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Ucraina, il messaggio di Trump a Putin: dovresti accettare l’accordo

Ma le parole di The Donald e di alcuni trumpiani sono ambivalenti. Il rischio che una soluzione rapida sia a danno di Kiev e dell’Europa. L’arci-nemico di Putin all’inaugurazione

Putin Trump © Sirozha tramite Canva.com
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Donald Trump, nel suo discorso inaugurale, ha parlato solo del suo sogno americano, del ritorno all’eccezionalismo, della nuova aspirazione alla crescita e al “destino manifesto” verso le stelle, con obiettivo Marte. Ma non ha ancora dato chiare indicazioni su cosa voglia fare in politica estera e in particolare in Europa.

Perché c’è la guerra, in Europa. Anche se tendiamo a dimenticarlo, preoccupati come siamo da altre crisi e altri eventi. La guerra in Ucraina è l’evento europeo più grave e pericoloso dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’unico caso in cui un paese sovrano nel nostro continente viene invaso da una potenza nucleare, l’unico in cui l’uso di armi atomiche contro le nostre capitali viene ripetutamente minacciato in modo esplicito da Vladimir Putin.

“Putin dovrebbe accettare un accordo”

Trump la considera una priorità, ma non nel modo in cui la intendeva Joe Biden. Più che difendere gli aggrediti, intende porre fine alla guerra, il prima possibile. Ha usato aggettivi come “ridicolo”, “inutile”, per descrivere il conflitto in corso e le perdite che sta costando ad entrambe le parti.

In una risposta ai reporter, divenuta già oggetto di dibattito, il neo-presidente, intento a firmare i suoi primi ordini esecutivi, dichiara che Zelensky è pronto a firmare un accordo di pace. Ma dubita che Putin sia altrettanto desideroso di farlo. E allora lo avverte, indirettamente: “penso che dovrebbe firmarlo, perché distruggerebbe la Russia se non lo accettasse. Basta vedere all’economia e all’inflazione in Russia”. A una domanda precedente, il presidente americano aveva risposto dicendo che, secondo le stime, l’Ucraina avrebbe perso 700 mila uomini e la Russia 1 milione.

Al di là della veridicità di queste stime (molto al rialzo) e della situazione economica in Russia (ignota, finché non vengono pubblicati dati veri e non da propaganda di guerra), appare chiaro l’approccio di Trump al conflitto, non da adesso, ma da quando ha iniziato la sua campagna elettorale: si tratta di un conflitto regionale che impone costi a entrambe le parti, a prescindere dalle responsabilità, quindi è meglio che smettano di combattere.

Dichiarazioni ambivalenti

Da due anni, Trump non ha mai definito Putin come l’aggressore, tantomeno come un criminale. Al tempo stesso, non ha mai accennato al pericolo che la Russia possa invadere altri paesi europei, anche membri della Nato, una volta che la guerra in Ucraina dovesse finire con un risultato che Mosca ritiene favorevole.

Questa apparente equidistanza cozza con le dichiarazioni di inizio guerra, quando Trump arrivò a ipotizzare che, se fosse stato lui il presidente, alla prima minaccia atomica di Putin, avrebbe risposto mandando i sottomarini nucleari sotto le coste russe. Una sparata che nemmeno i neocon si sono sognati di dire.

Nel corso dei due anni successivi, quando la guerra è diventata un conflitto di posizione, la sua linea narrativa è cambiata. Due sono le sue tesi principali, stando ai dibattiti televisivi e alla campagna elettorale: con lui presidente la guerra non sarebbe mai scoppiata, una volta presidente porrà fine al conflitto in 24 ore.

Entrambe le affermazioni sono furbamente ambivalenti. “La guerra non sarebbe mai scoppiata”: non spiega perché. Uno pensa subito alla deterrenza. Ma se intendesse che è amico di Putin e avrebbe trovato subito un accordo? Non si spiega nemmeno come fermare la guerra “in 24 ore”: minacciando Putin di conseguenze peggiori, o costringendo l’Ucraina ad arrendersi?

In questo modo può accontentare chi, fra i suoi fedelissimi e futuri ministri, ha assimilato il punto di vista del Cremlino, come Tulsi Gabbard (da lui nominata direttrice della National Intelligence) che ha rilanciato la propaganda russa sui biolab americani in Ucraina quale causa della guerra, Robert Kennedy Jr che fa sua la propaganda russa secondo cui gli ucraini stavano commettendo un “genocidio” di russi, Elon Musk che diffonde le tesi pro-russe di Jeffrey Sachs, secondo cui la causa profonda della guerra è l’espansione a Est della Nato.

Una tesi falsa, come già abbiamo avuto modo di dimostrare su queste colonne. Poi c’è sempre il figlio prediletto Donald Trump Jr che si diverte da sempre a lanciare meme contro Zelensky, anche nel giorno stesso dell’insediamento di suo padre.

E infine c’è Tucker Carlson che, più che intervistare Putin, è diventato una sorta di suo portavoce informale, come Gianni Minà lo era con Fidel Castro. In pratica, gli uomini di cui si è circondato Trump formano la squadra più filo-russa che si possa immaginare nel contesto politico statunitense.

L’opinione pubblica Usa

Il cambiamento di atteggiamento di Trump riflette anche un profondo mutamento nell’opinione pubblica americana in generale e degli elettori repubblicani in particolare. Come rileva Gallup, nell’agosto del 2022 il 60 per cento degli americani era favorevole ad una conclusione del conflitto favorevole all’Ucraina. Oggi questa percentuale è calata al 48 per cento.

In compenso, gli americani favorevoli ad una fine rapida del conflitto (a prescindere da chi lo vinca) sono passati dal 31 per cento nell’agosto 2022 al 50 per cento odierno. Fra gli elettori repubblicani quest’ultima percentuale sale al 74 per cento. Oggi il 37 per cento degli americani ritiene che gli aiuti americani all’Ucraina siano troppi, contro il 30 per cento che ritiene siano ancora troppo pochi. Fra gli elettori repubblicani, il 67 per cento ritiene che gli Usa stiano dando troppo all’Ucraina.

Il favore dell’opinione pubblica e della stessa squadra di Trump per una soluzione rapida del conflitto, a prescindere dall’esito, non cancella comunque la rivalità strategica della Russia con gli Usa, a prescindere dal loro presidente in carica. La Russia non ha mandato alcun suo rappresentante a Washington per l’inaugurazione di Trump. Mentre fra gli invitati c’era Mikhail Khodorkovskij, ex imprenditore russo, attivista liberale in esilio (dopo anni nelle carceri russe) e acerrimo nemico di Putin.