Finita la festa, si fa il conto di quanto sia costato (e a chi) lo scambio di prigionieri, effettuato il 2 agosto, che ha consentito la liberazione dalle galere russe di Evan Gershkovich, giornalista del Wall Street Journal, Paul Whelan (ex marine rimasto intrappolato nelle maglie dell’apparato putiniano mentre era in Russia per un matrimonio), Alsu Kurmasheva, giornalista russa con cittadinanza americana che lavora per Radio Free Europe.
Con loro sono stati rilasciati anche importanti dissidenti russi, quali Vladimir Kara Murza (sopravvissuto a due tentativi di avvelenamento), il giornalista Ilija Jashin, l’artista pacifista Alexandra Skochilenko, l’ex direttore di Memorial (la ong che documenta i crimini del comunismo) Oleg Orlov, l’attivista Andrei Pivovarov, due collaboratrici e un collaboratore del defunto dissidente Andrej Navalnij e cinque cittadini tedeschi.
In tutto sono 16 le persone liberate, “sedici vite salvate”, come le ha definite Kara Murza, che ha letteralmente visto la morte in faccia. Tutti, tedeschi, americani e russi, sono perfettamente innocenti, secondo tutti i punti di vista. Non hanno spiato, ucciso, cospirato o ingannato nessuno. C’è chi ha solo espresso le sue idee, come nel caso dei dissidenti russi, chi ha fatto il suo mestiere come nel caso dei giornalisti e chi è stato letteralmente intrappolato, messo in carcere con un pretesto qualunque, come nel caso di Whelan.
L’intento del regime di Putin era chiaro: disfarsi dei dissidenti più noti e catturare quanti più stranieri possibili per usarli come pedine di scambio. Il problema è che il Cremlino è perfettamente riuscito nel suo scopo.
Dissidenti in esilio
Dissidenti che erano sulla bocca di tutti, come Kara Murza, Orlov o la Skochilenko, ora sono stati cacciati dalla Russia. “Guarda bene la tua patria, Vladimir, perché questa è l’ultima volta che la vedi”, ha detto l’agente dell’Fsb, all’aeroporto, mentre accompagnava Kara Murza. Il dissidente gli ha risposto di aver fiducia di tornare presto in una Russia “europea, libera e civilizzata”. Può darsi che abbia ragione, se è come i dissidenti cacciati dall’Urss, a seguito di altri scambi della prima Guerra Fredda, fra gli anni Settanta e Ottanta. Ma può darsi anche che questa generazione del dissenso faccia la fine degli “Émigré” degli anni ’20, morti prima di assistere alla fine dei loro persecutori e soggetti alla damnatio memoriae perché nemici del comunismo, dunque sospettati di simpatie fasciste a prescindere dalle loro idee. Dipenderà solo da che piega prenderà la storia.
Per ora si sa solo che sono russi in esilio e non potranno più influire sulla politica nel loro Paese, anche se per lo meno sono vivi e liberi. Altre centinaia (800 secondo i conti dell’associazione Russia Dietro le Sbarre) di prigionieri politici restano nei nuovi gulag. Proprio mentre i dissidenti più celebri arrivavano ad Ankara, il luogo dello scambio, il loro conterraneo Pavel Kushnir, pianista, arrestato perché pacifista, moriva in carcere a seguito di uno sciopero della fame.
A che prezzo?
Ma qual è stato, appunto, il prezzo per la loro libertà e per quella di Gershkovich? Il ritorno in Russia di Vadim Krasikov, uomo di fiducia di Putin, il killer dei servizi segreti che si è infiltrato in Germania nel 2019 e ha abbattuto a colpi di pistola, in pieno giorno, in pieno centro a Berlino, il separatista ceceno Zelimkhan Khangoshvili. In Germania stava scontando l’ergastolo. Gli Usa hanno impiegato quasi un anno intero per convincere il governo Scholz a usarlo nello scambio di prigionieri, umiliando l’alleato europeo che non aveva alcuna intenzione di lasciar a piede libero un individuo così pericoloso.
Gli altri sette russi rimpatriati non hanno un curriculum molto migliore. Vadim Konoshchenok era in carcere negli Usa per cospirazione, per il suo ruolo in una rete globale di approvvigionamento e riciclaggio di denaro per conto del governo russo. Vladislav Klyushin, un uomo d’affari russo, era stato condannato l’anno scorso a Boston a nove anni di carcere per il suo ruolo in quello che le autorità statunitensi hanno definito “un elaborato schema di hack-to-trade che ha fruttato circa 93 milioni di dollari attraverso operazioni di compravendita di titoli basate su informazioni aziendali riservate rubate da reti informatiche statunitensi”.
Roman Seleznev è un altro hacker condannato e un truffatore di carte di credito che stava scontando una pena di 27 anni negli Stati Uniti. Artem Dultsev e la moglie Anna sono due spie che hanno vissuto, come famiglia, sotto copertura, in Slovenia. Proprio come nella serie tv Americans, ma in Europa. Mikhail Mikushin è una spia russa arrestata in Norvegia nel 2022. Lavorava, sotto copertura, all’Università di Tromso. Pavel Rubtsov è una spia russa che viveva in Polonia fingendo di essere un giornalista spagnolo.
“Vorrei congratularmi con Vladimir Putin per aver concluso un altro grande accordo. Avete visto l’accordo che abbiamo fatto?”. Ha detto ironicamente Donald Trump durante un comizio elettorale ad Atlanta, sabato. L’ex presidente è stato subito accusato di putinismo, a partire dai titoli dei giornali: “Trump si congratula ancora con Putin”. Ma ha perfettamente ragione, almeno in questo caso: lo scambio di prigionieri ha portato al rilascio di “alcuni dei più grandi assassini” del mondo, ha detto Trump. “Abbiamo riavuto la nostra gente, ma… ragazzi! Abbiamo fatto degli accordi orribili. Orribili!”, Perché “È bello dire che li abbiamo riavuti, ma questo crea un cattivo precedente?”
Gli scontenti
A pensarla esattamente allo stesso modo non è solo “il cattivo” Trump, ma anche il ministro degli esteri tedesco, la verde e progressista Annalena Baerbock: ha definito in un’intervista radiofonica lo scambio di prigionieri su larga scala di giovedì come un “dilemma molto delicato” che “giustamente porta a molte, molte conversazioni”. La Germania era inizialmente disposta a rilasciare Krasikov solo in cambio del leader dell’opposizione Alexei Navalny, secondo il giornalista Christo Grozev, direttore del sito di intelligence pubblica Bellingcat. Navalnij è morto in carcere, il 16 febbraio, ma pochi mesi dopo la Germania ha accettato lo scambio.
A protestare sono anche, ovviamente, i partiti dell’opposizione “Questo [scambio di prigionieri, ndr] potrebbe costituire un precedente”, ha dichiarato Roderich Kiesewetter, della Cdu/Csu. Ma è soprattutto la famiglia del ceceno Khangoshvili ad essere particolarmente addolorata dalla liberazione del suo assassino. Una scelta “incomprensibile”, come dichiara alla rivista Politico Inga Schulz, che la rappresentava al processo di Krasikov. “La famiglia avrebbe voluto essere coinvolta almeno in una conversazione preliminare”, ha detto la Schulz.
Frustrazione anche in Polonia, dove il nuovo governo Tusk subisce il fuoco di fila del partito conservatore PiS, ora all’opposizione. Mariusz Kamiński, ex coordinatore dei servizi speciali sotto la passata amministrazione PiS, ha scritto su X che il governo “ha dato via il suo agente più prezioso ai russi [Pavel Rubtsov, ndr] senza ottenere nulla in cambio”. Avrebbe potuto invece includere nello scambio almeno Andrzej Poczobut, un giornalista polacco in carcere in Bielorussia.
Rischio incentivo
Il precedente ormai si è consolidato: per Putin, arrestare occidentali paga. Sarà la fine del giornalismo occidentale in Russia, perché chiunque può essere arrestato, accusato di spionaggio e usato come pedina per liberare spie russe in Occidente. E da un punto di vista morale è uno scambio che, implicitamente accetta l’umiliante equazione russa, secondo cui un giornalista e un dissidente politico sono l’equivalente di spie e killer del regime.