Pronti, via. Si parte. La notizia di ieri è che il presidente Usa Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin hanno concordato “di far iniziare immediatamente i negoziati ai rispettivi team”. Successivamente Trump ha informato il presidente ucraino Zelensky del suo colloquio telefonico con Putin.
Nessun dettaglio però è emerso dai post di Trump. Semplicemente, Usa e Russia hanno ufficialmente avviato i negoziati per porre fine alla guerra in Ucraina. Entriamo dunque in una nuova fase, dove contatti e trattative non avverranno più solo attraverso canali riservati.
Alcune indicazioni sulla posizione negoziale Usa sono arrivate in giornata dal segretario alla Difesa Pete Hegseth, che ha fissato quelli che sembrano dei paletti per l’amministrazione Trump. Va tenuto comunque in considerazione che il capo del Pentagono non farà parte del team negoziale Usa, che come confermato dalla Casa Bianca sarà guidato dal segretario di Stato Marco Rubio, dal direttore della CIA John Ratcliffe, dal consigliere per la sicurezza nazionale Michael Waltz e dall’inviato speciale per l’Ucraina Keith Kellogg.
Quando in serata è stato chiesto a Trump se Hegseth, escludendo il ritorno ai confini pre-2014, avesse tolto qualche margine di trattativa con Putin, il presidente ha risposto “sostengo l’Ucraina. Non ditelo”.
I paletti di Hegseth
Restano tuttavia rilevanti le parole del capo del Pentagono. Hegseth ha parlato al ministeriale Nato e al Gruppo di Contatto sull’Ucraina. In estrema sintesi, gli Stati Uniti ritengono “irrealistico” un ritorno ai confini del 2014. Non ritengono l’ingresso di Kiev nella Nato un “risultato realistico di un accordo negoziato”. Potranno essere schierate in Ucraina forze di peacekeeping europee e non europee, ma non coperte dall’articolo 5 Nato e non soldati americani.
Ora, prima di arrivare alla lettera delle frasi di Hegseth, cerchiamo di fare chiarezza sulle prime due affermazioni, su cui prevedibilmente si concentreranno analisi, commenti e polemiche, ma che ci sembrano anche le più scontate – le classiche scomode verità, che tutti sanno ma nessuno osa dire con chiarezza.
Primo, citando i confini del 2014, Hegseth si riferisce alla Crimea, non ai territori occupati dalle forze russe in seguito all’invasione del 2022. Quindi, sembrerebbe di capire che questi ultimi potranno essere oggetto dei negoziati. Nessuno realisticamente sognava di poter riconsegnare la Crimea a Kiev per via diplomatica, dunque nulla di nuovo qui.
Ucraina nella Nato
E veniamo all’elefante nella stanza: l’ingresso di Kiev nella Nato. Qui c’è il rischio che i due opposti, propaganda putiniana e posizioni atlantiste intransigenti, si attraggano, finendo per celebrare una vittoria del Cremlino che a nostro avviso non c’è. Quanto meno, non ancora. E comunque non andrebbe misurata con l’adesione o meno dell’Ucraina alla Nato. Alla fine, Putin ha ottenuto tutto quello che chiedeva, rinuncia alla Nato e Donbass, diranno i putiniani che tanto valeva accontentarlo subito, evitando distruzione e morti; Trump ha svenduto l’Ucraina, diranno gli atlantisti più intransigenti.
Non è così, a nostro avviso. Dall’inizio del conflitto abbiamo sostenuto che l’assicurazione formale che Putin pretendeva da Washington che l’Ucraina non avrebbe mai fatto parte della Nato fosse poco più di un pretesto, uno specchietto per le allodole. Il desiderio di Kiev di unirsi alla Nato è sempre stato una reazione alle aggressioni russe. Nel 2004, dopo la rivoluzione arancione seguita al golpe filorusso; poi nel 2014 dopo l’annessione della Crimea e la destabilizzazione del Donbass; e infine nel 2022 dopo l’invasione.
L’ipotesi fu discussa e di fatto archiviata nel 2006 dall’amministrazione Bush anche per la contrarietà europea, soprattutto tedesca. Non era sul tavolo nel 2014: presidente ucraino era il filo-russo Yanukovich e a scatenare l’ira di Putin non fu una inesistente volontà di ingresso nella Nato ma l’accordo di associazione con l’Ue, che infatti saltò portando a Euromaidan. Non è sul tavolo oggi – ad essere onesti – se non come spauracchio a lungo termine nei confronti di Mosca.
Obiettivo di guerra di Putin era il controllo politico dell’Ucraina, ovvero separarla dall’Occidente e farla rientrare nell’orbita russa. Tanto è vero che tra le sue richieste della prima ora c’erano “denazificazione” e “demilitarizzazione”, ovvero il cambio di regime a Kiev. Certo che non la voleva nella Nato, ma non gli sarebbe bastato: non la voleva neutrale, la voleva asservita. Quindi non è vero, come sostengono i putiniani, che gli ucraini sono morti per niente se Kiev non entra nella Nato.
La non appartenenza alla Nato non significa automaticamente che l’Ucraina tornerà nella sfera di influenza russa. Potrà benissimo non far parte della Nato ma essere più integrata di prima nel sistema occidentale. A cominciare dall’accordo di associazione con l’Unione europea (che Putin aveva inteso sabotare nel 2014) e in prospettiva l’adesione all’Ue. Non va dimenticato che l’Ucraina sarà comunque armata e ricostruita dall’Occidente e l’interesse dello stesso Trump per le risorse minerarie ucraine fa pensare che non veda per Kiev un futuro da colonia russa.
Dichiarare dunque che l’ingresso di Kiev nella Nato non è un “risultato realistico di un accordo negoziato” è in fondo la scoperta dell’acqua calda. Non è dirimente né, come abbiamo visto, per l’integrazione dell’Ucraina nell’Occidente, né per la sua difesa. Nazioni come Israele, Corea del Sud, Giappone, Taiwan, nella cui difesa gli Stati Uniti sono senza dubbio impegnati, non fanno parte della Nato. Quindi non è l’appartenenza formale alla Nato il fattore dirimente dell’impegno o disimpegno Usa.
Le garanzie di sicurezza
Il tema vero su cui bisogna concentrarsi piuttosto sono le effettive garanzie di sicurezza. È qui, semmai, che le parole di Hegseth possono destare preoccupazioni. L’ex presidente Biden aveva già escluso di schierare soldati americani in Ucraina, addirittura avventatamente nei mesi precedenti l’invasione, quindi anche questa non è una novità. Se però, le garanzie di sicurezza fossero solo europee e non anche americane, ad oggi non sarebbero credibili, non sarebbe un deterrente sufficiente rispetto a nuove aggressioni russe. Ne avremo prova più avanti.
“Potremo porre fine a questa guerra devastante e stabilire una pace duratura solo combinando la forza degli alleati con una valutazione realistica del campo di battaglia“, ha avvertito Hegseth. “Vogliamo, come voi, un’Ucraina sovrana e prospera. Tuttavia, dobbiamo iniziare riconoscendo che il ritorno ai confini precedenti al 2014 è un obiettivo irrealistico, che non farebbe altro che prolungare la guerra e causare ulteriori sofferenze”.
Hegseth ha parlato anche dell’arma energetica: “per favorire una diplomazia efficace e ridurre i prezzi dell’energia che finanziano la macchina da guerra russa, il presidente Trump sta liberando la produzione energetica americana e incoraggiando altre nazioni a fare lo stesso. Prezzi dell’energia più bassi, uniti a un’applicazione più efficace delle sanzioni energetiche, contribuiranno a portare la Russia al tavolo delle trattative”.
Il capo del Pentagono ammette che “una pace duratura per l’Ucraina deve includere solide garanzie di sicurezza per assicurare che la guerra non ricominci”. Se l’adesione dell’Ucraina alla Nato non viene ritenuta “un risultato realistico di un accordo negoziato”, Hegseth osserva che “ogni garanzia di sicurezza deve essere sostenuta da truppe europee e non-europee”. Ma specifica che “se queste truppe dovessero essere dispiegate in Ucraina come forze di peacekeeping (…) dovrebbero far parte di una missione non Nato e non dovrebbero essere coperte dall’articolo 5“. Sottolinea la necessità di “un solido monitoraggio internazionale lungo la linea di contatto” e mette in chiaro che “nell’ambito di qualsiasi garanzia di sicurezza, non verranno dispiegate truppe Usa in Ucraina”.
Riarmo europeo
Da qui, il messaggio all’Europa: riarmo, riarmo, riarmo. Un riarmo rispetto al quale, come ha più volte spiegato il nostro Musso su queste pagine, l’Ue e l’Euro sono al momento un ostacolo.
Salvaguardare la sicurezza europea è un imperativo per i membri europei della Nato. L’Europa dovrà fornire la stragrande maggioranza dei futuri aiuti letali e non letali all’Ucraina. (…) Questo significa donare più munizioni ed equipaggiamenti, investire di più nella vostra industria della difesa e, cosa importante, parlare apertamente ai vostri cittadini della minaccia che l’Europa deve affrontare. Parte di questo è parlare in maniera franca alla vostra gente di come questa minaccia può essere affrontata soltanto spendendo di più nella difesa: il 2 per cento non è abbastanza. Il presidente Trump ha chiesto il 5 per cento e io sono d’accordo.
Ulteriore doccia fredda, la richiesta di assunzione di oneri e responsabilità maggiori da parte degli alleati europei non è limitata all’Ucraina, ma assume una dimensione globale.
Gli Stati Uniti affrontano minacce al proprio territorio. Dobbiamo concentrarci, e lo siamo, sulla sicurezza dei nostri confini. Abbiamo un concorrente diretto nella Cina comunista, con capacità e volontà di minacciare il nostro territorio e i nostri interessi nazionali chiave nell’Indo-Pacifico. Gli Stati Uniti stanno dando priorità alla deterrenza della guerra con la Cina nel Pacifico, riconoscendo la realtà della scarsità di risorse e facendo le necessarie scelte strategiche per garantire che la deterrenza non fallisca.
Divisione del lavoro
Mentre gli Stati Uniti concentrano la loro attenzione su queste minacce, gli alleati europei devono assumere un ruolo di leadership in prima linea. Insieme, possiamo stabilire una divisione del lavoro che massimizzi i nostri vantaggi comparati in Europa e nel Pacifico. Sfidiamo i vostri Paesi e i vostri cittadini a raddoppiare gli sforzi e impegnarsi non solo per le immediate esigenze di sicurezza dell’Ucraina, ma anche per gli obiettivi di deterrenza e la difesa a lungo termine dell’Europa.
Nella sostanza, anche qui, nulla di particolarmente nuovo. Questi temi nei rapporti transatlantici sono all’ordine del giorno da due decenni, anche con le amministrazioni democratiche. Con Trump, come durante la prima presidenza, le richieste di Washington vengono espresse in modo più brutale e pressante.
Niente è scontato
Hegseth ribadisce l’impegno Usa nella Nato e nella difesa dell’Europa, ma non può più essere dato per scontato. La Nato “deve essere una forza più potente e letale, non un club diplomatico. È tempo che gli alleati affrontino il momento”.
La nostra alleanza transatlantica è durata per decenni e ci aspettiamo che duri per le generazioni a venire. Ma questo non accadrà automaticamente. Richiederà che gli alleati europei entrino nell’arena e si assumano la responsabilità della sicurezza convenzionale sul Continente. Gli Stati Uniti rimangono impegnati nella Nato e nella partnership di difesa con l’Europa, punto. Tuttavia, non tollereranno più un rapporto squilibrato che incoraggi la dipendenza. Al contrario, la nostra relazione darà priorità al rafforzamento dell’Europa affinché si assuma la responsabilità della propria sicurezza.