Trump dichiara guerra al Deep State: i “cani da guardia” Hegseth e Ratcliffe

Un crociato americano per estirpare la deriva woke dalle forze armate e una spia per riformare la CIA. Nel panico i tecnocrati non eletti che guidano il governo da dietro le quinte

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Dopo una settimana passata col popcorn in mano ad osservare le urla, gli strepiti e le profezie di sventura degli stessi media che non avevano capito niente di cosa stesse succedendo, il respiro di sollievo dell’America profonda si è sentito in tutto il mondo.

Pochi si aspettavano che, invece di godersela dopo una campagna elettorale massacrante, Donald Trump iniziasse il periodo di transizione che lo porterà all’inaugurazione il prossimo 20 gennaio con una raffica di dichiarazioni programmatiche e nomine. Trump è ben conscio che la sua amministrazione avrà solo circa 18 mesi per incidere in maniera profonda sul Paese e cercare di scardinare il mostruoso apparato amministrativo che aveva fatto l’impossibile per “limitare i danni” durante il suo primo mandato.

Se alcune nomine sono più tradizionali, un paio di nomi hanno fatto sollevare parecchi sopraccigli nella Beltway, mandando nel panico i tecnocrati non eletti che da decenni guidano il governo da dietro le quinte. Vediamo come queste scelte siano un chiaro segnale che, stavolta, Trump è deciso a smantellare questi centri di potere occulti ed andare allo scontro frontale.

Hegseth, crociato America First

Uno degli sport preferiti nei primi giorni dopo qualsiasi elezione è il toto-ministri, sport adorato dai giornalisti nel quale il secondo è solo il primo dei perdenti. La rosa di candidati per uno dei posti più cruciali di ogni amministrazione federale, il segretario della Difesa, era ampia e non priva di una serie di movimenti sotterranei fin troppo trasparenti per fare in modo che, gattopardescamente parlando, si cambiasse tutto perché le cose rimanessero esattamente come sono.

Come potrebbe essere altrimenti? Il budget che il governo federale dedica alle forze armate è talmente enorme da lasciare posto ad infiniti sprechi dai quali tutti guadagnano, dai rappresentanti eletti ai lobbisti fino a dirigenti ed azionisti dell’oligopolio definito dal presidente Eisenhower come il “complesso militare-industriale”.

Basta dare un’occhiata alla reazione scomposta di molti media di sinistra al nome di Pete Hegseth per capire il livello di sconcerto e sacro terrore in certi ambiti para-governativi. Se Trump definisce il nuovo segretario come una persona “tosta, intelligente e un sostenitore convinto del movimento America First”, la rivista di sinistra New Republic lo definisce, non senza una dose massiccia di perfidia, solo il co-conduttore del programma Fox & Friends Weekend di Fox News.

Fin troppo prevedibile che una delle pubblicazioni storiche della sinistra Usa definisca Hegseth “una delle peggiori nomine finora” ma non ha il coraggio di ammettere quale sia il vero problema del nuovo segretario: non esser mai stato sul libro paga delle poche mega-corporations che si spartiscono l’immensa torta della spesa militare.

Nonostante venga definito “molto meno esperto di una scelta tradizionale”, in realtà Hegseth è un veterano dei conflitti in Iraq e Afghanistan e, proprio per questo, sembra avere le idee molto chiare su come rimettere in sesto un apparato militare che, dal 2008 in avanti, sembra aver completamente perso la bussola. Hegseth non sta lì col bilancino, pensando a come le sue parole potrebbero danneggiare le sue prospettive di carriera future: dice più o meno cosa pensa, il che a Washington è un peccato capitale. Le donne in prima linea? Una pessima idea che “non ci ha reso più efficaci o più letali, complicando solo le cose. Spingere le donne in ruoli che, storicamente, sono fatti in maniera più efficace da uomini è inutile”.

I nemici veri? Cina e jihadisti

Altrettanto facile prendersela col suo libro pubblicato nel 2020, “American Crusade”, nel quale si scaglia senza mezzi termini contro il jihadismo e chi vuole imporre la religione islamica come sistema di governo in tutto il mondo. Hegseth accusa direttamente i rappresentanti delle associazioni islamiche di sfruttare la “tolleranza” americana per far passare comportamenti inaccettabili per ogni altro cittadino americano. Chiunque parli in termini chiari di “invasione” e di come il tasso di nascite metta a rischio il tessuto sociale statunitense non starà mai simpatico all’intellighenzia.

A sentire lui, i nemici dell’America sono due: le ambizioni egemoniche del Partito Comunista Cinese e il movimento jihadista. Con entrambi non si può scendere a patti: vanno “esposti, marginalizzati e schiacciati”. Nonostante si sia laureato nella prestigiosa università di Princeton, ha in passato sparato ad alzo zero nei confronti di chi esce fuori da queste istituzioni: durante il programma The Five, ebbe a dire: “più prestigiosa l’università dalla quale esci, più stupido sei. Se sei andato in una università della Ivy League, vuol dire che non hai buonsenso”.

Estirpare il woke dalle forze armate

L’esperienza nell’Esercito ha cambiato profondamente Hegseth che, dopo aver ricevuto due medaglie al valore, si è visto ostracizzato per le sue opinioni politiche e religiose. Come riportato in un articolo di Forbes, ha le idee chiare su come ripulire le forze armate: licenziare i generali woke e cancellare le iniziative DEI da subito. A suo dire, la frase più stupida che abbia mai sentito in ambito militare è che la “diversità ci rende forti”.

Gli anni passati davanti ad una telecamera a Fox News non gli hanno impedito di dirigere l’organizzazione Concerned Veterans for America, un gruppo di pressione di chiaro stampo conservatore. Se nel 2022 il suo attacco nei confronti dei media che, secondo lui, hanno fatto di tutto per “diffondere la propaganda russa e tenere in piedi un dittatore come Vladimir Putin” aveva fatto scalpore, alcuni senatori repubblicani moderati come la rappresentante dell’Alaska Lisa Murkowski si sono detti sorpresi dalla sua nomina, il che potrebbe causare problemi quando dovrà essere confermato dal Senato.

Non c’è voluto molto prima che ex generali di sinistra come l’ex General Maggiore Paul Eaton lo definissero wholly unqualified mentre altri puntano sul fatto che ben pochi altri segretari in passato siano stati così apertamente politicizzati. Quello che non capiscono è che proprio il fatto che Hegseth, nel suo ultimo libro “The War on Warriors”, si sia scagliato contro il “tradimento dei generali di sinistra” – dicendosi convinto che le forze armate debbano tornare ad operare secondo principi di meritocrazia, responsabilità fiscale e promuovere la ricerca dell’eccellenza – è stata la ragione principale per la quale Trump l’ha scelto.

Il suo mandato è fin troppo chiaro: fare pulizia delle nomine politiche, cancellare la deriva woke che ha causato la gravissima crisi nel reclutamento e, soprattutto, colpire al cuore l’abbraccio incestuoso tra burocrati non eletti e il complesso militar-industriale.

In un mondo sempre più pericoloso, gli immensi sprechi degli ultimi decenni non sono più accettabili: per proiettare ovunque Peace through Strength (Pace attraverso la forza), le forze armate devono tornare a pensare a come vincere le guerre, invece di perdere tempo ad inseguire le mitiche diversità, uguaglianza ed inclusività.

Ratcliffe, una spia per rifare la CIA

Se possibile, la nomina del nuovo direttore della CIA è ancora più significativa nel segnalare che, stavolta, l’approccio di Trump al Deep State sarà molto meno conciliante.

Per capire meglio quanto possa essere fondamentale affrontare direttamente l’apparato dell’Intelligence americana, dobbiamo fare un passo indietro fino al gennaio 2017. L’allora leader della maggioranza democratica al Senato, Chuck Schumer, durante un’intervista alla MSNBC, lanciò un avvertimento al nuovo presidente: mettersi contro l’Intelligence sarebbe “molto stupido”, visto che hanno “un’infinità di modi per fartela pagare”. Non ci volle molto per capire come sarebbe arrivata la vendetta delle varie agenzie che si occupano di Intelligence, dal famigerato Russiagate alle notizie imbarazzanti fatte avere ai media mainstream che fecero perdere troppo tempo prezioso all’inesperto Trump.

Per evitare il ripetersi di incidenti del genere, la scelta di un fedelissimo come John Ratcliffe sembra un segnale fin troppo chiaro: stavolta non ci faremo trovare impreparati. Il nuovo direttore della Central Intelligence Agency è una scelta molto più tradizionale, visto ha già servito nell’amministrazione Bush come capo dell’antiterrorismo e della sicurezza nazionale nel distretto est del Texas prima di essere nominato nel 2019 come direttore della National Intelligence.

Il suo compito? Riformare da zero le agenzie di intelligence che, secondo Trump, erano ormai politicizzate e compromesse. La missione, stavolta, sembra più o meno la stessa, ma con quattro anni a disposizione, invece di uno solo.

Nonostante avesse servito solo per pochi mesi, Ratcliffe ebbe il merito di capire fin da subito che le accuse di “disinformazione russa” legate al famoso portatile di Hunter Biden fossero del tutto false, cosa che è stata confermata con qualche anno di colpevole ritardo. In realtà, però, Trump ha voluto premiare il fatto che sia da deputato al Congresso sia come membro del team che assistette il presidente durante l’impeachment nel 2019, si è distinto nel difendere a spada tratta Trump e smascherare quanto labili fossero le accuse nei suoi confronti.

Il fatto di essere un avvocato che ha anche servito all’interno del Dipartimento di Giustizia sicuramente ha giocato a suo favore: Trump sa fin troppo bene che i difensori dello status quo picchieranno duro. Uno con l’esperienza di Ratcliffe dovrebbe essere almeno in grado di evitare grossolani passi falsi.

Secondo molti osservatori, il fatto di aver servito come capo del DNI dovrebbe garantirgli quell’appoggio da parte dei senatori repubblicani che gli venne a mancare nell’agosto 2019. Anche se dovesse essere confermato senza grossi problemi, avrà di fronte un compito da far tremare i polsi: attaccare le rendite di posizione, affrontare direttamente il “governo ombra” all’interno dell’Intelligence e, soprattutto, fare da scudo al presidente dai fin troppo prevedibili attacchi.

Un Trump diverso, alla FDR

Il segnale che il nuovo presidente vuole mandare all’esterno è cristallino: come il nuovo consigliere alla sicurezza nazionale Michael Waltz, anche Ratcliffe pensa che il Partito Comunista Cinese sia la minaccia principale per gli interessi americani nel mondo.

In un’editoriale per il Wall Street Journal del dicembre 2020, disse che “Pechino punta a dominare il mondo economicamente, militarmente e tecnologicamente. Buona parte delle grandi aziende cinesi servono solo a mascherare le azioni del PCC”. Il nervosismo della dirigenza cinese, in questo caso, sembra del tutto giustificato ma è solo uno degli aspetti interessanti di queste nomine.

Se riuscisse ad evitare che l’Intelligence agisca da quinta colonna, sabotando i tentativi di riformare l’amministrazione federale, i tentacoli di Pechino in tutto il mondo dovrebbero affrontare una resistenza ben più seria. Come notato in un articolo di Politico, Ratcliffe sarà una delle nomine politiche necessarie per portare a termine uno degli obiettivi chiave di Trump: riformare un sistema corrotto, infiltrato da attivisti democratici, nonostante le resistenze degli agenti più esperti e della tentacolare burocrazia che gestisce in maniera fin troppo allegra i budget riservati all’Intelligence.

L’affidarsi a persone che siano allo stesso tempo allineate dal punto di vista politico ma anche esperte e capaci di navigare le acque turbolente di Washington è un segnale di un nuovo approccio da parte di Trump. Dopo essere rimasto scottato dal “tradimento” da parte della burocrazia militare e dal sabotaggio da parte dell’Intelligence, il suo secondo mandato sarà all’insegna di uno stile molto più simile a quello tenuto in passato da presidenti come Franklin Delano Roosevelt o lo stesso Richard Nixon.

Se nel 2016 Trump si era, per così dire, “fidato degli esperti”, stavolta vorrà tenere in mano le redini in maniera più diretta, affidando ai propri nominati il compito di essere i suoi occhi ed orecchie negli infiniti corridoi della burocrazia. Questo non vuol affatto dire che il presidente si occuperà di ogni minimo dettaglio o si farà prendere dalla paranoia, come successo a suo tempo a Nixon.

Diciamo che terrà le redini più corte che in passato, affidando ad un altro dei suoi fedelissimi, il controverso Stephen Miller, il compito di verificare che le loro azioni rimangano nei confini del manifesto presentato agli elettori. Con lo staff della Casa Bianca tenuto in riga dalla Ice Maiden Suzie Wiles, la “macchina da guerra” di Trump sembra pronta allo scontro frontale con il Deep State. Se riuscirà davvero a smantellare il governo parallelo che ha reso immensamente farraginoso e costoso il governo federale lo scopriremo, però, solo nei prossimi 18 mesi.

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