Usa 2024: il nuovo astro DeSantis e la mina vagante Trump

I grandi finanziatori stanno già inondando di denaro il governatore della Florida (favorito su Biden), ma l’ex presidente ha ancora un sostegno da non sottovalutare

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Già si comincia a parlare delle prossime elezioni presidenziali del 2024, con poche certezze e tanti dubbi. Dubbi che si concentrano soprattutto sul lato Repubblicano. Infatti, sul versante Democratico appare per ora scontata la riconferma di Joe Biden, candidato per un secondo mandato.

Trump e gli altri

A destra pesa come un macigno la presenza ingombrante di Donald Trump, che ha già confermato la volontà di ricandidarsi, presentandosi alle primarie del prossimo anno. È dal 1892 che un presidente sconfitto alle urne non decide di ricandidarsi. Difatti, l’unico caso è quello del Democratico Grover Cleveland, eletto nel 1884, sconfitto nel 1888 e rieletto nuovamente nel 1892.

Da poco, si sono accodati all’ex presidente Trump anche Nikki Haley, ex governatrice del South Carolina e l’imprenditore Vivek Ramaswamy, entrambi figli di immigrati indiani. Nessun altro ha ancora preso ufficialmente l’impegno di correre per la nomination repubblicana, ma appare alquanto sciocco non considerare l’attuale governatore della Florida Ron DeSantis come nuovo astro del Partito Repubblicano e papabile candidato alle presidenziali.

DeSantis

È uno dei più forti oppositori dell’agenda woke e simboleggia la dinamicità economica dei Red States come Florida, Texas, Montana e Utah, verso cui emigrano molti americani in fuga dalle conseguenze delle politiche Democratiche in California e New York. Il fatto che Trump abbia scelto Desantis come primo bersaglio della sua sleale campagna denigratoria fa intendere che la sua nomination sia ormai cosa certa.

L’indizio più importante arriva però dai grandi finanziatori (donors) del mondo Repubblicano, che stanno già inondando di denaro il governatore italoamericano, puntando sulla sua leadership rispetto ad un possibile ritorno dell’ex presidente.

L’ondata di complottismo

Con la sua uscita di scena, Trump risulta indifendibile anche agli occhi di coloro che riconoscono il successo di alcune iniziative proprie della sua presidenza. L’ondata di complottismo che serpeggia nelle frange estreme del mondo conservatore è stato anche alimentato da lui e con lui rimane attuale.

In questi giorni si è saputo che nel 2020 i suoi legali Sidney Powell e Rudy Giuliani, sostenitori dell’inconsistente tesi della frode elettorale, erano stati scaricati anche dai vertici della rete conservatrice Fox News. Volti noti del canale tv come Carlson, Hannity e Ingraham hanno dato ossigeno alla tesi cospiratoria, pur avendone privatamente riconosciuto la falsità e la pericolosità.

Questa deriva demagogica e illiberale non fa giustizia alla grande tradizione del Partito Repubblicano, da sempre roccaforte della Costituzione e delle libertà individuali (non tutte) contro i soprusi dei progressisti.

Se la candidatura di DeSantis dovesse essere confermata, la palla passerà poi alle primarie del Partito nel 2024 e, in seguito, alle presidenziali di novembre contro i Democratici.

Trump terzo candidato?

È presto per sapere quale sarà la scelta davanti alla quale si troveranno di fronte gli americani, ma secondo i primi sondaggi uno scontro Biden/DeSantis avrebbe molte più probabilità di concludersi con il ritorno dei Repubblicani alla Casa Bianca, al contrario di un secondo round Biden/Trump.

Trump è tutt’ora meno popolare di DeSantis e rischia di rimanere schiacciato dal peso del suo risentimento ingiustificato contro chiunque osi contestare la sua leadership. Tuttavia, il tycoon conserva ancora un sostegno da non sottovalutare. È per questo che viene anche paventata l’ipotesi che, a fronte di una vittoria di Desantis alle primarie repubblicane, Trump potrebbe stravolgere tutto in virtù della sua incapacità di accettare la sconfitta, presentandosi come candidato terzo.

La storia elettorale americana ci ricorda che una corsa a tre non giova a nessuno, in particolare alla destra. Senza scomodare le lontane elezioni del 1912, nelle quali le divisioni fra W. Taft e T. Roosevelt facilitarono il Democratico W. Wilson, basta fermarsi al 1992 per vedere gli effetti di un terzo candidato alle presidenziali.

Il presidente uscente George H. W. Bush si scontrò con l’ex governatore dell’Arkansas Bill Clinton e il candidato indipendente Ross Perot. Nonostante i principali motivi della sconfitta di Bush fossero di altra natura, è innegabile che la presenza di Perot abbia reso più facile la strada ai Democratici, rubando voti a Bush e portando alla vittoria Clinton.

America divisa

L’America di oggi ha bisogno di tornare a credere nella propria grandezza e per questo dovrà lasciarsi alle spalle un’amministrazione debole e statalista come quella Biden-Harris.                        

Passo dopo passo, la faida fra opposti estremismi sta lacerando ciò che ha sempre reso unica e migliore l’America. La nazione è divisa come non mai, attraversata da un’ondata di attivismo isterico senza freni.

L’estremismo trumpiano è vivo e vegeto, ma meno organizzato o strutturato rispetto al radicalismo di sinistra, ben più diffuso e sponsorizzato, dato il sostegno che ottiene dal mondo accademico e mediatico. Cancel culture e Critical race theory, ma anche complottismo e Big Government sono senz’altro i fattori dominanti di uno scenario polarizzato che ricorda molto quello della Culture War evocata da Patrick Buchanan alla Convention repubblicana del 1992.

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