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Sudafrica: ecco il vero motivo del crollo di consensi del partito di Mandela

Più che il disastroso bilancio (disoccupazione, primato mondiale di omicidi, corruzione incontrastata), il nuovo partito di Jacob Zuma. Ora difficile coalizione di governo

Jacob Zuma (Skynews) Jacob Zuma dopo le elezioni

Il 29 maggio in Sudafrica si è votato per rinnovare l’Assemblea Nazionale, la camera bassa del parlamento alla quale spetta il compito di eleggere il capo dello Stato. Dalla fine dell’apartheid nel 1994 l’ANC, African National Congress, il partito di Nelson Mandela, ha sempre ottenuto più del 50% dei voti assicurandosi la maggioranza dei 400 seggi dell’Assemblea. Alle ultime elezioni, nel 2019, con il 57% delle preferenze ne aveva conquistati 230. Quest’anno invece, pur confermandosi il primo partito, ha raggiunto appena il 40%, 17 punti percentuali in meno, e disporrà soltanto di 159 seggi nella nuova legislatura. Per la prima volta quindi l’ANC per eleggere il capo dello stato e formare un governo dovrà coalizzarsi con altri partiti.

Bilancio negativo

Che il partito stesse perdendo consenso si era capito, anche se i suoi leader avevano ipotizzato come risultato peggiore di scendere al 45%. Il motivo era chiaro. Il bilancio dei 30 anni trascorsi dalla fine del regime di apartheid non è affatto positivo. Il Sudafrica è la seconda economia del continente africano, dal 2010 fa parte dei Brics, l’organismo che riunisce i Paesi emergenti (gli altri sono Brasile, Russia, India e Cina).

Tuttavia registra uno dei tassi di disoccupazione più alti del mondo, salito in 30 anni dal 22% al 33%. Un terzo dei suoi 62 milioni di abitanti ricorre all’assistenza pubblica e privata per sopravvivere. Quella dei giovani è la situazione peggiore. Il 60% vive al di sotto della soglia di povertà. Solo il 56% dei sudafricani di età compresa tra 15 e 34 anni ha una occupazione, il 44% non soltanto non lavora, ma non va a scuola e non risulta neanche impegnato in corsi di formazione e di avviamento al lavoro. Se si considera che i giovani costituiscono il 63,3% della popolazione si capisce come mai la mancanza di lavoro, che è sempre un fattore di instabilità, in Sudafrica venga considerata una “bomba ad orologeria”.

Altro fattore che pesa sulla vita dei sudafricani, neri e bianchi, è l’estrema insicurezza. Il Sudafrica detiene il primato mondiale degli omicidi. Nell’ultimo trimestre del 2023 sono state uccise in media 80 persone al giorno, circa una ogni 20 minuti. Nell’arco dell’anno gli omicidi sono stati più di 27.000 e solo nel 12% dei casi i responsabili sono stati individuati. Farla franca se si uccide qualcuno è diventato la norma e questo vale anche per altri reati e crimini. In media gli stupri, quelli denunciati, sono 130 al giorno.

Infine in questi anni dominati dall’ANC la corruzione ha dilagato devastante, incontrastata, persino ostentata, contaminando ogni aspetto della vita pubblica e privata, ogni settore, a ogni livello sociale. Per fare un esempio, nel 2022 si è scoperto causalmente che l’attuale presidente, Cyril Ramaphosa, aveva nascosto nel divano di una stanza di casa sua poco utilizzata 580.000 dollari non dichiarati al fisco.

Sarebbe dunque un fatto molto positivo, segno di una volontà di cambiamento, se tanti sudafricani avessero deciso di dimostrare il loro disappunto per le promesse tradite, per le speranze deluse decidendo di non votare più il partito che ha la responsabilità maggiore della difficile situazione in cui oggi versa il Paese. Così hanno interpretato l’esito del voto molti osservatori. Il quotidiano La Repubblica ha commentato l’evento storico con un articolo intitolato “ANC sconfitto da corruzione e povertà: così crolla il partito di Mandela”; e il Corriere della sera: “Perché il Sudafrica non ama più il partito di Mandela: chiedetelo a chi ha meno di 40 anni”.

La vera causa del crollo di voti

Ma l’analisi dei risultati elettorali rivela che non è andata così. La causa decisiva del crollo dell’ANC è stata infatti la discesa in campo di Jacob Zuma, ex leader del partito, presidente dal 2009 al 2018, oggi capo di un nuovo schieramento fondato lo scorso dicembre: l’uMkhonto we Sizwe, la “Lancia della Nazione” in lingua Zulu, noto con la sigla MK. Ha ottenuto il 15% dei voti, molti dei quali provenienti dal Kwa Zulu, la provincia di origine di Zuma, e avrà 58 seggi all’Assemblea Nazionale.

Zuma durante la campagna elettorale ha accusato l’ANC di aver abbandonato le proprie radici e ha detto che la sua missione è “salvare il movimento che è stato grande un tempo”. Sembrerebbe un buon proposito, se non fosse che nel 2018 è stato costretto dal suo partito a dimettersi da capo dello Stato: perché responsabile della crisi economica in cui il Paese è sprofondato durante gli anni del suo mandato e più ancora per l’entità degli scandali legati alla corruzione, eccessivi persino in un Paese come il Sudafrica in cui la corruzione è diventata “stile di vita”, come dicono in Nigeria.

Con Zuma toccato il fondo

Con lui però si è toccato il fondo. Senza ritegno, ha sottratto denaro alle casse statali per uso personale. Uno degli scandali più clamorosi è stato quello dei 16 milioni di dollari, tutto denaro pubblico, usati per ampliare e abbellire una proprietà di famiglia pretendendo di farne una residenza sicura e accogliente per capi di stato in visita ufficiale.

Peggio ancora, un rapporto dettagliato ha rivelato nel 2016 che Zuma aveva consentito a una potente famiglia di origine africana, i Gupta, di interferire nella vita politica e di disporre delle istituzioni pubbliche al punto da poter nominare delle persone fidate a cariche politiche elevate e a posizioni chiave, ostacolare le forze dell’ordine, aggirare il parlamento indebolendone le funzioni e controllare i mass media.

Una tale appropriazione dell’intera struttura statale da parte di privati è stata chiamata “State capture”, sequestro dello stato. Nel 2021, per essersi rifiutato di comparire davanti ai giudici in uno dei tanti processi per corruzione, è stato poi condannato a 15 mesi di carcere, sentenza che ha scatenato violente proteste, con oltre 300 morti, da parte dei suoi sostenitori. In prigione comunque è rimasto soltanto un mese dopo di che per imprecisati motivi di salute è tornato in libertà.

Eppure, tanti hanno votato proprio lui, il peggio dell’ANC, presumibilmente, in gran parte se non tutti, non per esprimere una volontà di cambiamento, per dare un segnale a chi governa, togliere consenso a un partito che ha fallito e deluso, ma per rafforzare la propria etnia, il proprio territorio restituendo al leader che li rappresenta parte del potere perduto.

Piuttosto un reale, consistente indicatore di disaffezione e di protesta è il dato sull’affluenza alle urne. Fonti governative indicano che sono andati a votare il 58,57% degli iscritti alle liste elettorali, mai così pochi. Nel 1994 l’affluenza era stata dell’86,87%, poi sempre meno. Dieci anni dopo, nel 2004, era scesa al 76,70%. Alle ultime elezioni, nel 2019, è stata del 66,05%.

Coalizione di governo

I leader dell’ANC si sono già più volte incontrati per decidere come realizzare una coalizione di governo, a quali partiti proporla. La AD (Democratic Alliance) con il 21% dei voti e 87 seggi si è confermato il secondo partito. È il “partito dei bianchi” anche se ne fanno parte e lo votano molti neri. Il suo leader, John Steenhuisen, è il capo dell’opposizione. L’AD sostiene il libero mercato, promette buon governo e lotta alla corruzione, ha un programma di privatizzazioni.   

L’EFF (Economic Freedom Fighters) guidata da Julius Malema, ex leader dell’ala giovanile dell’ANC, ha ottenuto il 9,5% dei voti e 39 seggi. Di impostazione marxista, vuole la nazionalizzazione delle miniere e delle banche. Promette di espropriare le fattorie dei bianchi per darle ai neri. Era il secondo partito all’opposizione. Adesso è terzo, scavalcato dall’MK. Anche questo nuovo partito intende espropriare le terre agricole per nazionalizzarle. Inoltre chiede una nuova costituzione e la creazione di un ramo del parlamento composto dai capi tradizionali.

Le consultazioni dell’ANC includeranno altri due partiti seppure di minore importanza: l’IFP (Inkatha Freedom Party), conservatore, che disporrà di 17 seggi e il partito di estrema destra PA (Patriotic Alliance) che ne avrà nove. Tutti i partiti di opposizione hanno attaccato violentemente l’ANC durante la campagna elettorale. È difficile prevedere a quali l’ANC proporrà di formare il prossimo governo e quali, a che condizioni, accetteranno.

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