Alcuni giorni fa, su Atlantico Quotidiano, il direttore Federico Punzi esponeva le ragioni per cui le prove di “distensione” tra Stati Uniti e Cina in scena al recente G20 in Indonesia rappresentano in realtà un vantaggio esclusivamente per Pechino, che sfrutterà il tempo a disposizione per perseguire il proprio piano di autonomia dal dollaro sui mercati finanziari, il rafforzamento ulteriore della sua potenza militare, la stabilizzazione dell’economia interna.
Puntare all’egemonia globale per Xi Jinping non è in discussione, dato che alla base del terzo mandato ottenuto al XX Congresso del Partito Comunista Cinese c’è proprio il sostegno incondizionato della classe dirigente alle sue ambizioni imperiali.
Tuttavia, c’è un aspetto chiave della partita geopolitica in corso tra Stati Uniti e Cina che stravolge quantomeno la tattica diplomatica, se non militare, delle due superpotenze nel breve termine: il fallimento della Russia in Ucraina.
Un freno al disimpegno Usa
Washington e Pechino non sono Paesi coinvolti nel conflitto, se non attraverso un appoggio politico e/o militare indiretto ad uno dei due contendenti. Eppure, la guerra di Vladimir Putin ha costretto i due Paesi a correggere i loro approccio: gli Stati Uniti hanno per il momento messo da parte il disimpegno, mettendo un freno alle spinte isolazioniste che negli ultimi anni avevano prevalso portando al drammatico ritiro dall’Afghanistan.
La “politica delle porte aperte” ribadita dalla Nato rilancia l’Alleanza e apre la strada ad una sua trasformazione da mero strumento di difesa militare ad alleanza politica e di valori, in cui potranno riconoscersi nazioni di ogni parte del mondo.
I fallimenti russi
Tuttavia, anche per Xi la fallimentare operazione russa porta a trarre delle conclusioni utili ricalibrare la sua strategia. Il regime di Mosca, da anni in declino dal punto di vista economico e sociale, aveva scommesso tutto sulla propria immagine di temibile armata militare.
Pertanto, la scelta di Vladimir Putin di lanciare una sfida diretta all’egemonia Usa sul territorio europeo era basata proprio sulla presunta forza militare di Mosca. Eppure, dal 24 febbraio ad oggi il Cremlino ha subito perdite umane e di attrezzature incalcolabili, ha ottenuto isolamento internazionale e dure sanzioni occidentali, che si aggiungono alla deludente performance sui campi di battaglia.
La lezione ucraina
Per Pechino una lezione da comprendere a fondo: sfidare gli Usa, per quanto in un momento storico di difficoltà e debolezza, attraverso la minaccia, l’aggressione diretta a Taiwan e in generale il “muro contro muro” può avere effetti insostenibili già nel breve termine, come dimostrano le difficoltà in cui versa la Federazione Russa, con il regime putiniano che rischia lo sfarinamento politico.
Possiamo intendere l’apertura di Xi Jinping alla distensione ed al (parziale) allontanamento dall’alleato russo come dettati anche dalla necessità di rimodulare la propria strategia, evitando azioni smisurate o troppo aggressive nell’immediato, che comporterebbero una risposta netta ed un isolamento politico ed economico da parte dell’Occidente.
Del resto, il tiranno cinese ha dato prova di saper sfruttare il fattore tempo ed attendere il giusto momento per compiere le sue mosse.
Nessuna illusione
Per l’Occidente sarà fondamentale sfruttare l’opportunità di un raffreddamento dei rapporti tra Cina e Russia per neutralizzare la minaccia di Mosca alla nostra sicurezza, senza però illudersi di aver placato l’istinto egemonico della Repubblica Popolare Cinese.
La sfida con Pechino ci impegna nel lungo periodo, avendo però consapevolezza della maggiore astuzia e capacità strategica di Xi rispetto allo scellerato Putin.