Esteri

Tutto ciò che non torna nella presunta morte di Prigozhin

E se la “morte” del fondatore della Wagner fosse l’ennesima messinscena del Cremlino, un modo per far uscire Prigozhin incolume e Putin comunque vincitore?

Yevgheny Prigozhin

La notizia della morte di Evgenij Prigozhin potrebbe nuovamente stravolgere la guerra d’Ucraina, avere un impatto politico e militare anche all’interno della Federazione Russa. Stando a quanto annunciato dalla tv di stato russa e da esponenti del Cremlino, il fondatore e leader della milizia privata Wagner sarebbe tra le vittime dell’incidente mortale che ha coinvolto il proprio jet personale, per cause ancora da chiarire.

L’ipotesi iniziale – un missile di difesa aerea russo lanciato da agenti di sicurezza con la volontà di colpire il jet – ha con il passare dei giorni lasciato spazio all’idea di un sabotaggio o un ordigno a bordo, pronto ad esplodere prima dell’atterraggio a Mosca.

Tuttavia, in controtendenza rispetto alla quasi totalità di commentatori, analisti e quotidiani italiani – pronti a dare per assodate ed incontrovertibili le agenzie di stampa sotto diretto controllo del Cremlino e le parole dei suoi funzionari – riteniamo che siano numerosi gli aspetti ancora (e forse per sempre) indecifrabili, tali da imporre l’utilizzo del condizionale anche sulla dipartita prematura dell’ex chef di Putin.

A supporto della nostra cautela menzioniamo un recente dossier dell’intelligence britannica, secondo cui la certezza della morte del tagliagole non ci sarà mai, nemmeno con l’inattendibile prova del Dna, e la posizione ufficiale espressa dal governo francese, che ancora oggi parla di “presunta morte” del leader della Wagner. Dubbi sono stati espressi anche nei commenti dell’autorevolissimo Telegraph e sui canali della Cnn.

L’ingenuità di Prigozhin

Proveremo di seguito ad elencare le principali ragioni che suggeriscono cautela. In primis, la sconvolgente ingenuità dimostrata da Prigozhin dopo la “marcia su Mosca” fallita dello scorso 24 giugno. Un tentato e “stoppato” colpo di stato, successivo a mesi di offese ed attacchi diretti contro i vertici del Ministero della difesa russo, avrebbe dovuto suggerire a Prigozhin l’uso di precauzioni stringenti relative alla tutela della propria vita.

Un “signore della guerra” storicamente vicino allo Zar ed esecutore per anni di ordini crudeli giunti dal Cremlino, spesso dettati dalla volontà di sedare qualsiasi tipo di opposizione interna al Paese o ai satelliti, avrebbe dovuto immaginare l’inattendibilità di qualsiasi promessa ricevuta da Putin dopo la plateale azione dimostrativa dello scorso giugno.

Risulta sorprendente quindi la naturalezza con cui Prigozhin abbia continuato a muoversi all’interno dei confini della Federazione Russa in questi due mesi, nonostante fossero pure le agenzie di intelligence di larga parte dei Paesi occidentali a ritenerlo un uomo a serio rischio di ritorsioni da parte dello Zar.

Il secondo aereo

In secondo luogo, è necessario annotare come sin dalle prime ore successive allo schianto del jet che si ritiene trasportasse il capo della Wagner sia stata riscontrata la presenza di un secondo velivolo di proprietà dello stesso Prigozhin ancora indisturbato all’interno della Federazione Russa.

L’aereo, infatti, secondo la tracciabilità delle rotte Flightradar sarebbe ripartito il giorno seguente dall’aeroporto di Mosca e si sarebbe diretto nella regione del Caucaso, non è dato sapere con chi al proprio interno.

La prassi di Putin

Una circostanza sospetta, se si considera che Vladimir Putin ha abituato il mondo ad osservare le sue ritorsioni contro gli avversari interni secondo canoni comportamentali ben precisi: secondo la prassi putiniana una simile azione contro l’ex alleato ritenuto “traditore” sarebbe dovuta avvenire presumibilmente accompagnata da un sequestro immediato dei suoi averi – secondo jet compreso – e quantomeno una perquisizione della sede ufficiale dei Wagner a S.Pietroburgo, non verificatasi ad oggi.

Anzi, ulteriore aspetto inusuale dell’andamento degli eventi è l’accondiscendenza con cui il Cremlino ha concesso a miliziani della compagnia e cittadini comuni di allestire in strada altarini raffiguranti il “traditore” appena scomparso, pubblicamente commemorato dai civili. Addirittura, la sera stessa dell’incidente sul palazzo della compagnia privata le luci hanno raffigurato una croce.

Per Putin la cancellazione di culture e posizioni opposte alle sue in patria ha sempre rappresentato una priorità, ritenendole un pericolo da contrastare senza mezzi termini. Possibile che un cambio di metodologia possa essere avvenuto proprio verso chi più di tutti ha messo a rischio la stabilità del suo potere? Inoltre, per quale ragione lo Zar ha atteso ben 24 ore prima di commentare ufficialmente la vicenda?

Messinscena?

Interrogativi che, forse, troveranno risposta in futuro ma che attualmente non possono esimerci dal sollevare dubbi e formulare ipotesi alternative: e se la “morte” dello chef fosse l’ennesimo inganno montato ad arte dal Cremlino per giungere ad un secondo fine?

Non a caso, pochi giorni dopo la marcia su Mosca venne diramata la notizia di un incontro tenutosi al Cremlino proprio tra Putin ed i vertici della compagnia militare, che lo stesso Zar aveva ammesso di aver finanziato per anni. Che fosse l’uscita di scena dello chef l’oggetto della discussione? Ad esempio, a causa di un “attentato” mai rivendicato dal Cremlino, tale da concedere a Prigozhin di sparire incolume da un teatro politico divenutogli ostile e a Putin di mostrarsi come ancora vincitore di una sfida di potere agli occhi dell’opinione pubblica russa e internazionale.

Cosa ne sarà della Wagner?

Inoltre, resta da chiedersi cosa ne sarà della Wagner stessa? Croce e delizia dello Zar, milizia ribelle e capace di evidenziarne la debolezza sfidandolo apertamente ma, al tempo stesso, fino ad oggi irrinunciabile per ampliare la sfera di influenza della Russia in altri teatri geopolitici ed ottenere dei risultati sul campo di battaglia in Ucraina, anche se esigui.

Questo, di fondo, pare essere essere il fulcro della vicenda, che si riallaccia al tema del futuro della Russia stessa. Un enorme Paese impantanato in un conflitto che si prospetta ancora lungo rischia di implodere a causa dell’impossibilità per il proprio leader di condurre operazioni belliche esterne e garantire la sicurezza interna, mentre la controffensiva di Kiev punta proprio a provocare lo sfarinamento politico della Federazione.

Inoltre, il paventato ritiro dei miliziani wagneriti da Siria e Paesi africani potrebbe comportare un ridimensionamento del potere russo in quelle zone. Interrogativi e dilemmi che andranno analizzati e seguiti con il beneficio del dubbio, che purtroppo pare assente nell’oasi di esibite certezze dei nostri media.