Tardiva, limitata nella durata e nell’intensità, con nessun effetto sorpresa la prima risposta Usa-Uk di ieri notte contro le basi Houthi in Yemen, dopo ben 27 attacchi compiuti dalle milizie filo-iraniane contro le navi in navigazione nel Mar Rosso. Soprattutto un’operazione fin troppo annunciata, non solo pubblicamente, alla leadership di Teheran e, di conseguenza, anche alla leadership Houthi. Questo emerge dalle prime informazioni ufficiali.
L’operazione
Il CentCom ha reso noto che gli Stati Uniti, “in coordinamento con il Regno Unito, e il supporto di Australia, Canada, Paesi Bassi e Bahrein, hanno condotto attacchi congiunti contro obiettivi Houthi per indebolire la loro capacità di continuare i loro attacchi illegali e sconsiderati contro navi statunitensi e internazionali e navi commerciali nel Mar Rosso”. Obiettivi sono stati sistemi radar, sistemi di difesa aerea e siti di deposito e lancio di missili e droni.
Sono stati impiegati 15 caccia multiruolo F/A-18 “Super Hornet” della portaerei USS Eisenhower, missili da crociera Tomahawk per attacco terrestre e missili anti-radiazioni aria-superficie, per un totale di oltre 100 colpi di precisione su 60 obiettivi in circa 16 località dello Yemen sotto controllo Houthi. Il generale Michael Erik Kurilla, comandante del CentCom, ha affermato di ritenere “i militanti Houthi e i loro destabilizzanti sponsor iraniani responsabili degli attacchi illegali, indiscriminati e sconsiderati” nel Mar Rosso e ribadito che “non saranno tollerati”.
Inizialmente sembrava che la decisione di colpire dovesse essere annunciata da un discorso pubblico del presidente Usa Joe Biden, ma alla fine la Casa Bianca ha optato per un comunicato – in cui non viene menzionato l’Iran – evidentemente per mantenere un profilo più basso, che non potesse essere confuso con una “dichiarazione di guerra”.
La regia iraniana
La risposta diretta contro gli Houthi sarebbe dovuta avvenire molto tempo fa e un solo attacco, limitato nel tempo e negli obiettivi, per di più annunciato, non cancella anni di appeasement e mesi di inazione. Soprattutto perché ancora una volta il regime iraniano, che è il regista di una guerra multi-teatro – Hamas, Hezbollah, Houthi – ne esce indenne, gli viene permesso di godersi lo spettacolo mangiando popcorn senza pagare un prezzo per le sue azioni, mentre la prima superpotenza del mondo è costretta a vedersela con i suoi proxies.
L’attacco di Hamas del 7 ottobre e l’immediato coinvolgimento di Hezbollah, Houthi e milizie filo-iraniane in Siria e Iraq – quello che Teheran definisce “Asse della Resistenza” – vanno visti come la prima prova generale su larga scala della dottrina iraniana di circondare Israele con i suoi proxies.
La deterrenza iraniana
Significativo che la reazione Usa-Uk sia stata riportata dai media occidentali evidenziando il rischio di una escalation nella regione quando l’escalation è già in atto da settimane da parte degli Houthi e del loro sponsor: l’Iran.
Ma questo non è solo un errore di prospettiva dei media. Peggio, i media non fanno altro che registrare il mood che si respira alla Casa Bianca, dove la preoccupazione di non offrire pretesti per un allargamento del conflitto supera di gran lunga quella di ripristinare la credibilità della deterrenza Usa. Il che, tradotto, significa che gli Usa subiscono la deterrenza dell’Iran, esercitata attraverso il suoi proxies, più di quanto Teheran subisca la loro.
La volontà di Washington di non allargare il conflitto a Gaza e di allentare la tensione, anche evitando di reagire agli attacchi dei proxies iraniani, li sta in realtà incoraggiando nella loro escalation, come dimostra la crisi nel Mar Rosso.
Per questo la risposta degli Stati Uniti e dei loro alleati è stata deludente. Non è solo questione di quantità, ma anche di qualità degli obiettivi, di rapidità e sorpresa. Le risposte “proporzionate” e annunciate, come quella di ieri, non fermeranno l’escalation, tanto che gli stessi Stati Uniti e Regno Unito si aspettano che gli Houthi continueranno ad aumentare i loro attacchi e i tentativi di sequestro di navi.
La leadership iraniana non è rimasta impressionata dal dispiegamento della moderna potenza di fuoco Usa, perché dubita della volontà di Biden di usarla contro obiettivi strategici importanti per Teheran. La strategia iraniana infatti fa affidamento su proxies sacrificabili anziché sulle proprie forze, proprio per evitare una risposta diretta degli Usa e dei loro alleati che rischierebbe di destabilizzare il regime. E in questo senso tutto sta procedendo secondo i piani per Teheran.
Per dissuadere efficacemente la leadership iraniana, gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero colpire obiettivi che valgano, come le basi dei Pasdaran in Iran e i comandanti Pasdaran nella regione. D’altra parte, ricordiamo che nessuno, nel gennaio 2020, si aspettava l’uccisione mirata del comandante del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), Qassem Soleimani, un grave colpo per il regime, ordinata dall’amministrazione Trump. Eliminazione che nonostante le previsioni apocalittiche dell’epoca non provocò alcuna guerra regionale.
Gli errori di Biden
La grave crisi del Mar Rosso è la conseguenza dei passi falsi dell’amministrazione Biden, che dal primo giorno ha preso la decisione di ribaltare la politica estera e qualsiasi singola misura adottata dall’amministrazione Trump, tornare alla politica di engagement con l’Iran smantellando, come primo passo, il regime sanzionatorio antiterrorismo nei confronti gli Houthi.
Già nella sua prima conferenza stampa, il 28 gennaio 2021, il segretario di Stato Antony Blinken indicava la revoca delle sanzioni agli Houthi tra le priorità in cima alla sua agenda. Risultato? Sanzioni sospese il 25 gennaio e revocate il 5 febbraio. Due giorni dopo gli Houthi ringraziano attaccando l’Arabia Saudita. Seguono alcuni giorni di imbarazzi e giochi di parole, ma il 16 febbraio viene revocata anche la designazione degli Houthi come gruppo terroristico globale.
Eccola, la prima geniale mossa degli “adulti” tornati al comando. L’amministrazione Biden criticava tanto i bombardamenti sauditi contro i ribelli Houthi, fino a togliere il suo sostegno a Riyad, e ora si trova costretta lei stessa a bombardarli.