Esteri

Un palestinese contro l’islam radicale e per la laicità

La storia di Waleed Al-Husseini: la presa dell’islam radicale in Occidente è dovuta alla codardia dei politici. L’odio antiebraico insegnato nelle scuole palestinesi

Waleed Al-Husseini Waleed Al-Husseini

Nella vulgata comune, si tende a pensare che se nei Territori palestinesi Hamas rappresenta l’islamismo radicale, il partito Fatah che guida l’Autorità Nazionale Palestinese è più laico. Il che è vero, ma solo in parte: anche nella Cisgiordania guidata da Abu Mazen e dal suo partito, il dissenso viene represso con metodi assai duri, anche verso chi non si identifica con la religione di Stato.

Lo sa bene il blogger e scrittore Waleed Al-Husseini: nato 34 anni fa a Qalqilya, in Cisgiordania, nell’autunno 2010 venne arrestato all’età di 21 anni per aver pubblicato su un suo blog e su Facebook contenuti critici verso certi dettami dell’islam, quali il maltrattamento delle donne e l’odio verso ebrei e cristiani (tollerati solo finché dhimmi, ossia cittadini inferiori ai musulmani).

La storia di Waleed

Quando si è dichiarato per la prima volta ateo e non musulmano, Waleed è stato fin da subito ostracizzato da molte persone a lui vicine, a cominciare dai compagni di università. Anche per questo, per anni ha mantenuto l’anonimato come curatore della pagina Facebook Ana Allah (“Io sono Allah”), in cui pubblicava scritti del Corano riletti in forma critica e satirica. Lo faceva di nascosto negli internet café della sua città, quando non lavorava nella bottega del padre barbiere.

Tra gli anni tra il 2000 e il 2010, il blog ebbe un certo seguito nei Paesi arabi, anche se spesso si traduceva in insulti, minacce di morte e accuse di essere sul libro paga dei servizi segreti israeliani. Quando l’Intelligence di Ramallah scoprì che era lui l’autore della pagina, Waleed venne arrestato e incarcerato per dieci mesi. Dieci mesi durante i quali venne torturato degli agenti palestinesi, dovette affrontare innumerevoli processi farsa e la sua famiglia subì minacce e attacchi.

In tutto questo, lui rimase sempre coerente nelle sue convinzioni. Anche quando gli agenti che l’avevano rinchiuso gli fecero incontrare imam e politici di Fatah che cercarono di convincerlo a tornare nell’islam, lui rimase fedele alle sue idee. Tra l’altro, nel dicembre 2010 apparve un post sul suo blog in cui si scusava per aver offeso i musulmani; in realtà, secondo la sua versione, era stato scritto dai suoi carcerieri spacciatisi per lui, mentre era in cella.

Nel 2011 venne finalmente liberato, in seguito anche alle pressioni di ong e associazioni umanitarie. Tuttavia, ormai il suo nome di “apostata” era noto, e non erano in pochi nel mondo arabo a chiederne pubblicamente l’eliminazione. Per questo fuggì dapprima in Giordania e poi, nel 2012, in Francia, dopo aver chiesto lo status di rifugiato politico presso l’ambasciata francese ad Amman. Qui, ha fondato il Consiglio degli ex-musulmani di Francia, che fa capo ad una rete internazionale di organizzazioni analoghe, di cui la prima è nata in Germania.

La battaglia per la laicità

Al-Husseini ha raccontato la sua storia nell’autobiografia Blasfemo! Le prigioni di Allah, pubblicata in francese nel 2015 e ad oggi tradotta in italiano (nel 2018, dalla casa editrice Nessun Dogma), inglese e danese. Il suo seguito sui social, dove oggi pubblica contenuti principalmente in lingua francese, è di oltre 200.000 follower su Facebook e 68.000 su X/Twitter.

Stando a quanto racconta nel suo libro, uno dei primi eventi che lo hanno spinto a intraprendere la sua battaglia per la laicità fu il caso delle vignette su Maometto apparse nel 2005 sul quotidiano danese Jyllands-Posten, che quasi un decennio prima ancora dei massacri di Charlie Hebdo suscitò una reazione violenta contro chi, facendo satira, veniva etichettato come islamofobo.

In passato ha citato tra i suoi riferimenti culturali il biologo britannico Richard Dawkins, volto noto a livello mondiale dell’ateismo militante al punto da diventare una figura pop (negli anni è apparso come personaggio nelle serie I Simpson e I Griffin, oltre a contribuire alla realizzazione di un album del gruppo metal finlandese Nightwish).

Chi fa vincere l’islamismo

Dopo essere arrivato a Parigi, Waleed ha continuato a prendere parte ad appelli e iniziative contro l’avanzata dell’islam radicale in Francia, e più in generale in Occidente. Convinto di approdare nella terra della “liberte, egalite, fraternite”, ha scoperto in breve tempo come anche lì stesse mettendo radici l’integralismo.

Intervistato da Il Foglio nel 2020, denunciava il modo in cui politici e intellettuali difendevano gli estremisti religiosi e tacciavano di islamofobia chiunque li criticasse: “Accettano la violenza, collaborano con l’islamismo perché sarebbe la vittima, chiudono gli occhi in nome della ‘sicurezza’ della società, e tutto questo concorre a far vincere l’islamismo”, disse.

Per molti a sinistra, sono anche voti. L’islam politico è forte perché spaventa, mette a tacere le persone. Quando le persone iniziano a temere di parlare dell’islam per paura delle rappresaglie, è l’inizio della sua presa sulla società. Se l’islamismo si imporrà in Francia, non è perché è potente come gli piace far credere, ma a causa della codardia di una parte dei politici e dei francesi.

Israele e antisemitismo

Pur essendo nato e cresciuto in Cisgiordania, a differenza della maggior parte degli influencer palestinesi Al-Husseini si è occupato relativamente poco del conflitto israelo-palestinese. In generale, nella sua autobiografia ha ripudiato gli atteggiamenti troppo aggressivi nei confronti di ebrei e israeliani, oltre a schernire le teorie complottiste che lo dipingono come un agente del Mossad.

Nel 2018, è stato una delle oltre 300 celebrità francesi che hanno firmato un manifesto contro l’antisemitismo islamista. Mentre nel 2015, intervistato dal sito di notizie israeliano Ynetnews, ha spiegato che “l’odio verso gli ebrei viene dal Corano. La filosofia dell’islam è fondata su di esso. In Palestina, ho imparato l’odio antiebraico e la jihad a scuola. Cosa accadrà a tutte le generazioni che sono state educate così?”.