La visita a sorpresa di Volodymyr Zelensky negli Stati Uniti, dove ha incontrato il presidente Joe Biden e ha parlato al Congresso riunito in seduta plenaria, è storica sotto diversi aspetti.
Comandante in capo
Il primo è che è avvenuta poche ore dopo l’incontro con le truppe nel punto più critico del fronte bellico, la cittadina di Bakhmut che – stando alla propaganda di Mosca – è diventata territorio russo dopo le annessioni di fine settembre.
Presentandosi in prima linea con i resistenti, Zelensky ha invece dimostrato non solo che il controllo dell’area è ancora saldamente in mani ucraine ma soprattutto che, a differenza del suo omologo russo, è in grado di spostarsi senza problemi all’interno del Paese che rappresenta.
Mentre Putin rendeva omaggio all’alleato Lukashenko in un viaggio di Stato a Minsk e il suo entourage annunciava la cancellazione dei tradizionali discorsi di fine anno alla nazione, Zelensky incarnava ancora una volta alla perfezione il ruolo di comandante in capo che, fin dall’inizio delle ostilità, lo ha caratterizzato. Potenza delle immagini.
Washington e non l’Europa
Il secondo aspetto rilevante è che, per la sua prima visita ufficiale all’estero dallo scorso febbraio, il presidente ucraino ha scelto Washington e non una capitale europea. Il messaggio è chiaro: se l’Occidente si è schierato compatto con Kyiv, sono gli Stati Uniti ad aver sostenuto economicamente e militarmente l’onere maggiore nella difesa dell’Ucraina.
Il nuovo pacchetto di aiuti
Zelensky esprime così riconoscenza all’alleato Biden ma, allo stesso tempo, lo vincola formalmente a proseguire la sua assistenza al Paese invaso: la stretta di mano della Casa Bianca sancisce il nuovo pacchetto di sicurezza da 1,8 miliardi di dollari, la fornitura dei Patriots che serviranno a ridurre l’impatto degli attacchi missilistici russi e l’invio di munizioni di precisione per i jet ucraini.
Mentre Putin, in una sorta di allucinato wisfhul thinking, dichiara che la Nato ha già utilizzato quasi tutto il suo potenziale bellico nel supporto all’Ucraina, gli Stati Uniti rispondono con i fatti garantendo un rifornimento continuo alla nazione aggredita.
Continuo ma non incondizionato, se è vero che per il momento le richieste della delegazione ucraina relative agli ATACMS (missili di lunga gittata) sembrano destinate a rimanere insoddisfatte. Potenza delle armi difensive.
Patto anti-totalitario
Il terzo è il significato morale della visita, in un momento storico in cui l’Ucraina si sta accreditando sul campo come nazione essenziale per l’Europa e per l’alleanza occidentale. Proprio 81 anni fa Winston Churchill arrivava a Washington pochi giorni dopo l’attacco giapponese di Pearl Harbor, in un gesto destinato a cementare il patto tra le democrazie contro la minaccia del nazismo in Europa.
Ieri Zelensky si è presentato davanti al Congresso per riproporre in versione aggiornata quella promessa: di fronte all’attuale minaccia, per molti versi simile a quella della Wehrmacht, l’Occidente democratico a guida americana rinnova la sua alleanza con i nuovi membri che hanno effettuato una scelta di campo a fianco della democrazia, dello Stato di diritto e della resistenza all’oppressione.
La tempra inglese di fronte ai bombardamenti tedeschi nelle fasi iniziali della Seconda Guerra Mondiale trova oggi il suo corrispettivo nel coraggio e lo spirito di sacrificio degli ucraini sotto attacco russo. Potenza dei simboli.
Vestito in tenuta militare, Zelensky ha omaggiato il suo omologo americano con un’onorificenza riservata agli eroi di guerra. Poi, in conferenza stampa, Biden – che indossava a sua volta una cravatta con i colori nazionali ucraini – ha confermato la fornitura dei sistemi anti-missile Patriots e ha annunciato un nuovo stanziamento pari a 45 miliardi di dollari che dovrà essere approvato dal Congresso.
Pace giusta
“Siamo diventati veri alleati”, ha sottolineato Zelensky, ringraziando il sostegno bipartisan alla causa del suo Paese. Entrambi hanno parlato di “pace giusta”, nel rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina.
È un punto importante, perché ribadisce quali siano per Washington e Kyiv le premesse e gli obiettivi di un possibile negoziato: ottenere attraverso la trattativa, invece che con l’opzione militare, il ritiro dell’esercito russo dai territori occupati. Una posizione coerente con il piano in dieci punti già delineato a più riprese dall’amministrazione Zelensky, l’unica piattaforma sulla quale gli ucraini (e gli americani) ritengono possibile il dialogo con l’aggressore.
Non è carità
Ma il momento più atteso e più significativo della visita è stata l’ovazione che il Congresso ha tributato al presidente ucraino al suo ingresso in Campidoglio, ripetuta più volte nel corso del suo discorso. “L’Ucraina è viva e combatte”, questo il messaggio che Zelensky, ormai non più eroe per caso, ha fatto arrivare ai rappresentanti del popolo americano, a Vladimir Putin, all’Ucraina, a chiunque sia cosciente della posta in gioco.
Il sostegno statunitense “non è carità, state investendo in democrazia”, l’ennesimo contributo della più importante democrazia del pianeta alla causa della libertà e della sicurezza internazionale: “Questa battaglia definirà in quale mondo vivranno i nostri figli e nipoti, e poi i loro figli e nipoti”, ha sottolineato più volte, richiamandosi anche all’esperienza della guerra di indipendenza.
La bandiera
“È solo questione di tempo”, ha poi ammonito riferendosi alla Russia come Stato terrorista, “colpiranno altri vostri alleati se non li fermiamo subito”.
La bandiera con le firme dei combattenti di Bakhmut è stata infine consegnata a Nancy Pelosi e Kamala Harris, a suggello di una giornata che – anche scenograficamente – sancisce il trionfo di Zelensky e segnala che sarà molto difficile che la Russia possa vincere la guerra che ha scatenato.