Tasse e green, la rivolta degli agricoltori inglesi riguarda anche noi

La stangata di Starmer con la nuova tassa di successione, la bolletta energetica, i terreni agricoli minacciati dall’agenda green. Criticità strutturali non limitate alla realtà britannica

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Si sono dati appuntamento prima fuori dal centro che ha ospitato il convegno del Partito laburista gallese, poi hanno fatto le cose più in grande e si sono ritrovati a Westminster, davanti ai Comuni. Non hanno fatto particolare rumore, non hanno creato certamente il chiasso che ha contraddistinto altre realtà come i gilet gialli francesi e forse per questa ragione sono passati quasi inosservati al di fuori dei loro confini, ma le proteste che gli agricoltori britannici stanno portando avanti hanno un peso politico non indifferente.

La stangata di Starmer

La scintilla che ha scatenato la contenuta indignazione è arrivata con il Budget presentato dal governo di Keir Starmer a fine ottobre: una manovra pesante dal punto di vista fiscale, con un aumento della tassazione che riguarderà diverse aree in momenti diversi.

Tra gli aspetti più controversi c’è la cosiddetta Inheritance Tax, la tassa di successione. Dall’aprile 2026, le agevolazioni garantite ai beni agricoli verranno limitate: quelli con un valore superiore al milione di sterline ne beneficeranno solo per il 50 per cento e il valore eccedente sarà sottoposto ad un’aliquota del 20 per cento.

Nelle intenzioni dell’esecutivo laburista, la modifica vuole contrastare l’evasione fiscale, ma il timore tra gli addetti ai lavori è che finirà per intaccare le disponibilità e le risorse finanziarie del settore primario, alle prese con criticità che stanno diventando strutturali – e che non si limitano alla realtà britannica, ma inglobano in generale quella europea.

La bolletta energetica

La gestione post-Brexit da parte di un Partito conservatore impegnato a gestire le beghe interne non ha aiutato: le politiche di sostegno promesse non hanno trovato sempre piena applicazione. L’aumento dei costi energetici tra il 2021 e il 2022 ha lasciato il segno, inevitabilmente, sulle spese sostenute dagli agricoltori per condurre le loro attività quotidiane. Ai costi energetici in ascesa si sono aggiunti tutti gli altri soggetti all’inflazione galoppante che solo recentemente ha rallentato.

Il panorama non è dunque dei migliori e l’idea di una tassazione più elevata pesa come un macigno, così come il reale risultato della manovra laburista che lascia irrisolti tanti punti interrogativi in merito ai contraccolpi che si faranno sentire sulle tasche dei contribuenti e sul mondo produttivo.

Il fattore Clarckson

Tra i volti noti del fronte agricolo spunta quello di Jeremy Clarckson, il popolare conduttore televisivo che da qualche anno è impegnato con la produzione di “The Clarckson Farm”, il documentario che racconta dal vivo la realtà agricola d’Oltremanica con una buona dose di ironia, non sempre dolce e molte volte amara.

Nell’occasione si è beccato con una giornalista della BBC che metteva in dubbio la veridicità di alcune rivendicazioni portate avanti dai manifestati e da Clarckson stesso: “Tipico della BBC”, ha ribattuto il conduttore in merito alle insinuazioni che dietro al dispiegamento di trattori ci fossero interessi di parte.

Il fattore Farage

Alle scorse elezioni di luglio, diversi seggi elettorali tradizionalmente conservatori sono passati ai laburisti grazie anche al voto degli agricoltori delle zone più rurali: alcuni hanno preferito il combattivo Reform UK di Nigel Farage, altri si sono affidati alla figura – apparentemente – più moderata di Starmer.

Si è trattato di un chiaro segnale di insoddisfazione nei riguardi dei Tories, mal riposto. “Se gli agricoltori vogliono scendere per strada, possiamo riservare a loro ciò che Margaret Thatcher ha riservato ai minatori”, ha commentato John McTernan, ex consigliere politico di Tony Blair. Parole pesanti dalle quali lo stesso primo ministro Starmer ha voluto prendere le distanze, ma che danno il senso di un certo sentimento che cova nelle correnti laburista più dure.

La minaccia green

La questione fiscale è però solo un lato della medaglia. L’altro, non meno impattante, è legato alla transizione energetica, affidata a Ed Miliband, a capo del Dipartimento per la Sicurezza energetica e Net-Zero, l’espressione per indicare il raggiungimento di un equilibrio tra i gas serra emessi e quelli rimossi dall’atmosfera.

Miliband ha presentato un piano che prevede anche l’installazione di impianti eolici in alcune aree dell’isola, come l’East Anglia (Norfolk e Suffolk) che si affaccia sul Mare del Nord. Il progetto include la costruzione di condotte sotterranee che attraverseranno terreni per le coltivazioni, rendendoli inutilizzabili: alcuni momentaneamente, altri per sempre perché non sarà più possibile sfruttarli vista la presenza al loro interno delle pale eoliche e delle relative infrastrutture.

Un colpo alla borsa e un colpo alla vista di quella che il poeta William Blake descrisse, nell’Ottocento, come la Gerusalemme adagiata sulle verdi montagne della countryside inglese.

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