Esteri

Trump scarica Zelensky ma rischia di incartarsi e farsi umiliare da Putin

Trump infuriato con Zelensky sposa la richiesta di elezioni a Kiev. Poche ore dopo l’incontro di Riad massicci attacchi russi contro le città ucraine offuscano i primi passi Usa-Russia

Trump Zelensky (Foxnews)

Decisamente Donald Trump non ha preso bene lo sfogo del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ieri ad Ankara si era lamentato dell’incontro Usa-Russia a Riad senza rappresentanti ucraini (“non siamo stati invitati … è stata una sorpresa per noi e lo abbiamo appreso dai media”), spiegando di aver rinviato la visita in Arabia Saudita per non creare “una falsa impressione di negoziati” e lamentando anche che “gli Usa e diversi Paesi europei non sostengono la membership Nato dell’Ucraina”, il che “coincide con i desideri” di Mosca.

Anche nei giorni scorsi Zelensky aveva dato l’impressione, con le sue dichiarazioni probabilmente premature contro “qualsiasi accordo sull’Ucraina senza l’Ucraina” – quando i negoziati veri e propri non sono ancora iniziati – di voler sabotare gli sforzi americani di avviare il negoziato con la Russia.

Trump non ha lasciato correre e durante una conferenza stampa, nella serata di ieri, interrogato sulle parole di Zelensky si è detto “molto deluso“:

Penso di avere il potere di porre fine a questa guerra e penso che stia andando molto bene. Ma oggi ho sentito “Oh, beh, non siamo stati invitati”. Beh, sei lì da tre anni. Avresti dovuto farla finita in tre anni. Non avresti mai dovuto iniziarla, avresti dovuto fare un accordo”.

Così suggerendo che siano stati gli ucraini a scatenare la guerra, o quanto meno a causarla – il che coincide con la narrazione del Cremlino.

Elezioni in Ucraina

Rispondendo ad una giornalista che gli chiedeva se gli Stati Uniti sostenessero la richiesta russa che si tengano elezioni presidenziali in Ucraina prima di arrivare ad un accordo di pace definitivo, Trump ha brutalmente scaricato Zelensky:

Abbiamo una situazione in cui non abbiamo avuto elezioni in Ucraina, dove c’è la legge marziale, dove il leader in Ucraina – mi spiace dirlo – ma ha un indice di gradimento inferiore al 4 per cento [un dato che non risulta, non si sa dove l’abbia ricavato, ndr]. Dove un Paese è stato ridotto in mille pezzi, la maggior parte delle città è rasa al suolo. Gli edifici sono crollati. Sembra un enorme sito di demolizione. Sì, direi che – sai, vogliono un posto al tavolo. Si potrebbe dire che il popolo deve averlo, il popolo ucraino non dovrebbe dire, ad esempio, “è passato molto tempo dall’ultima volta che abbiamo avuto un’elezione”?

Non solo quindi Trump sostiene l’idea di tenere elezioni presidenziali in Ucraina prima di un accordo, ma la rivendica come una sua idea: “Questa non è una cosa della Russia. È qualcosa che viene da me e da molti altri Paesi”.

Tra l’altro, la pretesa che si tengano elezioni presidenziali in Ucraina prima di un accordo di pace si scontra con problemi pratici oggettivi, come i milioni di profughi ancora fuori dal Paese, o la definizione dello status dei territori ucraini occupati dai russi, che è oggetto proprio dell’accordo che il voto dovrebbe precedere.

E qui bisogna sottolineare un altro aspetto: annettendo la Crimea e le altre regioni occupate, ex feudi elettorali dei partiti ucraini filorussi, Putin si è auto-ridotto le possibilità di influenzare le elezioni ucraine. Molto difficilmente una Ucraina menomata di quelle regioni eleggerebbe un presidente filorusso.

L’errore di Trump

Zelensky avrebbe potuto essere più prudente, fare buon viso a cattivo gioco in questa fase preliminare, dato che comunque, prima di entrare nel vivo delle trattative, Stati Uniti e Russia avrebbero dovuto stabilire un percorso condiviso, un framework e, innanzitutto, ristabilire un livello minimo nelle loro relazioni bilaterali, a cominciare dalle rispettive missioni diplomatiche? Forse sì.

Ma a rischiare di mandare tutto in vacca è la convinzione di fondo di Trump, come avevamo ricordato, secondo cui il casus belli è l’ingresso di Kiev nella Nato e che rimossa questa prospettiva, la pace sarebbe stata a portata di mano già tre anni fa. Da qui deriva la convinzione della resistenza ucraina come una sorta di capriccio e non una lotta per l’indipendenza nazionale.

Ma l’idea che gli ucraini nel febbraio 2022 se la sarebbero potuta cavare con la rinuncia alla Nato e qualche lembo di terra, risparmiandosi morti e distruzione, è più che ingenua, è infantile. Vladimir Putin voleva arrivare a Kiev, deporre Zelensky, sostituirlo con un suo fantoccio. E così facendo, porre fine alla progressiva integrazione economica e politica dell’Ucraina nel sistema occidentale, che nella sua essenza prescindeva (e tutto sommato ancora prescinde) dall’ingresso formale nella Nato, e riportarla nella sfera di influenza russa, assoggettata a Mosca.

Non essendoci riuscito con le buone, ed essendogli sfuggita di mano nel 2014, ci ha riprovato con le cattive nel 2022.

Rischio umiliazione

A questo punto, è alto il rischio per Trump di andare verso una totale umiliazione, con ricadute peggiori dello sciagurato ritiro dall’Afghanistan. Se Zelensky si mette di traverso e la guerra non finisce, è un fallimento. Se Washington chiude il rubinetto degli aiuti, abbandona l’Ucraina a Putin. Se nel tentativo di sostituire Zelensky si scatena una lotta intestina per la successione a Kiev, con i combattimenti in corso, il rischio è lo stesso di spianare la strada ai russi.

In nessun caso un successo per Trump. Perdere tutta l’Ucraina è qualcosa che nemmeno lui si può permettere, un segnale di debolezza devastante a livello globale, con ripercussioni in Europa, ovviamente, in Medio Oriente e Indo-Pacifico.

Tra l’altro, poche ore dopo l’incontro di Riad, la Russia ha sferrato uno dei suoi più massicci attacchi degli ultimi mesi contro Odessa e altre città in tutta l’Ucraina. Oltre 150 droni di produzione iraniana hanno preso di mira infrastrutture energetiche e altri siti sensibili ucraini, una beffa visto che poche ore prima Lavrov aveva negato in faccia agli americani che la Russia abbia mai preso di mira infrastrutture energetiche.

Forse, prima di un incontro, sarebbe stato meglio imporre a Mosca un cessate il fuoco. Ma vediamo cosa è stato deciso a Riad.

Cosa hanno deciso a Riad

Nonostante l’isteria europea di questi giorni, il negoziato per porre fine alla guerra in Ucraina in realtà non è ancora partito. Almeno, non nel merito delle questioni che dovranno essere trattate. E gli americani assicurano ancora che non verranno trattate al di sopra o alle spalle dell’Ucraina. Kiev ne farà parte – e saranno coinvolti anche i Paesi europei, nonostante le provocazioni di Lavrov.

Come ha reso noto il Dipartimento di Stato, e come ha poi spiegato in un punto stampa il segretario Marco Rubio, a Riad Usa e Russia hanno concordato: primo, di lavorare per rendere operative le rispettive missioni diplomatiche.

Secondo, di “nominare team di alto livello per iniziare a lavorare ad un percorso per porre fine alla guerra in Ucraina prima possibile, in modo duraturo, sostenibile e accettabile per tutte le parti”.

Terzo, di “gettare le basi per una futura cooperazione sulle questioni di comune interesse geopolitico e su opportunità economiche e di investimento storiche che emergeranno da una fine del conflitto in Ucraina”. Tuttavia, come ha chiarito Rubio, “la chiave che apre la porta a queste opportunità” è una “conclusione accettabile del conflitto in Ucraina”, “essenziale affinché sia possibile il terzo punto”.

In poche parole, Usa e Russia hanno innanzitutto concordato di aver bisogno di relazioni migliori per andare avanti su qualsiasi dossier. A cominciare, com’è ovvio, proprio dalla guerra in Ucraina.

Il negoziato deve ancora iniziare

A Riad “il primo passo di un lungo e difficile viaggio”, nel quale tutte le parti dovranno “fare delle concessioni”, ma sarebbe sbagliato “prestabilirle”, ha commentato Rubio. L’obiettivo finale è porre fine alla guerra “in modo equo, duraturo, sostenibile e accettabile per tutte le parti coinvolte“. E tutte vuol dire Kiev inclusa.

Nel suo punto stampa, il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha confermato che le parti hanno concordato di iniziare “il prima possibile” il processo per porre fine alla guerra in Ucraina. Mosca aspetterà che Washington confermi i propri team di negoziatori e fornirà poi i nomi dei suoi. Insomma, il negoziato vero e proprio deve ancora iniziare, Usa e Russia si impegnano ad avviarlo “prima possibile”, ma non ci sono ancora i rispettivi team di negoziatori.

Il nodo delle sanzioni

Lavrov ha cercato di promuovere la lettura che gli Stati Uniti non vedano l’ora di revocare le sanzioni economiche imposte alla Russia: “C’è un forte interesse nel rimuovere le barriere artificiali allo sviluppo di una cooperazione economica reciprocamente vantaggiosa“, questa l’espressione usata dal ministro russo.

In realtà, dalle parole di Rubio è chiaro che la revoca delle sanzioni economiche è la carota che Washington fa intravedere, ma alla fine del percorso, condizionata ad un esito soddisfacente del negoziato con l’Ucraina.

Dalle parole di Lavrov emerge in realtà una debolezza russa, la preoccupazione di Mosca per la tenuta della sua economia di guerra. Se Trump riesce ad abbassare i prezzi di petrolio e gas, liberando la produzione Usa e convincendo l’Arabia Saudita a dare una mano, per la Russia sono guai. È uno degli strumenti di pressione esplicitamente citati da Pete Hegseth a Monaco:

Per favorire una diplomazia efficace e ridurre i prezzi dell’energia che finanziano la macchina da guerra russa, il presidente Trump sta liberando la produzione energetica americana e incoraggiando altre nazioni a fare lo stesso. Prezzi dell’energia più bassi, uniti a un’applicazione più efficace delle sanzioni energetiche, contribuiranno a portare la Russia al tavolo delle trattative.

Ucraina ed Europa coinvolte

“Non siamo ancora a quel livello di conversazione”, ha risposto Rubio ad una domanda sulla revoca delle sanzioni. “Il primo passo sarà collaborare con i nostri rispettivi team per garantire che le nostre missioni diplomatiche possano funzionare”, ha spiegato. Successivamente, un team di alto livello, che include esperti in argomenti di natura tecnica, inizierà a discutere con la parte russa dei “parametri di come potrebbe apparire la fine di questo conflitto. E su quel fronte, ovviamente, ci saranno coinvolgimento e consultazione dell’Ucraina, dei nostri partner in Europa e altri”.

“Anche l’Europa ha imposto sanzioni” alla Russia “e quindi anche l’Europa ad un certo punto dovrà sedersi al tavolo dei negoziati”, ha chiarito il segretario di Stato.

Ucraina e Unione europea vengono consultate quasi ogni giorno, ha garantito il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Waltz. Washington “continuerà a respingere questa idea della mancata consultazione dei nostri alleati: sono consultati e lo sono letteralmente quasi ogni giorno, e continueremo a farlo”.

Pace duratura e garanzie di sicurezza

Per quanto, come esplicitato sia da Rubio che da Lavrov, il vero e proprio negoziato sull’Ucraina non sia ancora partito, è innegabile che l’ingresso di Kiev nella Nato e il ritorno ai confini del 2014 (ovvero Crimea inclusa) siano altamente irrealistici come risultati di un accordo negoziato. Così come sarà irrealistico per Mosca ottenere per via negoziale il controllo dell’intera Ucraina.

Come ha precisato il consigliere per la sicurezza nazionale Waltz, però, la fine della guerra dovrà essere “definitiva”, “non temporanea come abbiamo visto in passato”. E “sappiamo, è solo la realtà delle cose, che dovrà esserci una discussione sui territori e una discussione sulle garanzie di sicurezza“. Questi sono i nodi reali. Come abbiamo già osservato, a fronte di concessioni territoriali da parte ucraina, dovranno arrivare solide garanzie di sicurezza, che non saranno credibili senza un impegno Usa.

Waltz ha quindi apprezzato la disponibilità espressa da Regno Unito e Francia a farsi carico di un maggior contributo alla sicurezza dell’Ucraina. “Questo è uno sforzo comune, non riguarda solo ciò con cui gli Stati Uniti continueranno a contribuire e cosa continueremo a chiedere ai contribuenti americani, prevediamo che sia una strada a doppio senso per i nostri alleati europei, e riteniamo positivo che sia il Regno Unito che la Francia, e altri, stiano parlando di contribuire in modo più robusto alla sicurezza dell’Ucraina”.

No a truppe Nato

Annotiamo però che a Riad Lavrov ha definito “inaccettabile per Mosca la presenza in Ucraina di peacekeeper di Paesi membri della Nato”, anche se sotto la propria bandiera e non quella Nato. Una linea rossa che rappresenta già una sfida all’idea dell’amministrazione Trump di schierare truppe europee tra le “garanzie di sicurezza”.

Adesione all’Ue

Nella stessa giornata di ieri, è arrivata non da Riad ma da Mosca, dal Cremlino, una apertura alla adesione di Kiev all’Unione europea, in termini a nostra memoria mai così chiari. “Per quanto riguarda l’adesione dell’Ucraina all’Ue, si tratta del diritto sovrano di ogni Paese“, ha assicurato il portavoce Dmitrij Peskov. “Stiamo parlando di processi di integrazione economica. Qui, ovviamente, nessuno può dettare nulla a un altro Paese, e noi non lo faremo”.

“La nostra posizione è completamente diversa su questioni relative alla sicurezza, alla difesa e alle alleanze militari. Lì, abbiamo un approccio diverso, ed è ben noto a tutti”, ha aggiunto Peskov in riferimento ovviamente all’ingresso di Kiev nella Nato.

Ora, in questi anni non abbiamo mai sentito nemmeno accostare da un funzionario russo la parola “sovranità” all’Ucraina. Tuttavia, non c’è nemmeno bisogno di ricordare la palese inaffidabilità delle “assicurazioni” di Mosca. E va ricordato invece il Niet che nel 2013 fu opposto da Putin all’accordo di associazione (non adesione) di Kiev con l’Ue. L’allora presidente Yanukovich, filorusso, fu costretto a non firmare, dando origine alla catena di eventi che avrebbero portato all’aggressione russa del 2014. L’associazione con l’Ue, non l’ingresso nella Nato, fu il motivo scatenante della rabbia di Putin.

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