Esteri

Verso un’economia di guerra “totale”: ecco come affrontarla

Il professor Giovanni Farese ad Atlantico Quotidiano: la guerra ha un costo economico, l’Occidente è compatto ma deve coordinarsi per affrontarlo

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Il costo economico della guerra, la necessità che l’Occidente resti compatto e abbia uno sguardo di lungo periodo, e che l’Ue emetta debito comune, il ruolo della Turchia nella Nato. Questi i temi toccati da Giovanni Farese, professore associato di storia dell’economia all’Università Europea di Roma e Marshall Memorial Fellow del German Marshall Fund of the United States, nell’intervista concessa ad Atlantico Quotidiano.

Verso un’economia di guerra

TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: In che fase della guerra ci troviamo, professor Farese, dal punto di vista economico?

GIOVANNI FARESE: Siamo con tutta probabilità nella fase di passaggio da una guerra economica, graduale e settoriale, basata sulle sanzioni, a una vera e propria economia di guerra “totale” trainata dalla riduzione delle forniture di energia da parte della Russia.

Fin qui la guerra ha dato all’economia un tono stagflazionistico, con una più elevata inflazione e un rallentamento della crescita. Domani richiederà un maggiore intervento dello Stato nell’economia, più spesa pubblica, e soprattutto un maggiore coordinamento tra i Paesi europei per evitare la frammentazione del mercato dell’energia, oltre che un maggiore e migliore coordinamento tra politica fiscale e politica monetaria.

Con il passare dei mesi ci sarà bisogno anche di un coordinamento più stretto a livello transatlantico, specie se la guerra dovesse continuare. Occorre prepararsi a questa prospettiva.

Guardare lontano

TADF: Ritiene che Francia, Germania e Italia abbiano una posizione divergente rispetto a Regno Unito e Stati Uniti?

GF: Non direi. Anzi. E’ parso così ad alcuni prima della foto del treno per Kiev, ma non dopo. Né tantomeno dopo i recenti vertici G7 e Nato, che hanno mostrato un fronte europeo e occidentale compatto.

Putin scommette sulla divisione del fronte, ed è per questo che l’unità è fondamentale. E’ emersa in questi ultimi consessi la consapevolezza della necessità, per l’Occidente, di guardare lontano sia nel tempo che nello spazio.

Argentina, India, Indonesia, Senegal e Sudafrica hanno partecipato al vertice G7. Australia, Corea del Sud, Giappone e Nuova Zelanda a quello Nato. L’India è uno dei Paesi Brics (Brasile, India, Cina, Russia, Sudafrica), ma anche del Quad (il Quadrilateral Security Dialogue) insieme ad Australia, Giappone, Stati Uniti. La sfida è globale. L’Europa, il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno perciò bisogno gli uni degli altri.

Sufficiente il sostegno a Kiev?

TADF: La riconquista dei territori persi dall’Ucraina nel corso della guerra è a suo dire fattibile? Se sì, è necessario maggiore sostegno – anche economico e finanziario – da parte occidentale per conseguire tale risultato?

GF: L’impegno della Nato è di sostenere “per tutto il tempo necessario” lo sforzo dell’Ucraina nel recupero dell’integrità territoriale. Sul piano economico, l’Europa fornisce assistenza macro-finanziaria e sostegno al bilancio ucraino.

Molto in questo senso hanno fatto e stanno facendo gli Stati Uniti. Ma l’Europa ha anche, in ragione della sua dipendenza energetica, continuato a importare gas e petrolio dalla Russia, trasferendo così risorse nella casse di Mosca.

Putin ha poi iniziato a manovrare quantità e prezzi. L’Europa ha dato a sé stessa e a Putin tempo, con le sanzioni differite, e lui ha guadagnato denaro.

Si parla già, e giustamente, della ricostruzione dell’Ucraina perché i piani di ricostruzione si fanno durante, e non dopo, una guerra, ma è importante fiaccare anche sul piano economico l’iniziativa di Putin, altrimenti tutto si fa difficile.

Meglio che la Turchia stia dentro

TADF: In questa crisi un ruolo importante è giocato dalla Turchia. Come evolveranno i rapporti tra Ankara e l’Occidente?

GF: La Turchia è un Paese della Nato. E’ una potenza militare regionale, con ambizioni larghe e risorgenti, che arrivano fino al Corno d’Africa e al Sahel. Ma la sua economia è fragile e ha bisogno dell’Occidente.

E’ una potenza “cerniera” che sfrutta la sua posizione geostrategica e che, da quella posizione, negozia su tutto, anche con gli amici. Gli alleati, del resto, tendono nel tempo a ricomporre i contrasti perché pensano che sia preferibile che la Turchia stia “dentro” il sistema occidentale e non fuori.

L’importante è non farsi più troppe illusioni, né in generale né su nessuno. Occorre recuperare uno sguardo lungo anche nel tempo.

Il costo della guerra

TADF: Che cosa può fare nell’immeditato l’Italia per cancellare o ridurre la dipendenza energetica dalla Russia?

GF: Molto si sta facendo. Le strade sono tre: primo, diversificazione degli approvvigionamenti con una politica estera economica più ampia e più larga; secondo, più investimenti nei rigassificatori e, nel tempo, nelle rinnovabili; terzo e ultimo, qualche intervento sul lato della domanda. Meno incentivi generalizzati e più trasferimenti diretti e selettivi.

La guerra ha un costo, che stiamo già pagando in termini di addizione di inflazione e di deduzione di crescita. E’ inutile pensare di restarne fuori. Dopo lo scoppio della pandemia ci vollero cinque mesi per impostare un piano europeo.

Sono passati cinque mesi dall’inizio della guerra. Il costo della guerra non può gravare solo sui bilanci nazionali. Occorrono emissioni di titoli di debito comune per tutto il tempo della guerra, specie se dovesse prolungarsi. E l’Italia ha l’autorevolezza per parlare.

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