Secondo voci ricorrenti, che provengono anche dall’interno della nomenklatura, il XX congresso del Partito Comunista Cinese – che inizierà il 16 ottobre – potrebbe essere meno tranquillo di quanto si prevedeva. Il perché è presto detto.
Il “signore” del partito, Xi Jinping, ha chiesto e ottenuto, almeno in linea di principio, un inedito terzo mandato che lo renderebbe in pratica presidente a vita. Questo avveniva, tuttavia, con il Pil in crescita e prima dell’alleanza stipulata con Vladimir Putin poco prima dell’invasione dell’Ucraina.
Ma avveniva, soprattutto, quando Xi annunciava trionfante la sconfitta definitiva della pandemia di Covid-19 grazie alla fermezza sua e dell’intero Partito.
Covid-zero ed economia in ginocchio
Si dà tuttavia il caso che, da allora, la situazione sia parecchio mutata. Cominciamo dalla pandemia. L’annuncio della vittoria si è rivelato una delle più grandi bufale della storia. Il virus continua a circolare, anche se in misura minore rispetto a prima.
Xi e il suo gruppo dirigente non hanno tuttavia rinunciato a usare il pugno di ferro. In nome della politica del “Covid zero”, rivelatasi fallimentare, hanno continuato con i lockdown totali, mettendo così in ginocchio l’economia cinese e causando gravi danni anche a quella globale.
Il problema è che non vi sono segni di resipiscenza. Xi è così convinto di aver ragione da prestare poco ascolto alle frequenti proteste della popolazione, più volte scesa in piazza per invocare la fine dei lockdown. Si noti, tra l’altro, che simili proteste sono del tutto inusuali nella Repubblica Popolare, dove il controllo sociale è pervasivo e asfissiante. Eppure la leadership continua a praticare questa linea perdente.
Il culto della personalità
Molti nel Partito non gradiscono inoltre l’eccessiva personalizzazione che Xi ha imposto alla sua azione di governo. Dopo la morte di Mao Zedong, che disponeva di un potere assoluto, Xi è tornato per molti versi al “culto della personalità” tipico del maoismo. Ha neutralizzato tutti gli oppositori interni per far sì che solo una voce fosse consentita: la sua.
I mandarini del PCC non vi erano più abituati. Per evitare gli eccessi del culto della personalità, dopo Mao si stabilì che il segretario generale non fosse un capo assoluto, bensì un primus inter pares, soggetto – come tutti – all’autorità collettiva del Politburo. Xi ha completamente rovesciato questo schema avendo cura di restare, sempre da solo, al centro della scena.
Finché l’economia andava bene questo veniva accettato, sia pure a malincuore da parte di molti. Il rallentamento economico ha però modificato la situazione, inducendo l’apparato a chiedersi se non sia il caso di ritornare ad una forma di leadership collettiva.
Fonti interne, in aggiunta, parlano di malumori per l’inserimento del “pensiero” di Xi nella Costituzione cinese, rendendolo per di più oggetto di insegnamento obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado. I maligni notano che l’originalità del suo pensiero non esiste proprio, e anche questa appare un’offesa alla memoria di Mao.
Ritorno allo statalismo
L’attuale leader ha poi aperto un altro fronte contro i tanti tycoon cinesi. Obbligandoli, in pratica, a rinunciare a parte della loro ricchezza e ad accettare un controllo da parte del Partito/Stato ancora più stretto di quanto fosse in precedenza. Ed è, questo, un altro dei motivi alla base del rallentamento economico.
I suddetti tycoon sono certamente ricchissimi, ma hanno pure fornito un contributo fondamentale alla crescita del Paese, con idee innovative e fondando aziende di grande successo anche a livello internazionale. Un ritorno allo statalismo puro causa preoccupazione nei circoli economici e finanziari di Pechino.
L’asse con Putin
Last but not least, pure l’alleanza stipulata con Putin desta parecchie perplessità, anche se Xi è stato molto attento a non fornire aiuti diretti allo zar moscovita. Cresce però lo sconcerto per la politica di distruzione sistematica dell’Ucraina condotta dai russi e per la minaccia di ricorrere alle armi nucleari.
Significativa, a tale proposito, la convergenza con il tradizionale nemico indiano. Xi Jinping e Narendra Modi hanno entrambi ammonito lo zar a non compiere quel passo. Trovandosi, almeno in questo caso, allineati con gli Usa di Joe Biden.
Taiwan
Dunque il quadro, come dicevo all’inizio, è tutt’altro che tranquillo. C’è il timore che Xi, messo alle strette, punti sul nazionalismo accelerando il possibile attacco a Taiwan. Ma anche in questo caso le perplessità sono tante.
La flotta della Repubblica Popolare ha superato numericamente quella Usa, ma gli ufficiali superiori cinesi sono coscienti che quest’ultima mantiene una notevole superiorità tecnologica rispetto alla loro.
Vista la censura ferrea e l’estrema lentezza con cui circolano le notizie, è impossibile capire fino a che punto sia plausibile pensare che Xi, invece di ottenere il terzo mandato, perda il potere. Un fatto però è certo. Se un fatto simile dovesse verificarsi, si tratterà del classico “complotto” tipico di tutti i partiti comunisti del mondo, senza una partecipazione attiva dei cittadini.