Trump Revolution: il Gop è il nuovo partito dei lavoratori

Per i Repubblicani occasione storica. Ai Dem sono scoppiati in mano i deliri woke e la politica delle minoranze: gli Usa sono un paese di gente che lavora per vivere

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Nonostante ognuna venga dipinta come la più importante di sempre, non tutte le elezioni sono uguali, nemmeno in America. Se i quasi 250 anni di storia del paese sono pieni di appuntamenti elettorali che hanno più o meno lasciato il paese com’era, la seconda elezione alla Casa Bianca di Donald J. Trump è, se possibile, ancora più significativa del trionfo del 2016.

La traversata nel deserto di Trump gli ha consentito di definire meglio i fondamentali del suo movimento America First e, soprattutto, stringere accordi con protagonisti che potrebbero essere decisivi nella lotta alla swamp. Il segnale più forte è però un altro: il nuovo Grand Old Party targato Trump ha trovato una nuova identità, diventando l’unico rappresentante nel panorama politico degli interessi della working class. Questo passaggio epocale non solo ha garantito la vittoria a valanga di Trump ma rischia di cambiare per decenni la politica a stelle e strisce.

Il peccato originale di Kamala

Invece di alimentarsi delle eco delle nostre piccole echo chamber virtuali, ogni tanto è bene guardare oltre, a cosa si dice dall’altra parte della barricata. Vi risparmiamo le urla e gli strepiti di giornalisti, analisti prezzolati o i troppi meltdown di giovani attivisti che usano i social media come sostituti di quelle sessioni di analisi di cui avrebbero un disperato bisogno. L’articolo pubblicato da Timothy Noah su una delle riviste storiche della sinistra americana, il New Republic, ha il merito di definire bene il peccato originale della campagna di Kamala Harris: dimenticare che gli Stati Uniti sono un paese di gente che lavora per vivere.

Le persone terminally online o che scelgono (chissà per quale oscura ragione) di passare la loro vita nelle pestilenziali metropoli costiere, passando da un salotto all’altro, dimenticano che il 62 per cento degli americani non è laureato e che, secondo molti exit polls, hanno scelto in maniera decisiva il candidato repubblicano.

Se i Democratici provano da anni a definire qualsiasi cosa in termini di genere o di razza, la discriminante più efficace nel capire i movimenti dell’elettorato americano rimane sempre la classe sociale. A forza di rincorrere rumorosissime minoranze isteriche, gli strateghi democratici si sono dimenticati che il 57 per cento degli elettori che si sono presentati alle urne sono working class. Il loro verdetto ha fatto tutta la differenza del mondo, un 54 a 44 che è stato la pietra tombale per le speranze di Kamala Harris di trasferirsi alla Casa Bianca.

Nel giro di soli quattro anni, la differenza tra Elefante ed Asinello è più che raddoppiata dal +4 del 2020, confermando che l’ossessione per tematiche marginali, i deliri woke e le politiche fatte apposta per evitare la fuga delle frange più estreme sono costati carissimo ai Democratici. Alla fine si è confermata una delle leggi non scritte più spietate della politica Usa: nessun democratico da 100 anni vince senza il supporto della working class. L’unica eccezione è stato proprio Joe Biden nel 2020, in un’elezione talmente sui generis da essere considerata un vero e proprio unicum. A conti fatti, pensare di poter ripetere quanto visto quattro anni fa è stato un errore madornale, che potrebbe avere conseguenze pesanti anche nel lungo periodo.

Il “tradimento” dei sindacati

Il gruppo di potere all’interno del DNC, principalmente Obama, Pelosi ed i Clinton, ha pensato di correggere i tanti errori fatti in tre anni e mezzo semplicemente con un coup de theatre, defenestrando Biden e piazzando al suo posto Kamala Harris. Nel farlo, però, si è preclusa la possibilità di distanziarsi dalle disastrose politiche condotte dall’amministrazione in economia e sull’immigrazione, tematiche particolarmente sentite dai lavoratori.

Ogni volta che riempiva il serbatoio del proprio pick-up o si ritrovava in mano uno scontrino del supermercato, il lavoratore medio ricordava come le cose andassero molto meglio quando alla Casa Bianca c’era Trump e meditava vendetta. La Harris ha provato a corteggiare la classe media con tante promesse fumose, riuscendo a recuperare in parte l’abisso che la separava da Trump ma, alla fine, è stato tutto inutile. Nonostante la continua retorica razziale, a tradire Kamala non sono stati i lavoratori bianchi ma quelli latinos e di origine asiatica: i 46 punti di vantaggio tra i lavoratori non-bianchi del 2020 si è ridotto di un terzo, confermando che la working class aveva risposto in maniera decisiva alla promessa di Trump di rappresentare i loro interessi.

Alla fine, la questione immigrazione è stata in grado di demolire una delle constituencies più solide dei Democratici, i lavoratori sindacalizzati. Kamala ha vinto 54-44 ma perdendo ben sei punti nei confronti di quanto fatto da Biden quattro anni prima. Come si spiega questo smottamento? Con il fatto che, nonostante il costante gaslighting operato dai media, chi lavora sa benissimo che inflazione e il dissennato aumento del salario minimo hanno spinto molti datori di lavoro a rivolgersi agli illegali per rimanere a galla.

Le immagini del caos alla frontiera messicana hanno avuto un impatto dirompente sulle famiglie dei lavoratori: ognuno di quegli illegal aliens poteva portargli via il posto di lavoro. Alla fine anche famiglie che votano democratico dai tempi di Kennedy hanno cambiato idea, avvicinandosi a Trump, l’unico che parlava di temi reali in maniera semplice, senza le famigerate word salad di Kamala.

Alla fine, la pressione di una base furibonda per il tradimento dei Democratici ha costretto tre potenti sindacati come quello dei camionisti, dei pompieri e dei lavoratori portuali a negare l’endorsement al candidato democratico. Molti altri sindacati minori hanno addirittura appoggiato Trump, un segnale molto preoccupante per la dirigenza democratica.

Il futuro dei Democratici

Se l’attenzione si è giustamente concentrata sul trionfo di Trump, a disturbare il sonno della dirigenza democratica è sicuramente il fatto che il nuovo Gop abbia fatto passi avanti sia alla Camera che al Senato, garantendo una solida maggioranza repubblicana. La speranza è che tra due anni, come succede solitamente in America, le mid-terms vedano i Democratici riconquistare la maggioranza alla Camera ma stavolta le cose potrebbero andare in maniera diversa. Un dato positivo arriva dalle gare per il Senato, dove i candidati democratici hanno fatto regolarmente meglio della Harris.

Questa cosa va contro ad una tendenza recente della politica Usa, la riduzione del cosiddetto ticket-splitting, ma non è del tutto nuova: quattro anni fa, ad esempio, i candidati del Gop al Senato avevano fatto meglio di Trump in molti swing states. Molti giornalisti di sinistra si aggrappano a questo fatto per gettare la croce sulle spalle di Kamala, candidata che, nonostante mesi di lavaggio del cervello mediatico, è stata affossata dalla propria inadeguatezza ma questo assomiglia troppo ad un conveniente scaricabarile.

Se il differenziale in stati deep red come Ohio o Texas lascia il tempo che trova, più significativo il fatto che in Wisconsin la Baldwin sia stata in grado di battere il repubblicano Hovde, cosa successa anche in Michigan e Pennsylvania. Discorso a parte meriterebbero le gare del Senato in Arizona e Nevada, dove si segnalano inconsistenze molto sospette sul computo dei voti a favore dei democratici Gallego e Rosen. Alcuni analisti sono pronti a dare la colpa della sconfitta agli errori di Biden o al fatto che il costo della vita sta spingendo molte famiglie sull’orlo dell’indigenza ma la sensazione è che il rapporto tra il Partito Democratico e la working class abbia passato un punto di non ritorno.

Una componente è sicuramente legata alla gestione dell’economia ma, negli ultimi anni, l’amministrazione democratica ha costantemente trascurato i problemi dei lavoratori, mettendo in opera policies che hanno devastato la classe media. Da anni le comunità più svantaggiate vedono chiudersi centri sociali per fare posto ai milioni di illegali fatti entrare nel paese.

Cosa ancora più grave, quando fanno notare quanto queste scelte stiano danneggiando le loro comunità, vengono tacciati di razzismo. Il problema dei problemi è che i Democratici hanno scelto di essere il partito delle elites, dei dipendenti pubblici e delle troppe minoranze rumorose, dimenticando che la base del proprio consenso erano i lavoratori.

Un’occasione storica per il Gop

Si potrebbe parlare a lungo delle mille ragioni che hanno spinto la middle class ad affidare il futuro del paese a Donald J. Trump, dalla criminalità rampante che si sta allargando a sobborghi una volta sicuri fino all’invasione della critical race theory nelle scuole statali, dall’irruzione dei trans negli sport femminili. La sensazione è che, ancora più della spirale inflazionistica sia nei generi di prima necessità che nelle proprietà immobiliari, molti lavoratori si siano sentiti non solo trascurati ma addirittura presi in giro.

Quando non riesci a mettere insieme il pranzo con la cena, sentire un rappresentante dell’amministrazione federale affermare che l’economia “va alla grande” solo perché il mercato azionario cresce, non può che farti andare di traverso il cibo. Aggiungi l’appeal del messaggio rassicurante di un Trump più moderato e che, specialmente dopo l’attentato in Pennsylvania, è apparso più tranquillo, come se sentisse di avere la vittoria in tasca e si spiega un risultato così dirompente.

Da qui a dire che l’elettorato è diventato di colpo repubblicano, però, ce ne corre. Molti hanno votato non a favore del programma di Trump ma contro il disprezzo mostrato dalle elites nei propri confronti, le politiche dissennate di Biden, i media prezzolati che hanno provato a far passare una candidata oggettivamente impresentabile come se fosse sempre stata un genio. Come diceva Lincoln, you cannot fool all the people all the time: alla fine, riproporre il leit motiv del 2016, ripetendo ossessivamente che Trump è literally Hitler mentre la gente non riesce a pagare la rata del mutuo è stato un autogol clamoroso.

Non è la prima volta che il Gop ha l’opportunità di piantare la bandiera nella working class: era successo già negli anni ‘80 ma il partito era stato incapace di evitare che quei Reagan Democrats tornassero all’ovile. Stavolta le cose sono diverse: il nuovo Grand Old Party è meno “stupido” di una volta ed è riuscito a depurarsi da molte delle caratteristiche che lo rendevano improponibile per i lavoratori. I fondamentalisti religiosi sono meno forti che in passato, i massimalisti che sproloquiavano di mercato libero per coprire gli interessi di chi voleva manodopera a basso prezzo sono stati marginalizzati.

Lo stesso ingresso nella Big Tent di RFK Jr e di parecchi libertari è un segnale che i nuovi Repubblicani sono finalmente diventati più pragmatici. Ora, però, viene il difficile: Trump dovrà muoversi in fretta per rassicurare questi nuovi elettori, dimostrare che ha davvero a cuore i loro interessi. Se dovesse riuscire a migliorare la situazione da subito, la working class potrebbe sposare il progetto del nuovo Gop, lasciando ai deliri woke la carcassa del Partito Democratico.

Se nel 2016 Trump aveva dovuto combattere l’establishment repubblicano, che lo aveva più volte pugnalato alle spalle, stavolta avrà un partito molto più a sua immagine e somiglianza. Non sarà semplice, ma questa è davvero un’occasione unica ed irripetibile: anche in stati blu notte come New York o la stessa California, i repubblicani stanno avanzando elezione dopo elezione, al punto da far temere che, in un paio di cicli, possa avvenire l’impensabile. Se riuscisse davvero a diventare il nuovo partito dei lavoratori, niente sarebbe impossibile.

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