Si avvicinano le elezioni primarie del Partito Repubblicano. Contrariamente alla tornata del 2020, quando l’allora presidente in carica Donald Trump sbaragliò la concorrenza con un plebiscitario 94 per cento, secondo solo agli exploit di Reagan nel 1984 (98,8 per cento) e di Bush nel 2004 (98,1 per cento), stavolta la corsa per la nomination del Grand Old Party appare meno prevedibile e non immune da fibrillazioni interne.
Benché l’egemonia di Trump e dei MAGA Republicans nella destra Usa sia lontana dal tramontare, i principali competitor del tycoon hanno le carte in regola per ambire alla Casa Bianca. Tra questi spicca il governatore della Florida Ron DeSantis, che non ha ancora ufficializzato la sua candidatura – probabile l’annuncio al termine delle sessioni legislative statali, che si terranno entro l’ultima settimana di maggio.
Nikki Haley
L’altra candidata di punta (già ufficiale) del Gop è Nikki Haley, che si è distinta per visione, perspicacia e self-discipline fin dagli esordi in politica. Classe 1972, figlia di immigrati Sikh, Haley vanta un curriculum d’eccezione: eletta governatrice della Carolina del Sud nel 2011, è la prima e più giovane donna di origini indo-americane a guidare il Palmetto State.
Il governo della Carolina del Sud
Haley ha conquistato alti tassi di gradimento tra i South Carolinians grazie all’efficacia del suo governo che, come osservato dal The Economist, è riuscito ad unire “ferocia fiscale e capacità di conciliazione”. Le ricette della governatrice e del segretario di Stato al commercio, Bobby Hitt, hanno favorito la creazione di 105.000 posti di lavoro in sei anni, rendendo la Carolina del Sud business-friendly ed economicamente competitiva. Non è un caso che sotto la loro egida abbia guadagnato il meritorio riconoscimento di “beast of the Southeast”.
Durante il secondo mandato (2014-2017) Haley affrontò con il pugno di ferro due emergenze: il massacro di Charleston, avvenuto il 17 giugno 2015 in una chiesa metodista nera per mano di un fanatico, e l’uragano Matthew, che ha sconvolto Cuba, Haiti, Bahamas e States meridionali nell’autunno 2016. La gestione delle crisi ha riscosso il plauso unanime della classe dirigente locale. Da quel momento le sue doti di leadership e carisma sarebbero state riconosciute bipartisan.
L’incarico alle Nazioni Unite
Altra parentesi significativa della sua carriera è stata la nomina ad ambasciatore Usa all’Onu, incarico che ha ricoperto dal gennaio 2017 al dicembre 2018. Lodevole l’impegno profuso nel rinsaldare i rapporti diplomatici Stati Uniti-Israele, di pari passo alla denuncia della sistematica violazione dei diritti umani nella Corea del Nord di Kim Jong-un, nell’Iran dell’ayatollah Alì Khamenei, nel Venezuela di Nicolás Maduro e nella Cina di Xi Jinping.
In controtendenza rispetto ad alcune frange del Gop, Haley ha condannato le interferenze russe nelle elezioni americane mantenendo un supporto incrollabile per la Nato, anche ora che l’isolazionismo sembra avere la meglio tra i Repubblicani.
La candidatura
Lo scorso 14 febbraio Haley ha pubblicato il videomessaggio di lancio della sua campagna per la nomination presidenziale. Tre minuti e 35 secondi di puro national pride: un inno alla speranza, un encomio all’American dream e all’exceptionalism che hanno fatto grandi gli Stati Uniti nel mondo.
La prima inquadratura del filmato ritrae la casa natale dell’aspirante POTUS a Bamberg, dove è stata educata dai genitori a “ricercare le analogie, non le differenze” tra lei e i coetanei yankee. L’insegnamento familiare – sul calco dell’aforisma unity in diversity – è ripreso in una citazione emblematica: “Anche nei giorni peggiori, siamo fortunati a vivere in America”.
Lo slogan della campagna è un cambio di passo conclamato: “It’s time for a new generation”. Haley auspica un rinnovamento generazionale nel Gop, che passa anche attraverso l’impulso alla meritocrazia e la riscoperta dei capisaldi repubblicani. Questa “riscoperta” non vuole imporsi né come un’illusione anacronistica, né come un throwback. Piuttosto, assume il significato di “innovare per conservare”: essere consapevoli delle proprie radici proiettando lo sguardo al futuro, nella migliore accezione burkiana.
La piattaforma neocon di Haley è entrata nell’agone politico da poche settimane ma sembra destinata ad incrementare il suo momentum. Ecco alcuni cavalli di battaglia promossi dalla candidata.
Economia
Il programma economico di Haley è fondato sui principi dello small government ed è vicino alle storiche proposte del Tea Party. La fiscal responsability è considerata la sine qua non per contrastare il carovita e combattere la crescente vulnerabilità dei ceti medi.
Giocano un ruolo di prim’ordine anche la diminuzione della spesa federale, il massiccio taglio delle imposte e la riduzione del debito pubblico, tema già caro a Haley nell’esperienza amministrativa pregressa. Impietoso il giudizio sugli interventi finanziari dei Dem: “They love wasting our money”. As always, aggiungerei.
Politica estera
Una foreign policy nel segno dell’atlantismo: partnership strategiche con gli alleati dell’Anglosfera (implementazione del patto di sicurezza trilaterale AUKUS in funzione anticinese) e promozione del modello democratico. Haley ha le idee molto chiare sull’aggressione russa in Ucraina. Nel suo primo rally a Charleston ha associato la causa di Kiev a quella di Gerusalemme: “Saremo sempre al fianco di Israele e dell’Ucraina e affronteremo a testa alta i nostri nemici in Iran e Russia”.
Immigrazione
Dopo aver visitato ad inizio aprile il southern border in Texas, Haley ha lanciato il suo piano per rendere sicura la frontiera e contenere l’immigrazione illegale. Previsti finanziamenti per 25.000 nuovi agenti di polizia nelle aree di dogana e il ripristino della policy trumpiana “Remain-in-Mexico”, che sancisce la detenzione dei clandestini in Messico al procedere delle loro udienze.
Haley promette di porre fine alle pratiche di “catch-and-release” dell’amministrazione Biden: con una metafora calzante, ha avanzato la necessità di puntare al “catch-and-deport”.
Aborto
Haley intende sostenere le madri in situazioni disagiate e propone una moral suasion per sensibilizzare le giovani donne sull’aborto, una extrema ratio che deve essere ponderata. Chi vi scrive è un convinto assertore della libertà riproduttiva e non può non definirsi pro-choice.
Ritengo che per l’interruzione volontaria di gravidanza, come per qualsiasi altro ambito della vita, la facoltà decisionale spetti unicamente all’individuo. È questo il motivo per cui non biasimo la scelta di Haley, anzi. Trovo che la sua sensibilità, tutta materna, diverga sia dai teocon reazionari, sia dal permissivismo liberal a stelle e strisce.
Contro la gerontocrazia
Originale la presa di posizione contro la “gerontocrazia”, per evitare che il Congresso statunitense sia monopolizzato da politici con evidenti inabilità logico-intellettuali (vedasi il senatore della Pennsylvania John Fetterman o il senescente Joe Biden).
Il Montreal cognitive assessment test suggerito da Haley è uno strumento teso a verificare il declino cognitivo. Contempla domande piuttosto semplici, come memorizzare specifiche parole, dire dove ci si trova o il giorno corrente. Ogni personalità pubblica sopra i 75 anni sarebbe sottoposta al test e vincolata a pubblicarne i risultati.
Nikki Haley is on her way
Potremmo concludere affermando che Nikki Haley is on her way: la sua campagna procede a gonfie vele e non risparmia nessuno, ma senza cedere ad ostilità velenose che non le appartengono. Perché, come ha ribadito più volte, il general welfare viene prima di tutto. Prima delle divisioni, delle inimicizie e delle contese.