Trump contro tutti: da Kamala menzogne senza ritegno, moderatori faziosi

Dibattito 3 contro 1: Harris meglio delle attese, aiutata dai conduttori ad eludere le domande più scomode. Trump efficace sui temi che premono all’americano medio

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Il dibattito più atteso, quello che, secondo molti esperti, sarebbe stato decisivo per le prossime elezioni presidenziali, è ora alle nostre spalle ed ora è il momento dei bilanci a caldo. Il colpo da KO che molti si aspettavano non è arrivato ma sicuramente sono state quasi due ore all’insegna di colpi bassi, menzogne senza ritegno e due moderatori palesemente a favore di un candidato.

Non è stato il train wreck che molti temevano, gli attacchi personali ci sono stati, specialmente da parte di Kamala Harris, ma non sono scivolati a livelli triviali. La Harris è apparsa sicuramente più efficace che nella disastrosa intervista alla Cnn, riuscendo a resistere alla tentazione di interrompere Trump ed ha portato a casa qualche buon colpo.

Trump non è stato decisivo come nel dibattito con Biden, ha risposto talvolta in maniera confusa, abboccando all’amo che la Harris gli ha lanciato ma è riuscito a riportare il dibattito sui temi più sentiti dall’elettore medio, quei temi che sono stati affrontati a malapena dai moderatori. Vediamo cosa è successo in questo dibattito e quali indicazioni possiamo trarre per gli ultimi due mesi di questa incredibile campagna elettorale.

ABC sfacciata

Se i sostenitori di entrambi i candidati sono stati prontissimi a gridare alla vittoria e tessere le lodi dei rispettivi alfieri, ad aver perso su tutta la linea è stata la ABC, che ha gettato la maschera, portando acqua al mulino della Harris in maniera davvero sfacciata. La vicepresidente è stata in grado di lanciare attacchi ripresentando storie smontate più volte da osservatori indipendenti, come ad esempio il rally di Charlottesville o prendendosi il merito di decisioni che sono state fatte dall’amministrazione Trump, come ad esempio il limite di 35 dollari al mese per l’insulina.

Le cose nel caso di Trump sono state ben diverse, con il moderatore spesso aggressivo, confrontational, inserendo opinioni personali invece di fatti, comportandosi talvolta come un candidato. Le imprecisioni di Trump sono state tutte puntualizzate in maniera puntigliosa, mentre alla Harris è stato permesso di fare quel che gli pare. La cosa più evidente è stato, ad esempio, come a Kamala sia stato consentito di non rispondere alla domanda più scomoda per la Harris: quando le è stato chiesto se può dire agli americani se stanno meglio di 4 anni fa, la vice-presidente ha fatto finta di niente, senza venire incalzata dai moderatori come successo volta dopo volta nel caso di Trump.

A questo punto, se in passato i Democratici sembravano decisi ad evitare ulteriori dibattiti, con un soccorso del genere sono stati pronti a chiedere di averne altri. La campaign manager della campagna, Jen O’Malley Dillon, ha confermato subito dopo il dibattito che la vicepresidente è ora pronta ad avere un secondo dibattito in ottobre, sfidando Trump. Resta da capire, però, come reagiranno gli indipendenti a questa dimostrazione di faziosità, alle espressioni disgustate e alle accuse spesso irrispettose che la Harris ha riservato all’ex presidente.

Gli obiettivi pre-dibattito

Prima dell’inizio del dibattito mi ero appuntato una serie di obiettivi positivi e negativi per i due candidati, le cose da fare e le cose da evitare. Prima di scendere nei dettagli e parlare di come alcuni argomenti siano andati a favore della Harris o di Trump, vediamo se sono riusciti a rispettare i consigli dei rispettivi team di esperti e se sono stati abbastanza disciplinati da evitare errori grossolani. Kamala Harris, per come la vedo io, aveva tre obiettivi da raggiungere: mostrarsi forte ed aggressiva nei confronti di Trump, tornare sempre ai talking points, evitando di scendere nei dettagli e parlare dei problemi veri e, infine, camminare sul filo del rasoio tra fare la vittima ma senza esagerare.

Donald Trump, invece, avrebbe dovuto insistere sul legame Kamala-Biden, puntando sui suoi continui flip-flop su policies di ogni genere, incalzarla, metterla alle corde, sperando che andasse in confusione. Infine avrebbe dovuto cercare di rispondere in maniera sintetica, pungente ai suoi attacchi personali.

La Harris avrebbe dovuto evitare quella che in inglese si chiama word salad, ovvero parlare per frasi fatte, perdendosi nei suoi ragionamenti confusi ma soprattutto doveva rimanere calma, senza lasciarsi andare alla sua risata particolarmente irritante ma anche senza alzare il ditino e fare la “professorina”.

Trump, invece, avrebbe dovuto rimanere “presidenziale”, on topic, senza attaccare troppo ma, allo stesso tempo, ricordare ad ogni occasione che i problemi che stanno rendendo la vita delle famiglie americane un inferno sono colpa dell’amministrazione Biden, nella quale Kamala Harris ha servito per tre anni e mezzo.

Come sono andati i due candidati?

Prima di tutto, anche il repubblicano più trinariciuto dovrà ammettere che, viste le aspettative estremamente basse, la Harris si è comportata meglio di quanto molti osservatori conservatori si aspettavano. Kamala è riuscita a far passare alcuni dei talking points democratici, come il prestito a fondo perduto di 50.000 dollari per chi voglia aprire delle piccole imprese (proprio quelle che sono state distrutte dai lockdown imposti dai governatori democratici) o i 6.000 dollari per le nuove famiglie ma forse ha esagerato negli attacchi personali.

Apparire forte non vuol dire attaccare a testa bassa, lanciando accuse basate su informazioni palesemente incorrette, tutte lasciate passare dai moderatori della ABC. Le è stato consentito di evitare le domande più scomode, senza che i giornalisti insistessero per avere risposte chiare, dovere primario di un moderatore mentre in realtà è stata lei ad attaccare Trump, con una virulenza tale da far apparire il candidato repubblicano la vittima.

Trump è invece riuscito in pieno a legare a triplo filo la Harris a Biden, ripetendo più volte la domanda che molti si fanno, ovvero perché Kamala non ha fatto nei quattro anni passati alla Casa Bianca quello che promette di fare ora. Ha fatto notare i cambi di opinione su molti argomenti chiave ma la Harris non è andata in confusione, rimanendo sempre sul pezzo. Trump invece non è riuscito a rimanere disciplinato e rispondere in maniera sintetica e caustica agli attacchi della Harris, sicuramente non aiutato dalla faziosità dei moderatori.

In quanto agli obiettivi negativi, Kamala è scivolata spesso nelle frasi fatte ma non è stata così confusa come spesso le capita quando non ha un teleprompter di fronte. In quanto al ditino alzato, invece, la Harris non è riuscita a trattenersi, apparendo spesso e volentieri aggressiva ed irrispettosa.

Trump, invece, ha perso l’occasione di rimanere presidenziale ma ha colpito duro nel riportare l’attenzione sulle sofferenze delle famiglie americane. Il peccato originale per Trump, però, è stato di lasciarsi irritare dagli attacchi personali e dalle inesattezze della Harris, perdendo fin troppo tempo nelle polemiche e compiendo errori tattici piuttosto gravi, come parlare della storia non confermata degli haitiani che mangiano cani e gatti in Ohio invece di concentrarsi sui troppi omicidi commessi dagli illegali in ogni stato dell’Unione.

Momenti memorabili? Non molti

La domanda vera che rimane senza risposta è quanto questo dibattito che ha parlato in gran parte di argomenti che certo non appassionano il pubblico americano riuscirà a muovere gli equilibri di un’elezione che si preannuncia molto serrata. In realtà, i momenti memorabili sono stati davvero pochi, non particolarmente adatti ad essere trasformati in clip fatti apposta per infiammare X o TikTok.

Il fatto che la Harris non abbia risposto alla domanda delle mille pistole, ovvero “state meglio di quattro anni fa” è importante, ma non si può riassumere in un clip da 30 secondi. Più pericoloso, invece, il fatto che Kamala abbia accusato Trump di cose palesemente false, fornendo munizioni alla campagna del GOP ma si tratta di argomenti un po’ aridi, dall’appeal limitato.

Se all’inizio la Harris sembrava in difficoltà, ripetendosi, Trump ha messo a segno un buon colpo, dicendo che il piano di Kamala è quattro parole, copiate dal programma di Biden. Sicuramente il passaggio sull’aborto, questione fondamentale per la Harris, sostenuta quasi esclusivamente dai voti delle donne, è stato positivo per la vice presidente ma non ha offerto momenti virali, a parte la definizione di “Trump Abortion Bans” per le leggi statali e, forse, il fact-check sbagliato da parte del moderatore sulla legge in vigore in Virginia (l’ex governatore democratico in effetti parlò in maniera chiara di aborto anche dopo la nascita).

Colpi positivi ma poco efficaci

Il passaggio sull’Afghanistan, sul ritiro disastroso e sul fatto che l’amministrazione Biden non abbia licenziato né i generali né gli economisti che non sono stati in grado di tenere l’inflazione sotto controllo è un buon colpo per Trump ma non molto efficace. La Harris è stata efficace nella parte centrale, portando a casa alcuni punti positivi ma il fatto che i moderatori non abbiano fatto niente per correggerla o incalzarla potrebbe giocarle contro (Kamala è stata chiaramente contro il fracking ed ha raccolto fondi per i black bloc che hanno messo a ferro e fuoco l’America).

Se la battuta alla Harris “I’m talking now” è divertente, i momenti positivi per Kamala non sono mancati. Trump ha giocato in difesa per quasi tutto il dibattito, costretto a difendersi da tutto e tutti, ma nonostante tutto è riuscito ad essere efficace sui temi fondamentali, quelli più cari all’americano medio: su economia, inflazione ed immigrazione ha colpito duro ma basterà a far dimenticare i troppi momenti nei quali si è fatto prendere la mano? Ripetere ancora la menzogna del bloodbath o rivangare sul 6 gennaio, roba che i media ed i democratici ripetono da anni, avrà poco effetto sugli indipendenti che faticano a mettere assieme il pranzo con la cena.

Trump si è lasciato scappare l’occasione di affondare duramente sul conflitto Israele-Gaza e sull’antisemitismo latente dei Democratici e della stessa Harris, che si è fatta ricattare dai progressisti evitando di selezionare il governatore della Pennsylvania Shapiro proprio perché di religione ebraica.

La sensazione è che, nonostante i media mainstream si siano già scatenati nel tessere le lodi di Kamala e della sua “vittoria decisiva”, questo dibattito non cambierà molto le dinamiche elettorali, specialmente negli stati battleground. Vedremo nei prossimi giorni come si evolverà la situazione e quale influenza avrà avuto questo attesissimo dibattito sulle prossime presidenziali.

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