Bene, ma non benissimo, come d’altra parte era facile attendersi, è andata la telefonata di ieri tra il presidente Usa Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin sull’Ucraina (ma non solo). Bene perché qualcosa si muove. Una telefonata allunga la vita, recitava lo spot.
Putin ha accettato un cessate il fuoco di 30 giorni sulle infrastrutture energetiche, respingendo però di fatto il cessate il fuoco completo e incondizionato proposto da Trump e già firmato da Kiev a Gedda. Nel resoconto della Casa Bianca si parla di un cessate il fuoco “energetico e infrastrutturale”, quindi sembra di capire anche su altre infrastrutture civili, non solo quelle energetiche. Quali? Non è chiaro.
I due leader hanno concordato sulla necessità di arrivare ad una “pace duratura” e di avviare “negoziati tecnici per un cessate il fuoco marittimo nel Mar Nero, un cessate il fuoco completo e una pace permanente”, si legge nella nota della Casa Bianca. “Questi negoziati inizieranno immediatamente in Medio Oriente”.
La condizione fondamentale
Non benissimo perché, come era già emerso, le richieste russe vanno ben oltre la rinuncia all’ingresso di Kiev nella Nato, vero e proprio specchietto per le allodole, e mirano a rendere l’Ucraina praticamente indifesa e soggiogata all’influenza russa. Questo è il vero tema di tutto il negoziato, garanzie di sicurezza solide per un’Ucraina libera e indipendente, non i territori e l’appartenenza alla Nato.
Ebbene, il Cremlino riferisce nel suo resoconto della telefonata di aver posto come “condizione fondamentale” per fermare il conflitto (1) la fine della mobilitazione forzata in Ucraina, (2) la “cessazione completa degli aiuti militari stranieri” e (3) della “fornitura di informazioni di intelligence” a Kiev.
Molto significativo che questa “condizione fondamentale” non compaia affatto nel resoconto americano. E che nell’intervista di ieri sera a Laura Ingraham, Trump abbia esplicitamente negato che Putin abbia chiesto di cessare gli aiuti a Kiev: “No, non l’ha chiesto, non si è parlato affatto di aiuti”. Sarebbe chiaramente un macigno sulla strada verso la pace. Ma in questa fase iniziale evidentemente la Casa Bianca preferisce guardare il bicchiere mezzo pieno, far finta di non aver sentito per far progredire i negoziati. E ci sta di spingere una narrazione positiva, ogni colloquio è per definizione “molto buono” e “produttivo”, anche quando partorisce un topolino.
D’altra parte, la “condizione fondamentale” di Putin è sul tavolo ma per il momento non impedisce un primo parziale cessate il fuoco e l’avvio di negoziati nel merito. C’è anche una fragilità in questa “condizione fondamentale” citata dal Cremlino. Trump potrebbe eventualmente impegnarsi a sospendere gli aiuti Usa, ma non obbligare gli europei a fare altrettanto. Armi e intelligence Usa non sono al momento sostituibili, ma nel medio periodo, se gli europei dovessero impegnarsi davvero nel riarmo come hanno annunciato?
A voler essere ottimisti si potrebbe anche notare l’assenza di riferimenti nella nota del Cremlino alla “denazificazione” e “demilitarizzazione” dell’Ucraina, due obiettivi di guerra proclamati e più volte ribaditi.
Le due versioni
Su altri due punti le due versioni della telefonata, quella del Cremlino e della Casa Bianca, differiscono significativamente. Per il Cremlino i due leader avrebbero confermato l’intenzione di proseguire i negoziati per risolvere la guerra ucraina “in modo bilaterale”, mentre per la Casa Bianca avrebbero concordato che “un futuro con un rapporto bilaterale migliorato tra Stati Uniti e Russia ha enormi vantaggi”, inclusi “enormi accordi economici e stabilità geopolitica quando la pace sarà raggiunta”.
Nella prima versione si parla del negoziato sull’Ucraina come di un processo bilaterale Usa-Russia, da cui gli ucraini sarebbero esclusi perché, accusano i russi, hanno più volte violato gli accordi dimostrandosi inaffidabili – cosa che ovviamente si potrebbe dire di Mosca. Nella seconda si parla della necessità di migliorare le “relazioni bilaterali” Usa-Russia. Sono cose notevolmente diverse. Quanto ai potenziali “enormi accordi economici”, chiarissimo che per Trump sono subordinati alla positiva conclusione del processo, “quando la pace sarà raggiunta”.
Iran e Israele
Inoltre, per la Casa Bianca entrambi i leader avrebbero concordato che “l’Iran non dovrebbe mai essere in grado di distruggere Israele”, passaggio che non risulta nella versione russa. Anche se il riferimento all’atomica iraniana è chiaro, tuttavia non si dice esplicitamente “non dovrebbe mai essere in grado di dotarsi di una testata nucleare” e nella versione russa si parla genericamente di “non proliferazione”, non citando in alcun modo l’Iran.
Non sfugge che si sia parlato anche di Medio Oriente, dopo la quarta notte consecutiva di raid Usa contro i terroristi Houthi nello Yemen. L’amministrazione Trump ritiene Teheran responsabile degli attacchi Houthi alle navi di passaggio nel Mar Rosso e sembra intenzionata a fare sul serio nel ripristinare la rotta commerciale. La libertà di navigazione è pilastro fondamentale dell’ordine a guida Usa, seriamente incrinato dall’inazione di Biden.
Palla in tribuna
Il giudizio sulla telefonata dipende molto dalle aspettative. Si può dire che il presidente Usa abbia ottenuto ben poco, un gesto poco più che simbolico, un primo parzialissimo, molto limitato cessate il fuoco, lontanissimo dal cessate il fuoco completo concordato a Gedda con Kiev. Né sembra che abbia svenduto l’Ucraina in due ore al telefono come pure qualcuno aveva ipotizzato alla vigilia.
Trump doveva uscire dalla telefonata con qualcosa in mano e Putin gli ha concesso il minimo, buttando di fatto la palla in tribuna. È certamente un modo di vedere le cose. Ma ha comunque ottenuto di tenere Putin al tavolo e avviare qualcosa che somiglia ad un processo di pace. Tutto ancora da verificare.
Inutile ricordare che Trump si gioca molto della sua presidenza in questo tentativo di reset con Putin. Con l’autocrate russo molti suoi predecessori si sono bruciati (Bush jr, Obama, Biden).
Il gioco di Putin
Entrambe la parti sono al momento interessate a mostrare la propria volontà di pace, probabilmente Putin al di là delle sue reali intenzioni.
Certo non ci sfugge quale può essere – e con ogni probabilità è – il suo gioco. In fondo, non ha nulla da perdere nel provare a raggiungere i suoi obiettivi, la capitolazione e il controllo dell’Ucraina, per via diplomatica anziché sui campi di battaglia. Se per il desiderio e la fretta di mantenere la promessa Trump dovesse costringere Kiev ad arrendersi, tanto meglio. In caso contrario, potrà sempre continuare con la guerra. E intanto incassa da Washington la normalizzazione delle relazioni e un trattamento da pari a pari.
Il presidente Usa è determinato a porre fine alla guerra e per indurre Kiev a sedersi al tavolo non ha esitato ad usare le maniere forti, ma se vorrà ottenere una “pace” che non significhi regalare l’Ucraina a Mosca, esito che segnerebbe negativamente la sua presidenza, dovrà prima o poi esercitare la massima pressione anche su Putin, per costringerlo a far tacere le armi anche senza aver raggiunto i suoi obiettivi di guerra. Ma il presidente russo non avrà motivo per smettere di perseguirli se non incontrerà un limite invalicabile.
A ben guardare, anche sulla “condizione fondamentale” posta da Putin ci sarebbero margini di trattativa, posto che nel caso in cui si arrivi ad una pace il materiale bellico fornito a Kiev non sarebbe comunque, in quantità e qualità, identico a quello di oggi: le tempistiche, la tipologia di aiuti militari, la immediata riattivazione in caso di violazioni etc, tutto rientra nel grande e decisivo capitolo delle garanzie di sicurezza.