In 50 minuti di telefonata, domenica, il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente russo Vladimir Putin devono essersene dette di tutti i colori. Secondo il resoconto russo, l’uomo del Cremlino avrebbe risposto alla maniera dell’Onu: condanna al terrorismo, ma anche alla risposta israeliana. Come soluzione propone la solita minestra riscaldata dei “due popoli in due Stati”.
Con un senso sadico dell’umorismo, Putin avrebbe rimproverato a Netanyahu la “punizione collettiva” dei civili palestinesi a Gaza. Ovviamente il premier israeliano sa che cosa abbia fatto Putin ai civili ucraini a Bucha, Gostomel, Irpin, Lyman, Kherson, dove non c’era la scusa di combattere un nemico, perché erano tutte città e cittadine già sotto occupazione.
La sua accusa principale a Putin è però di tipo strategico, non solo polemico: l’alleanza ormai consolidata della Russia con l’Iran e dunque anche con la sua galassia dei movimenti terroristi che sponsorizza, soprattutto i gruppi armati Hezbollah e Houthi, oltre a Hamas.
Il disegno di Putin
Il presidente russo, in questo fine settimana, è stato particolarmente attivo in Medio Oriente. Ha incontrato tutti i protagonisti della regione, su entrambe le sponde del Golfo Persico. È stato accolto ad Abu Dhabi, poi a Riad e infine ha ricevuto il presidente iraniano Raisi. Non ha fatto mistero di ospitare Hamas a Mosca, a guerra con Israele già iniziata.
Putin vuole di nuovo mostrarsi come “l’uomo indispensabile” per la pace in Medio Oriente. Ma lo fa solo a spese di Israele, come Netanyahu ha capito correttamente. Il disegno diplomatico russo è l’esatto opposto di quello americano. Dove l’amministrazione Trump (e in modo meno coerente quella di Biden) cercava di negoziare la normalizzazione delle relazioni fra Israele e i Paesi arabi del Golfo, isolando l’Iran, la Russia di Putin cerca di trovare un compromesso fra Iran e arabi. E quale potrebbe essere l’unico collante possibile? Ovviamente l’odio islamico contro lo Stato sionista.
Quel che meraviglia, nella telefonata fra Netanyahu e Putin, sono i toni apparentemente sorpresi e risentiti del primo (almeno così ci viene riferito dalle cronache). Cosa si sarebbe mai aspettato da Putin? Che condannasse i suoi alleati e la sua stessa strategia? L’ideologia putiniana è esplicita, dichiarata, non ha nulla di misterioso. E dal 2008 la sta mettendo in pratica a partire dall’invasione della Georgia, colpevole di aver chiesto l’adesione alla Nato.
Putin, già allora, fece capire cosa intendesse per “sfera di influenza” e come intendesse farla rispettare. Nel 2014, quando annesse la Crimea, come forma di rappresaglia militare al rovesciamento del regime politico ucraino a lui fedele, fece capire ancor più esplicitamente quale fosse il suo disegno anti-occidentale.
La guerra in Ucraina è stata preceduta da un ultimatum alla Nato e agli Usa, in cui si chiedeva il loro ritiro (de facto) da tutte le nazioni dell’Europa centrale che vi hanno aderito dal 1997 in poi. E si chiedeva soprattutto di non ammettere più altri Paesi nella Nato. La guerra in Ucraina, anche solo per questo motivo, può essere considerata come la prima tappa di una guerra di lunga durata contro la Nato.
Le illusioni di Netanyahu
Netanyahu credeva di essere immune al disegno espansionista di Putin? Forse pensava che la politica neo-imperiale russa riguardasse solo l’Europa. Con un qual certo cinismo, sia Netanyahu che i suoi due predecessori del 2022 non hanno aderito alle sanzioni internazionali imposte alla Russia e non hanno mai aiutato concretamente l’Ucraina invasa. Se non altro per questioni di riconoscenza, deve essere stato uno shock vedere il leader del Cremlino schierato, dal 7 ottobre, dalla parte dei carnefici dei suoi cittadini.
Ma avrebbe dovuto aspettarselo. Netanyahu ha sempre fatto vanto dei suoi buoni rapporti con il leader russo, anche per conservare il voto dell’enorme minoranza di ebrei russi in Israele. Ha sempre confidato nella tacita collaborazione di Mosca nella sua guerra contro Hezbollah in Siria: quando gli aerei israeliani colpivano, le batterie anti-aeree russe non reagivano. Però avrebbe dovuto capire che, al di là di certi accordi tattici e di breve periodo, la politica estera di Putin in Medio Oriente era sempre, sostanzialmente, anti-israeliana.
L’asse di Mosca con Siria e Iran
Lo dimostrano i voti all’Onu, dove la Russia ha dimostrato di essere in sostanziale continuità con l’Urss: sempre dalla parte dei nemici di Israele, in ogni circostanza. Lo dimostra lo stesso intervento militare in Siria, nel 2015. I russi, al di là della propaganda (quella della nazione cristiana e neo-crociata che sfida l’Isis e gli altri jihadisti) hanno mandato i loro aerei e le loro forze speciali nel Paese arabo piagato dalla guerra civile, con un unico scopo: salvare il regime di Assad che garantisce loro le basi nel Mediterraneo.
Il regime di Assad non ha mai voluto la pace con Israele, con cui tuttora è tecnicamente in guerra. E la Russia, nonostante la sua forte presenza, in tutti questi anni, non ha fatto nulla per negoziare una pace fra Damasco e Gerusalemme. La Siria di Assad è stata la principale base politica di Hamas all’estero, almeno fino allo scoppio della guerra civile nel 2011. Ed è tuttora la principale sponsor di Hezbollah che, se riceve aiuti dall’Iran, lo fa attraverso la Siria.
Sempre il regime di Assad ospita basi iraniane sul territorio che controlla e si fa proteggere dalle Forze Qods, i reparti della Guardia Rivoluzionaria iraniana all’estero. Ebbene: è la Russia che sostiene e protegge tutto questo sistema, da quasi un decennio.
Quanto all’Iran, l’alleanza con la Russia non è una novità di questo mese e neppure del 2022. È ormai un’alleanza consolidata, addirittura da prima di Putin. Fu il primo ministro Primakov (presidente era Eltsin) a teorizzare, nella sua dottrina, il sodalizio con l’Iran per controbilanciare la presenza militare americana nel Golfo. Fu sempre ai tempi della presidenza Eltsin che gli iraniani avviarono seriamente il loro programma nucleare, grazie alla consulenza russa. Mosca è sempre stata al fianco di Teheran, in veste di mediatore, in ogni braccio di ferro su quel programma nucleare.
Per Netanyahu, forse, è arrivato il momento della disillusione. Come tutti i leader di destra occidentali, a partire da George W. Bush, si illudono di capire Putin e di essere rispettati da lui. Finché, puntualmente, arriva la doccia fredda.