Il cerchio si stringe attorno a Teheran come mandante dell’attacco di Hamas contro Israele. Ieri il ministro della difesa israeliano, Yoav Gallant, rispondendo ad una domanda in conferenza stampa congiunta con il segretario alla difesa Usa, ha detto che “tutto è diretto dall’Iran. Il permesso viene dall’Iran. I soldi arrivano dall’Iran e le idee prendono forma in Iran”. Iran, Hezbollah e Hamas sono “un unico asse, un asse del male“, ha aggiunto.
Il cerchio si stringe
Si tratta di una svolta, poiché finora Israele non aveva confermato una responsabilità o coinvolgimento diretto dell’Iran nell’attacco del 7 ottobre, allineandosi sostanzialmente alle posizioni Usa espresse sia dal segretario di Stato Antony Blinken che dal consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan. Le parole del ministro Gallant implicano invece che Gerusalemme ritiene Teheran responsabile delle azioni di Hamas.
Nelle scorse ore era aumentata l’attenzione sul ruolo dell’Iran. Per la prima volta nominato, mercoledì sera, dal presidente Usa Joe Biden: “ho avvertito gli iraniani di stare attenti”, e anche dal cancelliere tedesco Olaf Scholz: “senza il sostegno iraniano Hamas non sarebbe stata in grado di lanciare l’attacco”. Giovedì mattina Israele ha colpito gli aeroporti siriani di Damasco e Aleppo, mettendoli fuori servizio proprio alla vigilia della visita del ministro degli esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian.
I 6 miliardi ricongelati
L’amministrazione Biden inoltre avrebbe concluso un accordo con il Qatar per ricongelare i 6 miliardi di fondi iraniani sotto sanzioni di recente sbloccati, smentendo in parte se stessa. Blinken e Sullivan infatti avevano ribadito che non ci sono prove al momento di un coinvolgimento di Teheran e che comunque i 6 miliardi non c’entravano nulla con l’attacco. Ricongelarli ora non avrebbe senso come sanzione per il solo “funding and training” di Hamas da parte dell’Iran, noto praticamente da sempre, quindi se avesse destato preoccupazione non sarebbero mai dovuti essere sbloccati.
Evidentemente falso che Washington potesse ricongelarli in qualsiasi momento, vedendo che i soldi venivano impiegati per scopi diversi da spese umanitarie, come assicurava il Team Biden. C’è voluto l’accordo con il Qatar, quindi il Qatar aveva e probabilmente ancora ha l’ultima parola su questi fondi.
Incontri segreti in Libano
Ricordate la storia del Wall Street Journal, che abbiamo riportato su Atlantico Quotidiano, sulla serie incontri a Beirut tra ufficiali iraniani dell’IRGC, e addirittura il ministro degli esteri di Teheran, ed esponenti di Hamas, Jihad Islamica e Hezbollah per pianificare l’attacco, frettolosamente bollata come bufala degli altri media perché in conflitto con lo spin del Team Biden? Ebbene, ieri ha riferito di questi incontri anche il New York Times.
Il titolo dell’articolo, estremamente dettagliato, è naturalmente più edulcorato, sia mai che suoni come una smentita della Casa Bianca: “L’attacco di Hamas a Israele porta ad un nuovo esame dei legami del gruppo con l’Iran”. E, ricorda il Times, “gli Stati Uniti e i loro alleati non hanno trovato prove che colleghino direttamente Teheran”.
Ma è una conferma di quanto riportava pochi giorni fa il WSJ e dell’allarme lanciato a fine agosto dall’istituto Memri. Secondo fonti iraniane delle Guardie rivoluzionarie e siriane legate a Hezbollah che “hanno familiarità con l’operazione”, “una ristretta cerchia di leader provenienti da Iran, Hezbollah e Hamas ha contribuito a pianificare l’attacco a partire da più di un anno fa, ha addestrato i militanti e ne aveva una conoscenza approfondita”. Tempi che sarebbero confermati dai primi interrogatori dei terroristi arrestati dall’IDF.
In particolare, “il generale Ismail Qaani, incaricato di supervisionare la rete delle milizie proxies iraniane in qualità di capo della forza paramilitare Quds, si è recato ripetutamente in Libano per sessioni segrete con i leader di Hamas e Hezbollah“.
L’addestramento
“L’addestramento ha avuto luogo in Libano e Siria, e un centro di comando congiunto segreto era stato istituito a Beirut”. “I migliori commandos di Hezbollah, esperti nella guerriglia urbana, hanno addestrato membri di Hamas in Siria e Libano”.
“I parapendii si sono addestrati in Libano, mentre in Siria i membri di Hamas sono stati addestrati a fare irruzione nelle comunità israeliane e a prendere in ostaggio i civili“. Il che spiegherebbe perché nella Striscia di Gaza queste attività di addestramento non sono state rilevate dall’intelligence israeliana.
Il depistaggio
“Negli ultimi sei mesi, Hezbollah ha creato provocazioni intese a fuorviare e distrarre Israele lungo il confine settentrionale con il Libano e in Siria, in modo che potesse pensare che la vera minaccia provenisse da quelle aree”.
A settembre, funzionari dell’intelligence israeliana riferivano di “avere informazioni secondo cui Khamenei, il leader supremo dell’Iran, aveva ordinato un’ampia campagna contro Israele, che comprendeva prendere di mira i suoi cittadini all’estero, condurre sabotaggi all’interno dei suoi confini e contrabbandare armi sofisticate ai palestinesi al fine di scatenare una guerra civile in Cisgiordania“.
Come riporta ancora il New York Times, “in diversi incontri dei proxies iraniani, i leader evidenziavano che era giunto il momento di trarre vantaggio dalle ribollenti divisioni interne di Israele sulla riforma giudiziaria” voluta da Netanyahu.
Guerra regionale
Durante un incontro tenutosi a marzo con un gruppo d’élite di strateghi di tutte le milizie iraniane, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, “ha detto ai militanti di prepararsi per una guerra su larga scala, inclusa un’invasione di terra, che avrebbe segnato un punto di svolta nel decennale conflitto arabo-israeliano”. Il 3 ottobre, quattro giorni prima che Hamas lanciasse il suo attacco , l’account ufficiale della guida suprema Ali Khamenei su X annunciava in farsi: “Israele se ne andrà”.
Ma al di là di indizi e congetture, resta una logica stringente. Mai Hamas avrebbe potuto lanciare un attacco di così vasta portata, capacità militari e profondità nel territorio nemico senza l’autorizzazione di Teheran.
Coloro che hanno pianificato l’attacco certamente erano consapevoli della durezza della risposta israeliana, e quindi del rischio di innescare una guerra totale regionale, le cui menti sarebbero il regime iraniano e Hezbollah. Che abbiano semplicemente accettato di correre questo rischio o, come temiamo, che questo fosse proprio il loro piano, lo scopriremo presto.
La mattanza terroristica giustifica di per sé la reazione israeliana, ma per i motivi appena menzionati non possiamo escludere che il piano vada oltre. L’efferatezza senza precedenti dell’attacco ha in parte oscurato l’aspetto strategico. Non viene abbastanza valutato che oggi Israele è di fronte ad una vera e propria minaccia esistenziale. Era dal 1973 che non si trovava così vicino all’estinzione. Non è ancora chiaro quale sia il piano di chi l’ha aggredito, ma a Teheran potrebbero aver deciso che sia arrivato il momento dello scontro finale.
La ritirata saudita
L’Arabia Saudita ha annunciato ieri il congelamento del processo di normalizzazione dei rapporti con Israele. Un esito inevitabile e una indubbia vittoria iraniana, probabilmente tra gli obiettivi dell’attacco di sabato. Vedremo quanto importante.
Infatti, Teheran potrebbe anche accontentarsi, ritenere che vale il sacrificio di Hamas ed evitare l’intervento di Hezbollah, non rischiando di perdere il secondo proxy ora che l’obiettivo è stato raggiunto. Ma anche l’annuncio di Riyad potrebbe essere una ritirata strategica, proprio per convincere Teheran di aver raggiunto l’obiettivo e a desistere da una escalation.