La morte di Jiang Zemin (96 anni), segretario del Partito comunista cinese dal 1993 al 2003, avviene in un periodo difficile per Xi Jinping, appena reduce dal trionfo del XX Congresso che gli ha consentito di ottenere un inedito terzo mandato.
La morte di Jiang segue di poco l’episodio della cacciata dal congresso del suo successore Hu Jintao, segretario dal 2003 al 2013, anno in cui Xi ottenne il potere (a quei tempi non ancora assoluto).
Non sono, queste, vicende di poco conto. Nella Repubblica Popolare gli ex capi del Partito vengono rispettati e spesso si chiede il loro parere su questioni cruciali, anche se non fanno più parte del Politburo.
I precetti confuciani
È, in fondo, la messa in pratica dei precetti confuciani, banditi da Mao Zedong perché a suo avviso simboli di una filosofia reazionaria e retrograda, e poi riabilitati alla grande da Deng Xiaoping in avanti poiché ritenuti, invece, del tutto compatibili con il marxismo.
Tra tali precetti vanno menzionati: (1) l’enfasi posta sui legami familiari, (2) l’importanza attribuita all’armonia sociale e, per l’appunto, (3) il rispetto per gli anziani, portatori di un’esperienza indispensabile alle nuove generazioni. Ecco perché i vecchi leader continuavano a dispensare consigli anche dopo il loro pensionamento.
Distrutta la gestione collegiale
Xi Jinping ha distrutto questo quadro, basato in sostanza sulla gestione collegiale del Partito in cui il segretario era un “primus inter pares”. Xi intende tornare al modello maoista basato sul principio “un uomo solo al comando”, al quale spetta inoltre gestire il rapporto diretto con le masse.
Le riserve dei predecessori
Personaggi come Hu Jintao e Jiang Zemin, cresciuti all’ombra di Deng, non potevano condividere la visione “imperiale” di Xi e avevano più volte espresso riserve al riguardo, pur attenti a non infrangere la disciplina di Partito.
Jiang Zemin, in particolare, è considerato l’artefice principale della trasformazione della Cina in “fabbrica del mondo”. Aveva favorito in ogni modo la politica inaugurata da Deng allentando i controlli sul mondo economico e finanziario, e promuovendo le esportazioni che sono alla base della “globalizzazione cinese”.
Xi rafforzato
Ovviamente, per ragioni d’età, Jiang non era più in grado di infastidire Xi. Tuttavia la sua scomparsa, unita all’umiliazione di Hu Jintao, indebolisce ulteriormente i cosiddetti “riformisti”, ancora fedeli al modello di Deng, e rafforza il segretario appena rieletto, favorevole ad un nuovo statalismo e alla redistribuzione del reddito. E contrario, invece, agli imprenditori di successo che hanno dato un contributo fondamentale alla crescita del Pil cinese.
Significativo il fatto che l’attuale premier Li Keqiang, esponente dei riformisti, venga ora mandato in pensione per “limiti di età”. Si noti tuttavia che ha 67 anni, quindi tre meno di Xi. Eppure, per il “nuovo imperatore”, di limiti di età non si parla affatto.
Le proteste
L’attenzione degli analisti è ora concentrata sulle prossime mosse di Xi dopo i pesanti scontri tra manifestanti e polizia in molte città della Repubblica Popolare.
Per la prima volta sono stati scanditi in pubblico slogan contro lo stesso Xi e la politica del Covid-zero che ha sigillato nelle loro case milioni di cittadini. E, sempre per la prima volta, i manifestanti hanno chiesto il rispetto dei diritti civili e dello stato di diritto (finora era avvenuto solo a Hong Kong e, nel 1989, anche a Pechino causando la strage di Piazza Tienanmen).
Allentamento del Covid-zero tardivo?
Xi e i suoi stanno ora cercando di allentare le maglie del Covid-zero ma, considerata la grande rabbia popolare, c’è da dubitare che tale mossa sia sufficiente a riportare il Paese alla normalità. Già, perché i cinesi non ne possono più del dominio assoluto e asfissiante di un Partito comunista che detiene senza interruzioni tutte le leve del comando dal lontanissimo 1949.
Chissà se a Xi verrà in mente, ora, che anziani esperti come Hu Jintao e Jiang Zemin dovrebbero essere ascoltati sempre e comunque, anteponendo la loro opinione a quella degli Yes-men di cui ha riempito il nuovo Politburo.
Ci sono già segnali che l’allentamento delle restrizioni anti-Covid potrebbe anche essere troppo tardivo. La storia cinese dimostra che, quando le masse si muovono, è difficile fermarle. Detto questo, occorre però rammentare che una grave crisi politica e sociale nella Repubblica Popolare può avere ripercussioni sul piano globale, visto l’alto grado di interconnessione tra l’economia cinese e quelle occidentali.