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Trump incriminato: ecco il piano Dem per blindare la Casa Bianca nel 2024

Cose turche in America: Biden sta forzando la legge per mettere fuori gioco il suo principale avversario alle prossime elezioni presidenziali

Donald Trump incriminato

“Ironia della sorte, è uno schema corrotto per influenzare le elezioni presidenziali, esattamente ciò di cui Trump è accusato”

Ogni volta che emergono ulteriori prove della corruzione dei Biden, il Dipartimento di Giustizia dell’amministrazione Biden tira fuori nuove accuse contro Donald Trump – e ogni volta raschiando il fondo del barile. Esattamente il giorno dopo.

Il tempismo

Uno schema che si è ripetuto anche questa volta, con l’incriminazione dell’ex presidente con quattro capi di accusa legati al movimentato passaggio di poteri nel 2020-21 (e non specificamente, come vedremo, all’assalto al Congresso del 6 Gennaio, come stanno strombazzando i nostri media), arrivata subito dopo la testimonianza-bomba di Devon Archer, ex socio d’affari del figlio del presidente, Hunter Biden.

Un curioso tempismo giudiziario. L’8 giugno l’FBI fornisce al Congresso il documento in cui un suo informatore descrive lo schema corruttivo dei Biden con un soggetto ucraino, che risulterà essere il proprietario di Burisma, per 10 milioni di dollari. Il 9 giugno il procuratore speciale Jack Smith incrimina Trump per il caso dei documenti classificati di Mar-a-Lago.

Il 26 luglio salta il patteggiamento-farsa di Hunter Biden, dopo che davanti al giudice viene fuori che il Dipartimento di Giustizia aveva provato ad assicurargli uno scudo totale da ogni futura accusa. Il 27 luglio vengono aggiunte ulteriori accuse nei confronti di Trump per il caso di Mar-a-Lago.

E veniamo a questi giorni. Il 31 luglio Archer testimonia al Congresso che il presidente Joe Biden ha partecipato ad oltre 20 tra cene e chiamate con i partner d’affari del figlio Hunter, smentendo le ripetute affermazioni del presidente secondo cui nulla avrebbe saputo degli affari del figlio e mai avrebbe parlato con i suoi soci. E, taaac, ecco la terza incriminazione di Trump.

Le accuse contro Trump rimbalzano in pochi minuti sui media internazionali, ed italiani, mentre sulle prove che stanno emergendo, sempre più evidenti, della corruzione dei Biden, da inchieste condotte dal Congresso, silenzio assoluto, tutto censurato.

Nessuna istigazione alla rivolta

Quattro, dicevamo, i capi di imputazione: cospirazione per frodare gli Stati Uniti; cospirazione per ostacolare un procedimento ufficiale; ostacolo e tentativo di ostacolare un procedimento ufficiale; cospirazione contro i diritti dei cittadini. Non figurano tra le accuse, invece, i reati di “cospirazione sediziosa” o “insurrezione”.

Sorpresa. Per due anni ci è stato raccontato che in quel 6 gennaio 2021 Trump aveva incitato i suoi supporters alla rivolta, eppure il procuratore speciale Smith non lo ha incriminato per il reato federale che esplicitamente punisce l’istigazione alla rivolta, piuttosto per l’intera – legittima – campagna “Stop the steal”.

Durante la sua conferenza stampa, Smith ha fatto leva sull’assalto al Congresso del 6 Gennaio per impressionare media e pubblico, lasciando credere che Trump fosse stato incriminato per aver incitato i manifestanti ad assaltare il Campidoglio, ma non è così, non c’è nei capi di imputazione. Evidentemente, non ha alcuna prova per collegarlo penalmente a qualcosa di simile, la sua quindi è stata una dichiarazione politica mirata a influenzare la giuria del distretto “blu” di Washington DC.

Il caso è stato assegnato al giudice distrettuale Tanya S. Chutkan. Nominata dall’ex presidente Obama, è l’unico giudice federale di Washington DC che ha condannato gli imputati del 6 Gennaio a pene più lunghe di quanto abbia richiesto l’accusa.

Incriminato il free speech

Critiche a questa ennesima incriminazione di Donald Trump sono arrivate da due tra i più autorevoli organi conservatori, nessuno dei due “trumpiano”. Anzi. L’editoriale di National Review, pur ribadendo la ferma condanna della condotta dell’ex presidente dopo le elezioni del 2020, osserva che “il Dipartimento di Giustizia di Biden sta tentando di utilizzare il processo penale come seconda chance per un impeachment fallito. In effetti, Jack Smith sta tentando di criminalizzare discorsi politici costituzionalmente protetti, nonostante la Corte Suprema abbia ripetutamente ammonito i procuratori ad astenersi da teorie creative per forzare le leggi penali al fine di perseguire comportamenti scorretti che il Congresso non ha reso illegali”.

Il punto è che mentire in politica non è frode. Il reato di frode non nasce per punire le bugie nel discorso pubblico. Come la Corte Suprema ha ribadito solo poche settimane fa, “frode” nel diritto penale federale significa una truffa per derubare le vittime di denaro o proprietà tangibili, non un mezzo attraverso il quale i procuratori possono imporre la loro visione di buon governo.

Ammesso che l’accusa possa provare oltre ogni ragionevole dubbio che Trump non fosse effettivamente convinto della fondatezza delle frodi elettorali denunciate, si tratta di discorsi politici protetti dal Primo Emendamento.

“Per quanto riguarda l’ostruzione, gli americani, compresi i presidenti, hanno il diritto di tentare di influenzare il Congresso, anche sulla base di prove dubbie o immaginarie”, osserva l’editoriale di National Review. Estendere il concetto di “corruzione” come fa Smith significherebbe ledere persino il diritto costituzionale di un imputato a organizzare una difesa legale.

Ancora più campata in aria l’accusa di violazione dei diritti civili, sulla base di un reato post-guerra civile concepito per punire l’intimidazione e gli attacchi violenti del Ku Klux Klan contro i neri che tentavano di esercitare il loro diritto di voto. Ciò che Trump ha fatto, condivisibile o meno, è contestare voti già espressi. Non c’entra nulla.

“Un’altra incriminazione problematica”, è il titolo dell’editoriale del Wall Street Journal, che critica duramente Smith per le “pericolose implicazioni” della sua forzata teoria del reato di frode, con gli stessi argomenti di National Review: il comportamento di Trump dopo il voto del 2020 è stato vergognoso, ma non criminale.

Insomma, pur di colpire Trump, il Dipartimento di Giustizia incrimina di fatto il free speech. Ha ironizzato Jonathan Turley che il procuratore speciale Smith ha emesso il “primo atto d’accusa penale per presunta disinformazione. Se sottolinei con una penna rossa tutto il materiale presumibilmente protetto dal Primo Emendamento, puoi ridurre gran parte dell’atto di accusa ad un haiku…”.

Un precedente che “sventrerebbe la libertà di parola e potrebbe consentire al governo di arrestare coloro che sono accusati di diffondere disinformazione durante le elezioni”, avverte Turley.

Nel 2012, la Corte Suprema ha dichiarato incostituzionale criminalizzare le bugie in un caso che coinvolgeva un politico che aveva mentito sulle decorazioni militari. La Corte ha avvertito che tale criminalizzazione “conferirebbe al governo un ampio potere censorio senza precedenti. Il semplice potenziale per l’esercizio di tale potere mette un brivido, un brivido che il Primo Emendamento non può consentire se le libertà di parola, pensiero e discorso devono rimanere un fondamento della nostra libertà”.

L’atto di incriminazione riconosce che Trump aveva il diritto di affermare, anche falsamente, che le elezioni sono state truccate e che in realtà le ha vinte lui. È protetto dal Primo Emendamento. Ma doveva esserne convinto, cioè non poteva mentire consapevolmente. Questo però implica che l’accusa deve dimostrare che Trump non credeva alle sue stesse denunce. E poi, finito con Trump, dovrebbe incriminare praticamente ogni politico che mente sui risultati delle elezioni e, coerentemente, che mente per influenzare qualsiasi processo politico ed elettorale.

Le “frodi” dei Democratici

Iniziando proprio dai Democratici. Perché sono stati i Democratici a inaugurare in tempi recenti la prassi di contestare le elezioni e dichiarare illegittimi i propri avversari regolarmente eletti, provando anche a sabotare il processo di certificazione delle elezioni presidenziali del 2000, 2004 e 2016 – stessa identica accusa formulata contro Trump.

Che dire di Stacy Abrams, che per anni ha affermato di essere il vero governatore della Georgia, e tentato di ribaltare l’esito del voto a colpi di riconteggi? E dei 32 deputati Dem, e della senatrice Barbara Boxer, che nel gennaio 2005 tentarono di cancellare il voto legalmente certificato in Ohio per ribaltare l’esito delle elezioni a favore di John Kerry? Che dire degli appelli ai grandi elettori perché indicassero Hillary Clinton negli stati in cui nel 2016 aveva vinto Trump?

Nell’atto di incriminazione Smith accusa Trump di aver diffuso “bugie” sulle frodi elettorali, “affermazioni false, che sapeva essere false, ma ciò nonostante l’imputato le ha ripetute e ampiamente diffuse, per creare un’intensa atmosfera nazionale di sfiducia e rabbia, ed erodere la fiducia pubblica nel processo elettorale“. Un momento, fermi tutti. Proprio i Democratici, nel 2016 e per i tre anni successivi, hanno diffuso falsità, sapendo che erano falsità, per “creare un’intensa atmosfera nazionale di sfiducia e rabbia, ed erodere la fiducia pubblica nel processo elettorale”.

Per tutta la sua presidenza i Democratici hanno etichettato Trump come un presidente illegittimo, eletto grazie all’aiuto della Russia, chiamando gli americani alla “resistenza”. Dall’ex presidente Jimmy Carter a Hillary Clinton, che non ha mai abbandonato il tema della illegittimità dell’elezione del suo avversario.

Non solo il Russiagate si è rivelato una bufala. Oggi sappiamo che si è trattato di una gigantesca cospirazione della Campagna Clinton, con la complicità di esponenti di primo piano dell’FBI e del Dipartimento di Giustizia, della CIA, fino alla Casa Bianca di Obama, per rovesciare o almeno minare la presidenza Trump. Nessuno è stato incriminato per “cospirazione per frodare gli Stati Uniti”.

A proposito di “frode elettorale”, ricordiamo anche che l’FBI e 51 ex funzionari dell’Intelligence, tra cui cinque ex capi della CIA, durante le elezioni del 2020 hanno etichettato la storia del laptop di Hunter Biden come disinformazione russa, convincendo i social media a censurarla. In seguito abbiamo appreso che non solo il laptop era autentico, ma che è stata una iniziativa in coordinamento con la Campagna Biden; sapevano che erano menzogne, ma lo hanno fatto per aiutare Joe Biden a vincere, hanno ammesso. Non solo nessuno di loro è stato accusato di “cospirazione per frodare gli Stati Uniti”, ma tutti hanno ancora oggi i loro nulla osta di sicurezza.

Con sprezzo del ridicolo, nell’atto di incriminazione il procuratore Smith sostiene che Trump avrebbe continuato ad attuare la sua “frode” anche quando il 6 gennaio twittava “Restate pacifici!” e “Nessuna violenza!”

Il piano Dem per il 2024

Dunque, le accuse contro Trump si fondano su una interpretazione volutamente errata di alcuni reati penali e sulla presunzione di una sua intenzione – mentire sapendo di mentire – che non sarà mai dimostrabile oltre ogni ragionevole dubbio. Ma Smith scommette su una giuria compiacente nella “blu” Washington. E questa scommessa, al contrario delle sue accuse, non è, purtroppo, campata in aria.

Questo uso politico della giustizia rischia di rappresentare un pericoloso precedente, ma evidentemente i Democratici sono determinati a mantenere il potere a qualunque costo.

In effetti, come ha osservato Andrew McCarthy su The Messenger, questa ennesima incriminazione di Trump è “uno schema politico per influenzare la prossima elezione“:

Lo schema politico, che il Dipartimento di Giustizia di Biden ha mascherato da procedimento legale, è quello di portare il caso in tribunale e inondare gli elettori con immagini della rivolta del Campidoglio durante la campagna elettorale del 2024. Ironia della sorte, è uno schema corrotto per influenzare le elezioni presidenziali, esattamente ciò di cui Trump è accusato.

Certo, oggi non fa che gonfiare i consensi per Trump nei sondaggi. Ma bisogna essere realistici. Come abbiamo osservato già in passato, se gli elettori repubblicani, come sembra, lo incoroneranno alle primarie, rischieranno di ritrovarsi con un candidato azzoppato.

Il supporto tra i suoi fan aumenterà, verranno galvanizzati dalla “persecuzione”. Ma proviamo a proiettarci al 2024. A cosa assisteremo nel caso di una riedizione del duello del 2020? Trump avrà 2-3 processi in corso. Tutta la copertura mediatica sui suoi casi, 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. Ogni giorno nuove rivelazioni. Nel frattempo, i disastri di Biden oscurati.

Ai Democratici i processi contro Trump serviranno per insinuare il sospetto negli elettori indipendenti, nei “moderati”, quanti bastano negli stati chiave, per ricordargli che Trump è una minaccia per la democrazia da non rischiare nuovamente, e come al solito punteranno sul voto anticipato e per posta, mentre Trump si ritroverà dissanguato dalle sue spese legali personali. Che riesca o meno, questo è evidentemente il piano: usare il sistema penale contro Trump per influenzare le elezioni del 2024.

Verso un regime?

Di recente abbiamo appreso (1) che Hunter Biden ha ricevuto denaro dalla Cina, mentre il presidente Biden aveva affermato il contrario; (2) che lo stesso presidente ha parlato con i soci d’affari del figlio in più di 20 occasioni, mentre sempre Joe Biden aveva ripetutamente negato; (3) che l’FBI è in possesso dal 2019 di un rapporto di un suo informatore “affidabile” in cui è descritta la corruzione dei Biden con Burisma. Eppure, il Dipartimento di Giustizia di Biden ha cercato di concedere segretamente al figlio del presidente un’ampia immunità, praticamente totale.

L’Attorney General Merrick Garland non nominerà un procuratore speciale per indagare sulla più che sospetta corruzione dei Biden, su cui il Dipartimento di Giustizia ha un conflitto di interessi lampante. Ma lo ha nominato per Trump, nonostante l’assenza di qualsiasi conflitto, come mossa politica, per poter mobilitare il sistema penale contro il principale avversario di Biden nella campagna del 2024, fingendo di non avere nulla a che fare con esso – anche se Smith risponde a Garland ed esercita un potere che appartiene esclusivamente a Biden.

Un doppio standard clamoroso, senza precedenti. Gli Stati Uniti sono oggi un Paese in cui il governo mette sotto accusa il principale leader dell’opposizione per i suoi discorsi politici e insabbia, invece, i potenziali crimini del presidente in carica e della sua famiglia. È forse eccessivo chiedersi se stiano scivolando verso un regime, ma certo la deriva è da Terzo Mondo, non da nazione leader del mondo libero.