Kyriakos Mitsotakis è il dominus indiscusso della politica ellenica. Il leader di Nuova Democrazia è riuscito ad imprimere una svolta alla crisi decennale che affligge la Grecia, annoverata tra i sorvegliati speciali di Bruxelles.
Prima del suo arrivo al governo il Paese era visto come l’appestato d’Europa, inaffidabile agli occhi dei creditori per i livelli estremi di corruzione e per il debito pubblico fuori controllo. Basti pensare al declassamento dei suoi titoli di Stato a junk bond (“titoli spazzatura”, ossia con un rendimento elevato ma con un alto rischio per gli investitori).
Le politiche di Mitsotakis
Dal 2019 Mitsotakis ha posto fine alle misure demagogiche di Tsipras promuovendo un’ondata di privatizzazioni e adottando delle riforme orientate ad attrarre gli investimenti stranieri tramite aliquote fiscali ridotte.
Tali interventi hanno stimolato una crescita economica di gran lunga superiore alla media dell’area euro (+5,9 per cento nel 2022, +2,2 per cento nel 2023) e proprio per questo hanno suscitato il malcontento di dirigisti-populisti-comunisti (che anche in Grecia non mancano).
Opposizione allo sbaraglio
Vani i tentativi di scalzare Mitsotakis da Villa Maximos: le proteste contro la pericolosa “deriva liberista” sono risultate un pretesto (fallito) per rinvigorire l’opposizione allo sbaraglio.
I socialisti del Pasok, i comunisti soft di Syriza e i comunisti duri e puri del Kke hanno demonizzato, ciascuno nel modo più congeniale, gli avversari di Nuova Democrazia – che dovrebbero ringraziarli, visti i risultati elettorali eccellenti (per il centrodestra) e sconfortanti (per loro). Vi ricorda qualcosa?
Il successo di Nuova Democrazia
Le elezioni del 21 maggio hanno smentito i pronostici dei “sondaggisti di Frattocchie” (coloro che stimavano Nuova Democrazia e Syriza appaiate, con il recupero di quest’ultima).
I conservatori di Mitsotakis hanno aumentato leggermente il consenso di quattro anni fa (40,8 per cento, +0,9); record negativo per Syriza di Tsipras, che registra il 20 per cento (un crollo di oltre 11 punti percentuali rispetto al 2019). Al terzo posto il Pasok, risvegliatosi dallo stato comatoso in cui versava (11,5 per cento, +3,3).
Il successo di Nuova Democrazia può essere attribuito non solo al buon operato del governo Mitsotakis, ma anche alla postura del partito nell’Unione europea. ND aderisce al Ppe ma mantiene una linea non genuflessa ai diktat di verdi e socialisti. Il suo è un conservatorismo di matrice mediterranea e popolare, che non ha barattato la propria identità per avere un posto in più nella maggioranza Ursula.
Anche la distribuzione territoriale del voto non lascia adito a dubbi. Nuova Democrazia è il primo partito in tutti i distretti ellenici (ad eccezione di Rodopi, in Tracia): i greci non sono mai stati così uniti dalle guerre persiane.
Perché il ritorno alle urne
Nuova Democrazia non raggiunge la maggioranza assoluta in Parlamento per soli 5 seggi. Perché se nel 2019 aveva ottenuto il 39,9 per cento e godeva di un’agile maggioranza parlamentare (158 seggi su 300) ora che ha preso il 40,8 per cento si ritrova 146 scranni?
Durante il governo Tsipras è stata introdotta una modifica alla legge elettorale preesistente, che prevedeva un premio di maggioranza di 50 seggi per la prima lista. In seguito all’abolizione della parziale spinta al maggioritario si è tornati ad un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 3 per cento.
Le nuove leggi elettorali entrano in vigore dopo due legislature in Grecia: ciò significa che nel 2019 si è votato per l’ultima volta con il proporzionale rinforzato. Per ovviare all’instabilità che ne sarebbe conseguita, il 24 gennaio 2020 il governo Mitsotakis ha approvato una norma che abroga il proporzionale secco.
Mitsotakis ha annunciato il ritorno alle urne tra il 25 giugno e il 2 luglio. È molto probabile che si replichi l’attuale scenario, con Nuova Democrazia intorno al 40 per cento (che potrebbe formare un governo monocolore) e la sinistra agonizzante.
Lezione per l’Italia
La situazione peculiare emersa in Grecia non deve essere sottovalutata. Sistemi elettorali diversi sono in grado di modificare o, addirittura, di manipolare l’esito delle elezioni, fino ad ostacolare l’insediamento di un Esecutivo legittimamente scelto dai cittadini.
Ora è chiaro perché alcune forze politiche italiane (Pd in primis) premono per la reintroduzione del sistema proporzionale: condannerebbe il Paese ad un limbo istituzionale, con la formazione di maggioranze incompatibili a causa dell’ingovernabilità cronica. E chi perde avrebbe un incentivo in più a governare.
Checché ne dicano i commentatori, i Paesi europei con il sistema proporzionale presentano una frammentazione politica non indifferente.
Si guardi pertanto al first-past-the-post, il maggioritario uninominale usato in Regno Unito e negli Stati Uniti. Ogni circoscrizione elegge il suo deputato di riferimento: chi vince (anche per un solo voto in più) governa, chi perde va a casa.
L’Italia farebbe meglio a sposare il modello anglosassone invece di prendere in considerazione un sistema obsoleto e farraginoso. Il centrodestra lo ha capito. Mentre Pd e Terzo polo (esiste ancora?) non sembrano essere dello stesso parere…