In tre giorni abbiamo capito cosa sia realmente l’Unione europea. Lunedì una raccomandazione del Trilogo (Commissione, Consiglio e Parlamento) ha reintrodotto la “scala mobile” per adeguare il salario minimo all’inflazione. Martedì si è raggiunto l’accordo per imporre un caricabatterie universale, utilizzabile da tutti i dispositivi (tablet e cellulari o loro accessori). Apple usa un altro tipo di caricabatterie, da sempre? “Si adegui” è stata la testuale risposta dell’Ue.
Il giorno dopo, il Parlamento europeo ha votato a maggioranza una misura per vietare la produzione di veicoli con motore a combustione entro e non oltre il 2035, quindi fra soli 13 anni. Riprogrammare la produzione di veicoli di tutte le cilindrate, passando da combustili come benzina e diesel alle batterie elettriche, è come imporre una nuova rivoluzione industriale, a colpi di direttive politiche.
Un Grande Balzo alla cinese
Più che la rivoluzione industriale, infatti, questi piani europei ricordano il Grande Balzo in Avanti cinese, quando Mao si svegliò una mattina e decise che, per rispettare meglio i sacri testi di Marx, tutti i contadini dovevano diventare operai e quindi tutte le fattorie dovevano trasformarsi in acciaierie. Il risultato fu giusto una trentina di milioni di morti nella carestia che seguì questa industrializzazione accelerata imposta dal governo.
In Europa, forse, non avremo altrettanti morti. Però in piena crisi economica post-Covid viene imposto un giro di vite alle imprese più produttive. Potenzialmente, in tutta Europa, avremo milioni di disoccupati. E sicuramente non basta la fogliolina di fico dell’emendamento “salva-Ferrari”, passato grazie all’impegno degli eurodeputati italiani, che allunga i tempi, di pochi anni, per i produttori “di nicchia”.
Il mercato dice no
Passare da un tipo di motore rodato nell’ultimo secolo e mezzo ad uno ancora in fase di sviluppo è un salto nel buio. Lasciamo perdere, per il momento, la causa: la lotta contro il cambiamento climatico. Può essere valida o meno, ma se la affronti con la pianificazione statale, invece che con metodi di mercato, i risultati saranno sempre quelli delle pianificazioni economiche (vedere la storia dell’Urss per credere).
Il mercato “comunica” che il cambiamento dovrebbe essere molto più lento, sempre che avvenga del tutto: nonostante i numerosi incentivi statali, al 2022, in tutta Europa, i veicoli elettrici sono appena il 10 per cento del totale. I motori ibridi plug-in, quelli in cui la componente elettrica è alla pari di quella a benzina, sono nel 9 per cento dei veicoli in circolazione (dati Acea, maggio 2022).
Il mercato dà una risposta negativa, non solo per i prezzi alti (che comunque sono imposti dai costi di materiali e dalla ricerca tecnologica, oltre che dalla scarsità), ma anche per la carenza di infrastruttura. Le colonnine in Italia sono 28 mila, di cui appena 150 lungo le autostrade e il 12 per cento non ha corrente.
In un Paese come il nostro che ha rinunciato al nucleare e che, sicuramente, non avrà centrali nuove da qui ai prossimi 13 anni, come sarà possibile espandere questa infrastruttura per servire decine di milioni di auto elettriche? E come sarà possibile, con decine di milioni di auto elettriche, smaltire le code, nel momento in cui una ricarica richiede, come minimo, una mezz’oretta di tempo (contro i 5 minuti in media a una pompa di benzina)?
La dipendenza dalla Cina
Almeno saremo energeticamente indipendenti? Energeticamente sì, avremo meno bisogno dei fornitori più inaffidabili del mondo (Russia, Paesi arabi, Paesi africani e Venezuela). Ma tecnologicamente saremo molto più dipendenti dalla Cina, che controlla il 70 per cento delle forniture mondiali di terre rare, elemento di base per la produzione delle batterie.
La Cina non è un fornitore più affidabile e sta dimostrando in tutti i modi che, dopo la Russia, vuole essere il nostro prossimo nemico nel mondo multi-polare del futuro.
Per fortuna l’Ue non è (ancora) uno Stato
Per fortuna che questa misura non è una legge, anche perché il Parlamento europeo non è un organo legislativo e l’Ue non è uno Stato. Il passaggio da benzina ad elettrico sarà ancora oggetto di negoziati fra i governi membri. Se l’Ue fosse uno Stato, questi provvedimenti verrebbero calati dall’alto e le nostre industrie, così come tutti i consumatori, dovrebbero obbedire.
Quindi è già uno scenario che dovrebbe scoraggiare ogni persona ragionevole a desiderare gli “Stati Uniti d’Europa”. È comunque rivelatore della mentalità europea. E di “certo liberalismo”.
Per amore dell’uniformità
L’accordo sui caricabatterie che colpisce Apple è un piccolo grande esempio. Si tratta di una delle più grandi aziende del mondo, dagli anni Settanta ha impostato la sua strategia sulla diversità dei suoi sistemi, così da fidelizzare i suoi clienti creando loro un ambiente di dispositivi tutti di marca Apple.
Che questa sia concorrenza “sleale” non lo si può dire da nessun punto di vista, morale o economico. Apple non costringe nessuno a comprare i suoi prodotti e, da un punto di vista economico, corre il rischio di offrire prodotti più costosi e “di nicchia”, proprio perché dipendono da una tecnologia diversa da quella usata da tutti i concorrenti.
L’Ue, con questa imposizione di un caricabatterie universale, impone all’azienda americana di cambiare la sua tradizionale strategia. Di rendersi vulnerabile alla concorrenza di altre grandi multinazionali. E in un campo dove la diversità e la creatività contano quanto la qualità del prodotto, si tratta di un colpo molto duro.
Perché l’Ue si impegna a danneggiare Apple? Per amore dell’uniformità. “Certo liberalismo” di matrice giacobina e napoleonica, ama la standardizzazione. Crede che la competizione sia possibile solo se tutti accettano “certi standard di base”. Decisi da chi? Dal governo, ovviamente. E sulla base di cosa? Sulla “opinione prevalente”. Che non è mai stata un criterio di mercato, visto che il mercato si sviluppa su innovazioni dirompenti che superano i vecchi standard.
Questo è socialismo
Il sogno dell’Ue è quello di porre fine al mercato libero, con tutta evidenza. E lo dimostra proprio la reintroduzione della “scala mobile”, concetto che pareva definitivamente superato negli anni Ottanta. Si tratta di una forma malcelata di pianificazione anche dei salari, che a questo punto vengono sottratti ancora di più alla libera contrattazione fra le parti e un’accettazione passiva dell’inflazione, che viene vista non come un errore di politica monetaria, ma come un “fatto ineluttabile”.
Quindi è “naturale” espandere la liquidità circolante e piuttosto sono i datori di lavoro (oppure i contribuenti, se si parla di reddito di cittadinanza e altri sussidi statali) che devono adeguare i salari minimi al conseguente aumento del costo della vita. Se però dici che questo è “socialismo”, ti becchi la predica dei liberali europeisti.