Esteri

Taiwan verso il voto: ma sul suo futuro pesano le incertezze di Biden

Impossibile difendere l’isola dalle mire di Pechino senza intervento diretto Usa. Il 13 gennaio le elezioni presidenziali, tre i candidati

presidenziali Taiwan I candidati alle elezioni presidenziali di Taiwan

Il 13 gennaio si terranno a Taiwan le elezioni presidenziali che, purtroppo, appaiono più incerte del previsto. Mentre proseguono le provocazioni continue da parte delle navi e degli aerei da guerra della Repubblica Popolare, il fronte politico interno dell’isola appare molto variegato.

I candidati alla presidenza

In Parlamento il Partito progressista democratico guidato da Tsai Ing-wen (che è in scadenza e non potrà essere rieletta) detiene tuttora una solida maggioranza. Il PDP, com’è noto, è indipendentista e ha più volte dichiarato la volontà di superare l’ambigua situazione attuale, trasformando Taiwan in uno Stato indipendente a tutti gli effetti.

Le altre due principali formazioni politiche in lizza, tuttavia, non la pensano affatto così. Il partito nazionalista Kuomintang, che fu fondato dal generalissimo Chiang Kai-shek, è molto più prudente e ha eliminato la questione dell’indipendenza dalla sua agenda. Ed è guidato dal 66enne Hou Yu-ih, sindaco della capitale Taipei dal 2018.

Leader del terzo partito, quello popolare (TPP), è invece il 64enne Ko Wen-je, pure lui in precedenza sindaco di Taipei, e favorevole – come Hou Yu-ih – al mantenimento di buoni rapporti con Pechino. Difficile però capire in cosa consistano tali “buoni rapporti”, visto che Xi Jinping e il Partito comunista cinese insistono sulla “inevitabilità” dell’annessione dell’isola da parte della Repubblica Popolare.

Il PDP ha designato quale successore di Tsai Ing-wen il 64enne William Lai Ching-te. In vantaggio nei sondaggi sugli altri due candidati, Lai prosegue la politica indipendentista di Tsai, ma non ha lo stesso carisma. Molto legato agli Stati Uniti, punta sul rafforzamento delle relazioni con Washington e sull’allontanamento, per quanto progressivo, dalla Cina comunista.

Un fattore di cui gli analisti non tengono sufficientemente conto è che la Repubblica Popolare, a dispetto di tutte le tensioni, è di gran lunga il maggiore partner commerciale di Taiwan, e proprio su questo fanno leva i candidati alla presidenza del Kuomintang e del Partito Popolare. Tutti i cinesi, comunisti e non, attribuiscono da sempre un’importanza fondamentale al commercio.

Le incertezze Usa

Si ha tuttavia l’impressione che nella partita siano gli Usa a giocare un ruolo decisivo. In questo senso, le continue incertezze in politica estera dell’amministrazione Biden pesano moltissimo.

Considerata la posizione dell’isola, situata a soli 180 km di distanza dalle coste cinesi, diventa molto difficile per gli americani puntare su una guerra per procura come quella in atto in Ucraina. La sproporzione delle forze tra Pechino e Taipei rende in pratica impossibile difendere l’isola senza un intervento diretto di truppe, aerei e navi Usa, magari con il supporto di alleati affidabili come il Giappone.

Si dà tuttavia il caso che attualmente nel Congresso americano prevalgano tendenze più o meno velatamente isolazioniste. È stata persino ventilata la possibilità che gli Usa lascino la Nato, il che renderebbe l’Alleanza Atlantica, se non inutile, assai meno importante di quanto non sia ora.

Eppure Taiwan rappresenta davvero il principale avamposto di cui l’Occidente dispone per frenare l’espansionismo cinese. In mancanza di un impegno chiaro di Washington a difendere l’isola ad ogni costo, incluso il rischio di uno scontro diretto con la Cina comunista, diventa sempre più probabile la realizzazione del disegno di Putin e Xi Jinping di dare vita a un nuovo ordine mondiale dominato dalle potenze autoritarie.

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