Esteri

Vittimismo climatico, i governi africani hanno capito come spillarci altri soldi

Al primo vertice africano sul clima impegni miliardari per l’Africa, facendo leva sulle solite colpe dell’Occidente. Soldi che finiranno come sempre in sprechi e corruzione

William Ruto Il presidente del Kenya William Ruto apre l'African Climate Summit

Dal 4 al 6 settembre si è svolto a Nairobi, in Kenya, il primo vertice africano sul clima. Il presidente del Paese ospite, William Ruto, nel dare il benvenuto alle migliaia di delegati arrivati da tutto il continente, ha detto: “per molto tempo abbiamo considerato il cambiamento climatico come un problema. È giunto il momento di ribaltare la situazione e guardarlo da un’altra prospettiva”.

“Il nostro obiettivo è di incominciare a cambiare il modo di parlare dell’Africa, non più solo come vittima di fame, carestie e inondazioni”, ha aggiunto nel discorso d’apertura il ministro kenyano dell’ambiente Soipan Tuya.

Un grande business

La nuova prospettiva, ha chiarito il presidente, se mai ce ne fosse stato bisogno dal momento che tutti avevano capito che cosa intendesse, e per questo erano lì, è considerare la questione climatica come “una fonte di opportunità economiche multimiliardarie che l’Africa e il mondo sono pronti a sfruttare”.

Soprattutto l’Africa, qualcuno dei presenti avrà mormorato, perché sostanzialmente, al di là degli argomenti dichiarati in agenda, lo scopo del vertice era definire entità e modalità delle richieste finanziarie da presentare durante il vertice e poi al Climate Ambition Summit convocato dal segretario generale delle Nazioni Unite, che si terrà il 20 settembre al Palazzo di Vetro, e alla COP28, la conferenza sul clima che si svolgerà dal 30 novembre al 12 dicembre negli Emirati Arabi Uniti. Per questo erano stati invitati i rappresentanti dell’Unione Europea, delle Nazioni Unite, di diversi Stati non africani e di istituti di credito e privati.

Vittimismo anche sul clima

Gli africani, invocando una narrazione che li vuole sempre vittime innocenti, chiedono investimenti, finanziamenti, contributi a titolo di dono e prestiti per realizzare la conversione green e per far fronte ai danni causati da fenomeni atmosferici avversi, fondi che andranno ad aggiungersi a tutti gli aiuti umanitari e per lo sviluppo di cui già usufruiscono.

Inoltre, sono ansiosi di partecipare quanto più possibile al mercato dei carbon credit grazie ai quali possono assicurarsi altri capitali ancora. Non contenti, reclamano ulteriori condoni del debito estero, per l’eccessivo ammontare del quale diversi stati rischiano il default (tra cui il Kenya e la Nigeria) e alcuni già lo hanno fatto (clamoroso il caso del Ghana, un tempo fiore all’occhiello dell’Africa occidentale per stabilità politica e performance economica).

Sostengono di averne diritto perché loro producono poca CO2, ma patiscono più danni di ogni altro continente a causa del cambiamento climatico. Posto che risultasse fondata la congettura di un riscaldamento del pianeta di origini antropiche, si dovrebbe obiettare che quelle emissioni di CO2 servono anche a produrre le risorse che a piene mani si riversano sull’Africa da decenni.

Quanto ai maggiori danni, dove, come succede in Africa, non si provvede al controllo delle acque, non si costruiscono dighe, acquedotti, argini, dove insomma si resta in balia dei fenomeni atmosferici, i danni di inondazioni e siccità sono per forza maggiori che altrove e lo diventano ancora di più se colpiscono popolazioni povere che spesso possono contare solo sugli aiuti umanitari stranieri perché i loro governi non vogliono o non sono in grado di provvedere (ad esempio, se la fame colpisce in un territorio sul quale il governo nazionale non ha il controllo).

Accordi per centinaia di milioni

Tornando al vertice, gli organizzatori si aspettavano che a Nairobi si concludessero accordi per centinaia di milioni di dollari. Non sono stati delusi. La presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha assicurato che l’Ue vuole essere partner dell’Africa e, per colmare il gap di investimenti nel continente, ha deciso che metà dei 300 miliardi di euro del piano Global Gateway, un fondo per ridurre il divario globale degli investimenti, saranno destinati all’Africa.

Uno dei primi Paesi a garantire il proprio impegno durante il vertice è stata la Gran Bretagna che ha detto di voler investire subito 61 milioni di dollari in nuovi progetti per aiutare gli africani a gestire l’impatto del cambiamento climatico e ad attuare interventi per il clima: 34 milioni saranno destinati a 15 Paesi africani, verranno impiegati in progetti per aiutare donne, comunità a rischio e oltre 400.000 agricoltori a sviluppare resilienza contro gli effetti del cambiamento climatico.

La Germania ha annunciato un accordo con il Kenya in base al quale ne condonerà i debiti per un ammontare di 65 milioni di dollari in cambio dell’impegno da parte del Paese a investire i fondi in progetti green. Inoltre stanzierà altri 486 milioni di dollari per sostenere la lotta dell’Africa contro il cambiamento climatico. Gli Emirati Arabi Uniti si sono impegnati per 4,5 miliardi di dollari in investimenti per l’energia pulita, un decimo dei quali saranno carbon credit.

I governi africani vogliono contributi per almeno 100 miliardi di dollari all’anno e, secondo stime dell’organizzazione non profit Climate Policy Initiative, per realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda Onu 2030 hanno bisogno complessivamente di 277 milioni all’anno. Forse ne riceveranno persino di più.

L’ingiustizia climatica

Il segretario generale Onu Antonio Guterres infatti ha esortato la comunità internazionale a far sì che l’Africa diventi “una superpotenza delle energie rinnovabili”. Il 5 settembre, incontrando i giornalisti, ha parlato dell’“ingiustizia climatica” che opprime gli africani e ha voluto ricordare “le radicate ingiustizie che impediscono ai Paesi africani di dispiegare le loro enormi opportunità e il loro illimitato potenziale”.

Le “radicate ingiustizie” che impediscono all’Africa di liberare il proprio potenziale sono la corruzione eretta a stile di vita, il malgoverno, gli scontri e le guerre per il controllo delle istituzioni politiche, il jihad lasciato dilagare, i diritti umani violati. Tutti indistintamente i partecipanti al vertice di Nairobi lo sapevano, anche Guterres. Ma lui non di questo ha parlato.

Il Continente subisce – ha elencato invece – i danni peggiori a causa del cambiamento climatico pur contribuendo solo per il 4 per cento alle emissioni globali di CO2, è vittima di un sistema finanziario globale obsoleto e ingiusto, è oppresso dai debiti, il che rende necessario un meccanismo che includa la sospensione dei pagamenti, termini di prestito più lunghi e tassi di interesse più bassi. Ma l’ingiustizia più grave, ha concluso, è non avere rappresentanza a livello globale a partire dal Consiglio di Sicurezza Onu dove l’Africa non ha un seggio permanente.

La vera ingiustizia

In realtà, nessun continente è rappresentato al Consiglio di Sicurezza e i prestiti ai governi africani sono già concessi a condizioni eccezionalmente favorevoli, molti vengono cancellati e rinegoziati. Lo spreco che ne viene fatto è all’origine dell’indebitamento insostenibile.

Assecondare, come quasi tutti continuano a fare, la rappresentazione degli africani come vittime di torti dubiti da secoli, afflitti da problemi causati da fattori esterni, ignorando le loro responsabilità, è l’ingiustizia primaria, perché li definisce come incapaci di decidere di sé e da sé, ed è l’ostacolo che impedisce di mettere a frutto il loro potenziale, le immense risorse naturali e umane di cui dispongono.

Gli assenti al vertice

Sudafrica, Nigeria e Uganda non hanno partecipato al vertice di Nairobi. Hanno spiegato perché nelle lettere inviate al governo kenyano per declinare l’invito e di cui è trapelato il contenuto. Il Sudafrica ha deciso di non presenziare per protesta contro alcuni partner europei leader mondiali di inquinamento, ma che vogliono imporre al Paese di smettere di usare il carbone e passare alle rinnovabili.

La Nigeria, primo produttore africano di petrolio, ha rifiutato perché non intendeva ricevere lezioni da chi inquina più di tutti. L’Uganda ha specificato di non voler partecipare a causa della presenza di John Kerry, rappresentante del più grande Paese inquinatore. Il presidente ugandese Yoweri Museveni ha scritto di non essere disposto ad ascoltare i suoi discorsi: “l’Africa – ha orgogliosamente asserito – non è schiava di nessuno e si riserva il diritto di condurre i propri affari come ritiene opportuno”.

Sudafrica, Nigeria, Uganda non rischiano niente a causa della loro assenza. Ci saranno finanziamenti, investimenti, contributi a titolo di dono, prestiti, carbon credit anche per loro.