Esteri

Xi e Biden si parlano, asse Pechino-Mosca non così di ferro

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Molto importante l’incontro a Bali tra Joe Biden e Xi Jinping in occasione del G20. I due non si vedevano di persona da molto tempo, e dal loro colloquio sono emerse indicazioni fondamentali e, almeno in parte, nuove.

Leader rafforzati

Occorre innanzitutto notare che i due leader si sono entrambi rafforzati sul piano interno, s’intende con le debite differenze. Nettissimo il successo del nuovo imperatore cinese che, ottenendo il terzo mandato dal XX congresso del Partito comunista, è in pratica diventato presidente a vita, circondandosi di fedelissimi nel Politburo ed eliminando in pratica ogni opposizione interna.

Questo gli fornisce l’occasione per promuovere sul piano ideologico un ritorno al marxismo-leninismo nella sua versione maoista. Diventerà quindi sempre più rigido il controllo politico e sociale della popolazione, già realizzato mediante gli innumerevoli lockdown che hanno sigillato nelle loro case milioni di cittadini.

Xi ha poi chiarito che non vuole una nuova Guerra Fredda con gli Stati Uniti. Pur essendo i due Paesi in competizione tra loro sotto molti punti di vista, il nuovo imperatore non ritiene che ciò debba necessariamente condurre allo scontro. A suo avviso occorre il rispetto reciproco.

Ma gli Usa non devono superare la linea rossa per quanto riguarda Taiwan, appoggiando le rivendicazioni indipendentiste dell’isola.

Modello cinese

Ancora più importante è la questione dei diritti umani, il cui rispetto Biden ha naturalmente invocato. La reazione cinese è stata – come sempre – di fastidio. Non esistono per Pechino diritti umani “universali”, né “democrazie perfette”.

Ogni democrazia ha caratteristiche proprie, e se quella cinese (ammesso che di democrazia in questo caso si possa parlare) non contempla i diritti umani quale obiettivo, dev’essere lasciata libera di perseguire la sua strada.

Affermazione piuttosto audace e che indica – in modo chiarissimo – il rifiuto del modello occidentale. Pechino punta a proporre un modello proprio, diffondendolo nelle nazioni del Terzo e Quarto Mondo con aiuti economici e con l’efficace propaganda degli Istituti Confucio. La Repubblica Popolare, insomma, si autopropone come alternativa alla liberal-democrazia occidentale.

Taiwan

Dal canto suo anche l’anziano (che mira però alla rielezione) Joe Biden si è rafforzato con le ultime elezioni di midterm, contrariamente alle aspettative e alle indicazioni dei sondaggi. Ha cercato di smussare gli angoli lasciando intendere che, per quanto riguarda Taiwan, si accontenta dello status quo.

Gli Usa non premono per l’indipendenza dell’isola, chiedendo in cambio che la Repubblica Popolare non la aggredisca militarmente. Fino a che punto ci si possa fidare di Pechino è tutt’altra questione.

L’Ucraina

Accordo tra i due anche sulla necessità di non usare le armi nucleari, con la mente ovviamente rivolta all’Ucraina. E qui si è visto che l’alleanza tra Xi Jinping e Vladimir Putin di ferro proprio non è. Al contrario sembra piuttosto traballante, visto anche l’andamento del conflitto.

Si apprende da fonti cinesi citate dal Financial Times (ma, in fondo, lo si sapeva già), che Pechino non è stata informata preventivamente dell’invasione da parte del presunto “alleato di ferro”. Altrimenti, i cinesi hanno rimarcato, avrebbero provveduto a far sgomberare per tempo le migliaia di cittadini cinesi presenti sul suolo ucraino.

Da rimarcare l’irritazione cinese per il bullismo di Putin, che ha fatto tutto per conto suo, illudendosi che il suo esercito avrebbe occupato lo Stato confinante in tempi rapidi e che gli ucraini avrebbero accolto a braccia aperte i “fratelli” russi, rammentando la storia comune che risale, però, alla Rus’ medievale di Kiev.

Putin indebolito

Si è notata, a questo proposito, la comune preoccupazione per quanto sta avvenendo in Ucraina. La posizione di Putin, che si avvia a diventare un “paria” sul piano internazionale, è molto indebolita, e ci sono parecchi falchi al Cremlino che vorrebbero per l’appunto chiudere la partita usando le armi nucleari tattiche.

È significativo, al riguardo, che a Bali la Russia non fosse rappresentata da Putin, bensì da Lavrov che, nonostante alcune sparate, non è certo un falco. La sorte dello zar moscovita appare più che mai in bilico, e una sua estromissione violenta non si può affatto escludere.

Alla fine della storia, sembra avverarsi una previsione che gli analisti più avveduti avevano già fatto. La Federazione Russa, con l’improvvida invasione, ha rivelato al mondo una debolezza non prevista, e ora rischia seriamente di diventare, a dispetto delle sue enormi dimensioni, un satellite della Cina. Che può così coltivare il sogno di diventare elemento predominante nei territori asiatici conquistati dagli Zar, e poi diventati sovietici.

Il vero avversario

Difficile dire, ora, se il colloquio Xi-Biden sia stato un successo per l’Occidente. Certamente ha contribuito a stemperare la tensione stabilendo canali di comunicazione più efficaci dei precedenti tra Washington e Pechino. Resta chiaro, comunque, che il vero avversario è la Cina. La Russia può diventare davvero pericolosa solo se qualche falco al Cremlino decidesse di premere il bottone della guerra nucleare.

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