Esteri

Teheran ad un passo dall’atomica, ma Biden si oppone a sanzioni o pressioni

Non solo calcolo elettorale, la politica Obama-Biden di appeasement con l’Iran dietro tante altre scelte, dal voltafaccia a Israele alla risposta debole con gli Houthi

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Secondo gli ultimi dati di intelligence, a disposizione anche dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica), l’Iran avrebbe accumulato 142 kg di uranio arricchito al 60 per cento. L’aumento è stato notevole: 20 kg prodotti negli ultimi tre mesi. Dire che l’Iran è a un passo dall’atomica è sempre stato come gridare “al lupo” ogni giorno, dal 2002 (scoperta del programma nucleare segreto) ad oggi. Ma adesso sembra proprio che il lupo sia realmente in arrivo.

Perché con uranio arricchito al 60 per cento, ottenere un livello di arricchimento utile per la produzione di materiale fissile per testate nucleari è questione di pochi giorni. E perché con 142 kg di materiale fissile, gli iraniani potrebbero già mettere tre testate nel loro arsenale.

Francia e Regno Unito, per questo, vogliono proporre una mozione di censura contro l’Iran nel prossimo consiglio d’amministrazione dell’Aiea, che si terrà a giugno, come primo passo per aumentare la pressione internazionale su Teheran. Ma, in un mondo alla rovescia, quale è quello in cui viviamo, è Washington che frena.

Gli Usa frenano

L’amministrazione Biden, infatti, parrebbe contraria alla proposta di censura sostenuta dai governi di Londra e Parigi. Lo rivela il Wall Street Journal, citando fonti anonime, informate sui negoziati in corso. “Al centro della disputa – leggiamo sul quotidiano economico statunitense – ci sono le preoccupazioni di alcuni Paesi europei, in particolare Francia e Gran Bretagna, che Washington non abbia una strategia per affrontare i progressi nucleari dell’Iran. I diplomatici europei hanno affermato che l’amministrazione Biden non sembra disposta né a perseguire un serio sforzo diplomatico con l’Iran né a intraprendere azioni punitive contro le trasgressioni nucleari di Teheran”.

Questo atteggiamento americano stupisce fino a un certo punto. Biden ha posto come propria priorità diplomatica il rinnovo dell’accordo di Vienna del 2015 sul programma nucleare iraniano, che in estrema sintesi prevede la fine delle sanzioni in cambio di un rallentamento sensibile della produzione di uranio arricchito (e solo ad un grado utile per un uso civile).

Trump si era ritirato dall’accordo nel 2018, non fidandosi dell’Iran, anche alla luce di una montagna di documenti scoperti dall’Intelligence israeliana sul programma militare segreto. Biden, come per tutto il resto, ha voluto rompere con la passata amministrazione Trump e completare l’opera di Obama. Ma nel 2022, anche l’attuale presidente democratico si è scontrato con la realtà, prima con l’alleanza, di fatto, fra Iran e Russia nella guerra in Ucraina, poi con l’atteggiamento di sostanziale non cooperazione di Teheran nei negoziati sul nucleare. Infine è arrivato il 7 ottobre 2023, con un attacco a Israele da parte di terroristi sponsorizzati e armati dall’Iran.

Un rapporto, ma dopo il voto

Ma la politica di questa amministrazione, anche alla luce dei disastri degli ultimi due anni, è lenta al cambiamento. Secondo le fonti del Wall Street Journal, di fronte a questa nuova crisi, “Washington ha una propria strategia per aumentare la pressione sull’Iran in merito alle sue attività nucleari, che comprende la richiesta all’Aiea di preparare un rapporto completo che illustri tutto ciò che sa sulla mancata collaborazione dell’Iran”.

Un rapporto potrebbe riaccendere l’attenzione mondiale sul programma nucleare di Teheran, ma solo indirettamente sarebbe l’anticamera di nuove sanzioni internazionali. Però è una strategia compatibile i tempi elettorali: “I funzionari europei affermano di aver saputo che Washington sta valutando la possibilità di chiedere all’Agenzia di presentare un rapporto del genere dopo le elezioni americane di novembre (corsivo nostro, ndr), ma non ha intenzione di richiederlo immediatamente”.

Cosa potrebbe fare, invece, una risoluzione di censura, come quella chiesta da Francia e Regno Unito? “Può aprire la strada per spingere la presunta inadempienza dell’Iran sulle questioni nucleari al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per una risposta internazionale”. Anche qui, però, vi sarebbero delle controindicazioni, sottolineate dagli americani: “Negli ultimi anni Teheran ha ripetutamente intensificato il suo programma nucleare o intrapreso nuove azioni per limitare l’accesso degli ispettori, quando ha subito le pressioni occidentali sul suo programma nucleare durante le riunioni dell’Aiea. L’anno scorso, dopo aver affrontato critiche verbali in seno al consiglio, ha bandito dal Paese alcuni ispettori europei. Gli Stati Uniti temono il ripetersi di questo tipo di passi se la mozione di censura dovesse essere approvata”.

Tuttavia, ci sarebbe poco o nulla da perdere, considerando che Teheran già non collabora con l’Aiea, secondo quanto denuncia anche l’ambasciatrice americana presso l’agenzia, Laura Holgate.

La linea Obama-Biden

L’atteggiamento dell’amministrazione americana, dunque, parrebbe più motivato dalla solita linea Obama-Biden, secondo i quali, contro ogni evidenza, l’unico modo per risolvere la crisi ed evitare la guerra è “coinvolgere” l’Iran in un accordo internazionale che consenta uno sviluppo pacifico dell’atomo anche nella Repubblica Islamica, ma impedisca (leggasi: ritardi di qualche anno) lo sviluppo di testate nucleari.

E questo permette di comprendere tanti altri atteggiamenti altrimenti inspiegabili, come il ritiro dell’appoggio incondizionato dell’amministrazione Biden a Israele, proprio quando l’unico alleato nel Medio Oriente lotta per la sua sopravvivenza e rischia l’ostracismo mondiale. Oppure la risposta debolissima contro gli Houthi (a proposito: che fine hanno fatto? Perché i media non ne parlano più?), la milizia yemenita filo-Iran che pure minaccia di strangolare il traffico nel Mar Rosso, una delle vie d’acqua più strategiche del mondo.