Esteri

Vince Lula, ma trova un Brasile diverso e un bolsonarismo forte

Avrà contro il Congresso e governatori di Stati importanti, Bolsonaro lascia metà Paese compatto contro l’egemonia culturale e di potere della sinistra

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Rio de Janeiro – Il voto ha premiato Lula. Mentre scriviamo mancano ancora una manciata di punti percentuali alla fine dello scrutinio e, malgrado si tratti di alcuni Stati in cui Bolsonaro è largamente in testa, certamente quei voti non saranno sufficienti a recuperare lo scarto fin qui a favore di Lula, 50,84 per cento contro 49,16, circa 2 milioni di voti, lo scarto minore della storia democratica brasiliana.

La rimonta di Bolsonaro non basta

Jair Bolsonaro ha ridotto il ritardo che aveva al primo turno da 5 punti percentuali a poco più di 1, ma non è bastato. Ha tentato di ampliare il suo vantaggio negli Stati del sud, del sudeste, del centro-oeste, e c’è riuscito, ma non è stato sufficiente.

Ha superato Lula negli Stati del norte (con la sola eccezione del Pará), che sono quelli della enorme regione amazzonica, ma non è stato sufficiente. Ha perfino ridotto, sia pure di poco, il ritardo nei 9 Stati del Nordeste, tradizionalmente serbatoio di voti di Lula con altissime percentuali, ma nemmeno questo è bastato.

Nello Stato di Bahia la distanza accumulata al primo turno (-45 per cento rispetto a Lula) è stata ridotta, ma non è bastato. Non è bastato a Bolsonaro essere nettamente in testa negli Stati più ricchi e avanzati (Rio Grande do sul, Parana, Santa Catarina) e in quelli popolosi del sudeste (Sao Paulo, Rio de Janeiro, Espirito Santo e – sia pure di poco – in Minas Gerais).

In Amazzonia

E non è servito essere largamente davanti in Mato Grosso e in Mato Grosso do sul, Goias (e parzialmente in Tocantins), oltre che, come detto, in molti Stati dell’Amazzonia (Rondonia, Acre, Roraima e Amapa), con l’eccezione di Amazonas e del Pará, tradizionalmente a guida del PT.

Insomma, lo stesso Bolsonaro dipinto come nemico degli indios e del loro ecosistema, in molti degli Stati dell’Amazzonia ha prevalso su Lula, che degli indios era stato presentato come il “Santo protettore”.

Lula ha resistito in tutti questi Stati ed ha resistito nei 9 Stati del Nordeste che gli hanno garantito ancora una volta un serbatoio di voti che, sia pure per poco, sono stati sufficienti a dargli la vittoria.

Una campagna sbilanciata

Una vittoria sudata e forse insperata, certamente non meritata, al termine di una campagna elettorale fortemente sbilanciata a suo favore da un organo giudiziario che ha contato, ai fini del risultato finale, molto più di quel che si può immaginare.

Come avevamo anticipato giorni fa, lo scandalo della scomparsa di centinaia di migliaia di spot elettorali di Bolsonaro dalle radio del Nordeste può aver condizionato il voto e pregiudicato il tentativo di recuperare il gap, soprattutto nello Stato di Bahia.

Non vogliamo dire che sia questa la ragione della sconfitta di Bolsonaro, ma certamente quella vicenda, sommata alla censura sistematica ai danni degli organi di informazione non apertamente schierati a favore di Lula, ha pesato eccome sul clima della campagna.

Avevamo anche anticipato che probabilmente queste elezioni non si sarebbero concluse al secondo turno, poiché sia lo staff di Lula sia quello di Bolsonaro hanno raccolto durante le ultime settimane documentazioni su aspetti poco chiari della campagna elettorale e sul ruolo del Tribunale Supremo Elettorale (TSE), da utilizzare per eventuali ricorsi post-elettorali in caso di sconfitta con uno scarto molto risicato.

Ed è probabilmente ciò che accadrà. Come nel caso delle ultime presidenziali Usa con la sconfitta di Donald Trump, ci saranno ricorsi da parte della destra, che denuncerà non tanto brogli elettorali quanto il ruolo anomalo e inusualmente prevaricante autoassegnatosi dal Tribunale Supremo Elettorale durante tutte le fasi della campagna.

Nasce il bolsonarismo

Ora a Bolsonaro non resta che ammettere ed accettare la sconfitta, ma con l’orgoglio e la consapevolezza di aver costruito in Brasile un soggetto politico conservatore e liberista in economia, che fino al suo avvento non esisteva. Muore, metaforicamente, Bolsonaro, ma nasce il bolsonarismo: che significa un Brasile compattamente schierato contro l’egemonia culturale, politica e di potere rappresentata dal PT e dal suo capo.

Un Brasile molto diverso

D’altra parte, Lula eredita un Brasile, oggi, nel 2022, molto diverso, più moderno, più ricco, più dinamico e più aperto al mondo di quello che aveva lasciato, grazie principalmente al governo Bolsonaro, che ha saputo rimediare ai danni causati dai disastrosi governi di sinistra. Un governo corretto, e non corrotto, che ha tra l’altro riportato al profitto le grandi aziende statali.

Persino nell’arretrato Nordeste, è stato in grado di portare a termine imponenti progetti di ingegneria idraulica (la deviazione del corso del Rio São Francisco), lasciati per strada dai governi del PT.

Riprese nel 2019 dal governo Bolsonaro, le opere del grande progetto (PISF: Progetto di Integrazione del Rio São Francisco con i grandi bacini idrografici del Nordeste settentrionale) sono state concluse portando l’acqua del grande fiume, che parte da Minas Gerais, in molti Stati del Nordeste: Pernambuco, Paraiba, Rio Grande do Norte, Ceará.

Nel giro di qualche anno gran parte delle sconfinate aride pianure del Sertão potranno trasformarsi in aree dallo sviluppo garantito e con una prospettiva di ricchezza e prosperità.

Opposizione forte

Non sarà facile per Lula assumere la presidenza e procedere a ristabilire il sistema strutturale di corruzione che ha messo sul lastrico il Brasile e le sue maggiori imprese. Primo, perché il bolsonarismo vigilerà con una maggioranza certa in Congresso.

Secondo, perché gli Stati tradizionalmente centrali e decisivi per la politica del Paese (Sao Paulo e Minas Gerais) hanno governatori conservatori eletti con ampie maggioranze. Soprattutto il giovane di San Paolo, Tarcisio de Freitas, che molti indicano come l’astro nascente della politica conservatrice brasiliana e futuro presidente.

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