Seguire le primarie negli Stati Uniti non è un mestiere per gente normale, visto che fare nottata è all’ordine del giorno. Invece di dover aspettare ore ed ore prima di conoscere il verdetto degli elettori del Palmetto State, è bastato aspettare meno di un minuto dalla chiusura ufficiale delle urne per avere la conferma di quello che tutti, anche i più trinariciuti never Trump avevano ammesso da tempo.
Donald J. Trump aveva un distacco talmente enorme da convincere tutti i media statunitensi, incluse Cnn e MSNBC, che hanno vissuto per anni alimentando un odio spesso irrazionale per il 45° presidente degli Stati Uniti, a dichiararlo immediatamente vincitore. Dopo aver seguito la politica Usa per più di vent’anni, mi sono onestamente trovato spiazzato sedendomi davanti al computer per scrivere questo pezzo. Mai mi era successo prima di trovarmi a corto di idee.
D’altro canto, nessuna primaria è mai stata così illogica come questa. Di solito, quando un candidato è sostenuto da masse oceaniche, diventa inevitable, il che consiglia ai finanziatori dei suoi rivali a chiudere i rubinetti dei finanziamenti, costringendoli ad alzare bandiera bianca. Uno dopo l’altro, tutti i possibili rivali di Trump si sono fatti da parte, hanno dato il loro endorsement e spesso si sono impegnati a fare campagna per lui a giro per l’America.
Tutti tranne Nikki Haley. Queste primarie dovrebbero essere già chiuse, con l’attenzione spostata alle presidenziali vere e proprie ma, per qualche assurdo motivo, continuano ancora. Cerchiamo quindi di capire cosa sia successo in South Carolina, quel che si può capire da questo voto e, soprattutto, cosa spinga la Haley a continuare a prendere batoste su batoste.
Nemmeno nel proprio stato
Tutti i sondaggi della vigilia sembravano concordare sul fatto che la distanza tra Trump e la Haley, che nel South Carolina giocava in casa, visto che era stata governatrice dello stato tra il 2011 e il 2017 era assolutamente abissale, tanto da rischiare una figuraccia epocale. In America non riuscire a vincere nemmeno nel proprio stato è sempre stato considerato un segnale inequivocabile della fine della carriera di un qualsiasi politico. A quanto pare la regola sembra valere per tutti tranne che per i finanziatori di Nikki Haley, che non hanno ancora deciso di staccare la spina.
I voti non sono ancora definitivi mentre sto scrivendo ma la distanza dovrebbe essere sicuramente sopra i 20 punti percentuali, con Trump che sta faticando a sfondare la barriera del 60 per cento. Un abisso ma più o meno in linea con l’aggregato dei sondaggi condotti negli ultimi giorni prima delle primarie. Normalmente quando si perde così male, uno o due punti percentuali non contano ma, considerato lo stato disperato della sua campagna, la Haley probabilmente si attaccherà a qualunque cosa pur di convincere i suoi finanziatori a non fuggire a gambe levate.
Le speranze per l’ex governatrice erano vicine allo zero, considerato che quasi tutti i pesi massimi della politica locale si erano schierati come un sol uomo dietro a Trump, sia per convinzione che per calcolo politico. I giochi erano talmente chiusi che l’ex presidente ha speso pochissimo, dedicando ancora meno tempo ad apparizioni pubbliche nello stato. Il messaggio che vuole mandare è evidente: queste primarie sono finite, ho vinto, sto già pensando a come battere Biden.
L’unica incognita era dovuta al fatto che, come in New Hampshire, le primarie in South Carolina sono aperte a tutti gli elettori: i democratici hanno già tenuto le loro primarie il 3 febbraio e l’affluenza era stata minima, solo 125.000 votanti, il che avrebbe potuto liberare una buona fetta di elettori per sostenere la Haley.
Il “soccorso rosso” è stato evidente, considerato come le uniche due contee che l’ex governatrice ha vinto sono quelle di Charleston, Beaufort e Richland, quelle più urbanizzate che votano prevalentemente democratico. Per riuscire nel miracolo sarebbe servito l’appoggio della comunità afroamericana e numeri decenti nelle contee rurali: specialmente nelle contee orientali, al confine col North Carolina, Trump ha spesso superato l’80 per cento. Non abbastanza per evitarle una batosta memorabile.
Haley spacciata?
Tradizionalmente il South Carolina è l’inizio del periodo caldo delle primarie, una serie di voti uno dietro l’altro che decidono i destini dei vari candidati. Il prossimo appuntamento è tra soli due giorni, martedì 27 febbraio in Michigan, dove la Haley ha già avuto parecchi incontri e speso somme considerevoli in pubblicità. Un terzo dei delegati alla convention repubblicana di Milwaukee verrà deciso il 5 marzo, nel cosiddetto Super Tuesday, quando si voterà in ben 15 stati ed un territorio, attraverso primarie o caucuses.
La campaign manager della Haley, Betsy Ankney, ha ammesso che la sua candidata è competitiva solo negli stati dove si tengono primarie aperte ma questo non è stato sufficiente né nel New Hampshire né nel suo stato. Né la California né il Texas hanno primarie aperte, il che significa che Trump farà probabilmente incetta di delegati.
Nello stesso Michigan, stato tendenzialmente democratico, le primarie sono aperte ma la numerosa comunità araba sta spingendo per un voto di protesta contro la posizione tenuta dall’amministrazione Biden nel conflitto in Israele. Biden e l’establishment democratico stanno spingendo per evitare un risultato imbarazzante, il che ridurrà di parecchio il voto trasversale.
Un risultato positivo in South Carolina, specialmente se inaspettato, avrebbe potuto cambiare il momentum della campagna, magari riuscendo a conquistare un pacchetto di delegati da “spendersi” alla convention o nel negoziare un posto nel cabinet della seconda amministrazione Trump. Anche se i soldi continuassero ad arrivare, Trump potrebbe raggiungere il numero magico, i 1.215 delegati sufficienti per vincere la nomination, forse già nel Super Tuesday.
Un terzo candidato?
Applicando le regole tradizionali della politica, la Haley è spacciata, con zero possibilità di vittoria. Il problema è che nella politica statunitense le regole sono saltate da un pezzo. Le voci si rincorrono furiosamente, inclusa una possibilità all’apparenza assurda, come un ticket bipartisan che unisca la Haley a Dean Phillips, candidato alla nomination democratica che, al momento, ha circa il 15 per cento dei consensi.
La strategia sarebbe di presentare una candidatura indipendente e strappare i never Trump e l’establishment ai Repubblicani e i moderati, stanchi delle follie woke, ai Democratici. L’obiettivo non sarebbe vincere ma ridurre i consensi di Trump per creare un nuovo Ross Perot e consentire a Biden, o chi ne prenderà il posto, di tornare alla Casa Bianca. Fantapolitica? Al momento sì, ma non mancherebbero finanziatori con portafogli profondi pronti a sostenere questa opzione, forse lo stesso Elon Musk. Con l’approval rating di Biden ed il suo rifiuto di farsi da parte, l’Uniparty potrebbe non avere molte altre scelte.
La Trump Nation non avanza?
I risultati del VoteCast dell’Associated Press sono sempre interessanti per capire quali sono i temi importanti per gli elettori dei vari stati e come si sia arrivati al risultato di una specifica elezione. Gli exit poll in South Carolina dipingono un’immagine familiare, non particolarmente dissimile da quanto visto in Iowa, New Hampshire e Nevada. A quanto pare, i processi che vedono coinvolto Trump non hanno avuto effetto sulla base repubblicana, che continua a considerare Trump il migliore per battere Biden a novembre, mantenere il Paese sicuro e rimettere in sesto l’economia.
L’ex presidente ha intercettato il pensiero della “pancia” del Gop, che sarebbe scettico rispetto ai finanziamenti continui all’Ucraina, vede l’invasione degli immigranti illegali come un pericolo imminente per l’Unione e si dicono sicuri che i processi a Trump siano motivati principalmente da ragioni politiche. Il 60 per cento degli elettori in South Carolina si considerano parte del movimento MAGA, mentre circa il 40 per cento di chi ha sostenuto Nikki Haley ha ammesso di aver votato per lei solo per opporsi a Trump.
La composizione di chi ha consegnato a Trump questa vittoria schiacciante è molto simile a quello che si è visto nei diversi stati, un netto cambiamento rispetto al passato, quando le differenze tra i vari elettorati erano molto significative. Due terzi di chi ha votato per Trump è bianco e non laureato, un blocco che fu alla base della presidenza Reagan: chi vota per Trump lo fa perché pensa che sarebbe l’unico in grado di difendere i valori e gli interessi della classe media.
Il voto in South Carolina non ha offerto risposte su uno degli elementi più interessanti di questa campagna, l’aumento dei sostenitori di Trump nelle comunità latine ed afro-americane, visto che quasi il 90 per cento degli elettori alle primarie sono bianchi. Il voto dei laureati è andato più o meno in parti uguali ai due candidati, un segnale non particolarmente incoraggiante in vista delle presidenziali vere e proprie, come la risposta che mostra come il 20 per cento di chi ha votato per Trump consideri alcune delle sue posizioni troppo estreme per battere Biden.
L’unica parte dell’elettorato delle primarie che Trump domina sono i conservatori, che, nelle ultime presidenziali, costituivano solo il 37 per cento dei votanti. Anche se quest’anno le limitazioni al ballot harvesting e la riduzione del voto postale in molti stati potrebbero ridurre la percentuale di moderati o liberal, Trump deve far meglio anche in questa parte dell’elettorato. In South Carolina non è riuscito a battere la Haley: non un segnale particolarmente incoraggiante.
Due reazioni molto diverse
La reazione dei due candidati al voto in South Carolina non potrebbe essere stata più diversa. Trump è stato molto attento a non nominare nemmeno una volta la rivale nel suo discorso, nel quale ha sottolineato l’unità del partito ed ha parlato principalmente della necessità di rimuovere Joe Biden dalla Casa Bianca. Nel lungo discorso al CPAC, la più importante conferenza del mondo conservatore, aveva fatto esattamente lo stesso, un netto cambiamento rispetto alle pubblicità nelle quali si era scagliato contro l’aumento delle accise sulla benzina approvate dalla Haley quando era governatrice.
Vedremo se nei suoi incontri pubblici programmati per i prossimi giorni in North Carolina e Virginia sarà in grado di continuare ad ignorare la rivale; solitamente Trump non è un amante delle mezze misure, specialmente in campagna elettorale. Il messaggio è invece evidente tra i suoi collaboratori: Jason Miller, quando un giornalista del sito Politico gli ha chiesto il perché la Haley non sia stata menzionata nemmeno una volta, ha risposto con un eloquente: “Chi??”.
L’ex governatrice ha preferito far finta di niente, continuando a parlare come se avesse ancora una possibilità di farcela: “Non mollerò questa campagna quando la maggioranza degli americani non approva l’operato né di Donald Trump né di Joe Biden. Qualche giorno fa avevo detto che avrei continuato la mia campagna comunque fossero andate le cose in South Carolina. Sono una donna che mantiene le sue promesse”. Invece di ammettere la sconfitta, ha provato a far finta di niente: “So bene che il 40 per cento non è la stessa cosa del 50 ma, allo stesso tempo, 40 non è una percentuale minima”. A sentire lei, continuare è il suo dovere e che i sondaggi mostrano come abbia più possibilità di Trump di battere Biden.
Come mai non ha ancora mollato?
La domanda che tutti si stanno facendo è però un’altra: come fa la Haley a non aver ancora gettato la spugna. A 52 anni sarebbe sicuramente una boccata d’aria fresca per un partito tuttora dominato da una gerontocrazia ma come si fa a continuare quando metà degli elettori che si sono presentati alle primarie del tuo stato hanno un’opinione negativa del tuo operato? Perché rimanere in gioco almeno fino al Super Tuesday se il Trump Train continua a muoversi come una schiacciasassi e non sembra riuscire a convincere il repubblicano medio che è un’alternativa migliore dell’ex presidente.
Trump ha raccolto quasi il doppio dei voti mai registrati in una primaria nel South Carolina: considerato che circa il 40 per cento dei 270.000 voti raccolti dalla Haley sono da elettori che hanno dichiarato di aver votato per Biden nel 2020, le sue percentuali all’interno del partito sono probabilmente bulgare.
Il fatto che non abbia mollato si spiega in maniera piuttosto semplice: normalmente un candidato si ritira quando non ha più soldi per pagare i conti della campagna elettorale. Questo succede di solito quando all’interno del partito c’è una lotta ideologica, come successe a Bernie Sanders nel 2016, quando l’ala progressista non era stata ancora cooptata dall’establishment democratico.
Buona parte dei suoi finanziatori sono quelli che vorrebbero riportare indietro l’orologio del Gop all’era Bush, i sostenitori dell’Uniparty, delle guerre infinite e degli omnibus bills pieni di soldi pubblici da distribuire ai propri amici. Fino a quando questi finanziatori e i Democratici che sperano di danneggiare in qualche modo Trump continueranno a pagare i conti, la Haley ha tutto l’interesse a rimanere in pista.
Se il suo scopo sia di negoziare una posizione nel governo o far parte di qualche improbabile mossa per sparigliare le carte lo capiremo nei prossimi giorni. Se non dovesse mollare neanche dopo il Super Tuesday sarà chiaro che qualcosa non torna. Fino ad allora, dovremo continuare a seguire queste stranissime primarie che, chissà per quale ragione, non sono ancora finite.