’Unaids, il programma Onu per l’Hiv/Aids. In un comunicato del 15 febbraio, ricordando che gli Stati Uniti hanno investito finora 100 miliardi di dollari e che il 73 per cento dei finanziamenti a disposizione in tutto il mondo contro l’Aids sono americani, l’Unaids si è detto solidale con i leader internazionali che chiedono agli Stati Uniti di continuare a finanziare la risposta mondiale all’Aids per evitare che decenni di progressi siano vanificati.

La sospensione di 90 giorni avrebbe tra l’altro interrotto l’attività di Brilliant, un progetto per la realizzazione di un vaccino contro l’Hiv che fa capo a una equipe sudafricana ed è interamente finanziato dall’USAID.

L’Unione Africana aveva subito chiesto a Trump di ritornare sulla sua decisione di uscire dall’Oms ricordandogli che “per 70 anni gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo fondamentale nel dare forma agli strumenti dell’Oms e alle norme di benessere e salute pubblica”. Adesso si unisce alle proteste dei governi africani, tra i più in ansia per il risultato delle verifiche in corso. Trovare chi voglia e possa sostituirsi agli Stati Uniti non sarebbe facile. L’Unione europea ha già fatto sapere di non essere in grado di farlo.

Il “grazie” che manca

Dunque, il mondo sta scoprendo, cosa finora dimenticata, sottaciuta, ignorata, che decine, anzi centinaia di milioni di persone beneficiano di un infinito numero di progetti finanziati dagli Stati Uniti. Improvvisamente ci si è resi conto che gli Stati Uniti sono il principale e maggiore erogatore di aiuti umanitari, assistenza e cooperazione in tutto il pianeta.

Marco Rubio in realtà ha assicurato che, in deroga alle disposizioni generali e ferma restando la decisione di valutare gli investimenti nell’ambito della cooperazione internazionale in funzione delle linee politiche dell’amministrazione Trump, gli Stati Uniti tengono conto dell’esistenza di situazioni che non possono essere private di assistenza.

Programmi salva-vita non sono stati e non saranno sospesi mentre sono in corso le verifiche. È presumibile inoltre che gran parte delle iniziative umanitarie alla fine saranno approvate, eventualmente ponendo condizioni rigorose. Gli Stati Uniti continueranno a salvare l’umanità sofferente, abbandonata al suo destino da governi irresponsabili. Meriterebbero almeno un riconoscimento, un “grazie” che finora è stato loro negato.