Il solco che ormai divide Donald Trump dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky sembra incolmabile – anche se con Trump non si può mai dire. Un crescente botta e risposta che si sta rapidamente trasformando in una guerra senza vincitori e un sicuro perdente: Zelensky.
Com’era prevedibile, ieri mattina il presidente ucraino ha replicato alle dure parole nei suoi confronti pronunciate dal presidente Trump a Mar-a-Lago martedì sera, quando ha rivendicato la richiesta che si tengano nuove elezioni in Ucraina prima di un accordo di pace, sostenendo falsamente che Zelensky godrebbe di un tasso di approvazione del 4 per cento, e che non avrebbe mai dovuto “iniziare la guerra”, avrebbe dovuto “fare un accordo”.
La replica di Zelensky
“Sfortunatamente, il presidente Trump – ho grande rispetto per lui come leader di una nazione per la quale abbiamo grande rispetto, il popolo americano che ci sostiene sempre – purtroppo vive in questa bolla di disinformazione russa“, ha commentato Zelensky, suggerendo che il presidente Usa si beve la propaganda russa sul conflitto e sulla situazione in Ucraina. “Dato che parliamo del 4 per cento, abbiamo visto questa disinformazione, sappiamo che viene dalla Russia”.
Zelensky ha anche contestato le cifre fornite da Trump riguardo gli aiuti Usa all’Ucraina. Non 350 miliardi di dollari ma quasi 100, 67 miliardi in aiuti militari e 31 di aiuti finanziari, più altri programmi di aiuti umanitari che comunque “non giustificano la richiesta di 500 miliardi in materie prime”. E ha criticato Washington per aver aiutato Putin a rompere l’isolamento della Russia con l’incontro di Riad.
Il post di Trump
Non si è fatta attendere la controreplica del presidente Trump, ancora più violenta. In un post sui social ha liquidato il leader ucraino definendolo un “comico di modesto successo” che sostanzialmente avrebbe ingannato gli Stati Uniti inducendoli a spendere centinaia di miliardi per una guerra che “non poteva essere vinta” e non sarebbe “mai dovuta iniziare”, e che “senza Usa e Trump non sarebbe mai in grado di risolvere”. Zelensky “farebbe meglio a muoversi in fretta o non avrà più un Paese“.
Lo ha definito anche un “dittatore senza elezioni“, dato che “rifiuta di avere elezioni” perché “è molto indietro nei sondaggi”. “Amo l’Ucraina, ma Zelensky ha fatto un lavoro terribile, il suo Paese è in rovina e milioni di persone sono morte inutilmente”, ha concluso Trump.
L’imprudenza di Zelensky
Ora, come metodo, pessima idea quella di Zelensky di criticare i colloqui Usa-Russia e attaccare Trump attraverso i media. Come ha osservato il vicepresidente J.D. Vance parlando con il Daily Mail, “l’idea che Zelensky faccia cambiare idea al presidente denigrandolo sui media pubblici, tutti quelli che conoscono il presidente vi diranno che è un modo terribile di trattare con questa amministrazione”.
Anche al The National Pulse, Vance ha spiegato che discutere i suoi “disaccordi” in pubblico “non è un buon modo di trattare con il presidente Trump”: “Naturalmente gli ucraini avranno la loro prospettiva. Il modo per farla emergere è in una discussione privata con i diplomatici americani… Sta attaccando l’unica ragione per cui questo Paese esiste, pubblicamente, proprio ora. Ed è vergognoso. E non è qualcosa che convincerà il presidente degli Stati Uniti. Anzi, avrà l’effetto opposto“.
E questo, può piacere o meno, ma sappiamo che è esattamente così. Inoltre, ricorda Vance, il presidente Trump ha chiarito che la politica della sua amministrazione è la fine del conflitto. “Zelensky deve prenderlo sul serio. I nostri alleati europei devono prenderlo sul serio. Non allontanerai il presidente da quell’obiettivo. Non gli farete cambiare idea, certamente non attaccandolo pubblicamente sui media”.
E in effetti, già dopo la prima telefonata Trump-Putin, e nei giorni della conferenza di Monaco, con le sue dichiarazioni e i suoi incontri Zelensky deve aver dato l’impressione a Washington di voler sabotare gli sforzi americani per avviare il negoziato con la Russia, facendo appello agli alleati europei perché garantissero gli aiuti militari e finanziari necessari a proseguire il conflitto anche senza il sostegno Usa.
Un nervosismo eccessivo da parte del presidente ucraino anche nei confronti del mancato invito al tavolo Usa-Russia di Riad, definito “colloqui sull’Ucraina senza l’Ucraina”. Washington e Mosca avevano bisogno di ripristinare relazioni minime, a cominciare dalle rispettive missioni diplomatiche, e un livello minimo di fiducia prima di poter andare avanti su qualsiasi dossier, primo fra tutti proprio la guerra in Ucraina. Questo l’obiettivo dei colloqui di Riad.
La lettura distorta di Trump
Detto questo, però, per chi come noi ha seguito questa guerra dal 2014, e ancora prima le continue ingerenze di Mosca per impedire l’avvicinamento dell’Ucraina all’Occidente, è difficile immaginare una ricostruzione più distorta, lontana dai fatti dell’ultimo decennio, come quella di Trump, secondo cui il casus belli sarebbe l’ingresso di Kiev nella Nato e che rimossa questa prospettiva, la pace sarebbe stata a portata di mano già tre anni fa, quindi Zelensky “non avrebbe mai dovuto iniziarla”.
L’idea che gli ucraini nel febbraio 2022 se la sarebbero potuta cavare con la rinuncia alla Nato e a qualche lembo di terra, risparmiandosi morti e distruzione, è più che ingenua, è infantile. E pericolosa, perché tra l’altro impedisce allo stesso Trump di vedere gli obiettivi di Putin per quelli che realmente sono e lo porta quindi a sottovalutare le esigenze di sicurezza di Kiev.
Nato o non Nato, l’integrazione dell’Ucraina nel sistema occidentale proseguirebbe, com’è proseguita in questi due decenni, mentre Putin vuole uno stato fantoccio nell’orbita russa e a dimostrarlo sono le sue azioni, oltre che le sue parole.
Elezioni ucraine impraticabili
Ora è guerra aperta contro il presidente ucraino. Se ci sono motivi validi per cui Trump ritenga che Zelensky non possa più essere un interlocutore in questa fase, dovrebbe renderli noti. Non può essere un motivo valido però il fatto che non si siano tenute le elezioni presidenziali alla scadenza del suo mandato nel maggio 2024. Non le ha cancellate il “dittatore” ucraino, è quanto prevede la Costituzione ucraina quando il Paese è in guerra.
E stiamo parlando di un Paese sotto assedio, bombardato quotidianamente, con milioni di profughi lontani dalle loro case, milioni di cittadini nei territori occupati dai russi, un’altra milionata di soldati al fronte che appena mollano di un centimetro, i russi sono pronti ad approfittarne e a sfondare le linee di difesa. In queste condizioni parlare di elezioni è una vera carognata che presuppone malafede. Non si tenne nessuna elezione generale nel Regno Unito tra il 1935 e il 1945 e Roosevelt non contestò la legittimità democratica di Winston Churchill.
Il vero nodo: le garanzie di sicurezza
Ora, motivi validi per scaricare Zelensky possono essere il suo “no” al “contratto” sullo sfruttamento delle materie prime del Paese e il fatto che non salti di gioia per un negoziato che al momento non è ancora partito, ma che a fronte di probabili dolorose rinunce di Kiev non lascia ancora intravedere lo straccio di una garanzia di sicurezza da parte Usa contro future aggressioni.
Zelensky avrebbe bisogno di alcune premesse per vedere positivamente il negoziato e l’apertura di Washington a Mosca. Può accettare di discutere il contratto sulle materie prime, e mostrare slancio per l’avvio del negoziato, solo se almeno si intravedono garanzie di sicurezza Usa.
È sempre questo il punto. Trump può anche decidere di scaricare Zelensky, costringere gli ucraini a cambiare leadership in corsa, rischiando uno showdown che metterebbe a rischio la tenuta del Paese. Ma il problema – non solo di Kiev, ma anche suo – resta: se gli Stati Uniti non offrono solide garanzie di sicurezza (ad oggi garanzie solo europee non sarebbero credibili), prima o poi Putin l’Ucraina se la prende tutta. E sarebbe una umiliazione storica per lo stesso Trump, oltre che un segnale devastante per la credibilità degli Stati Uniti.
Certo, i russi si opporrebbero, ma è proprio questa la difficoltà del negoziato: l’amministrazione Trump dovrebbe impegnarsi a far digerire ai russi solide garanzie di sicurezza Usa a Kiev e questo è il vero nodo che può far saltare tutto. Ma senza queste, non è un accordo, è una resa incondizionata.