Politica

2025 anno di referendum: scommessa della sinistra, ma può vincerla Meloni

Cittadinanza, autonomia differenziata, jobs act. Le opposizioni puntano al caos e alla spallata, ma il mancato quorum renderebbe intoccabili le leggi contestate

Schlein Meloni © farluk tramite Canva.com

Il 2025 sarà l’anno dei referendum, a meno che non si abbia la caduta del governo, cosa certamente auspicata dai proponenti dell’abrogazione della legge sulla autonomia differenziata; della riduzione a cinque anni di residenza continua in Italia per l’acquisizione della cittadinanza, dai dieci anni attualmente previsti; della revisione del Jobs Act, quanto alla disciplina del contratto a tutele crescenti, del contratto a termine, della indennità di licenziamento nelle piccole-medie imprese; nonché alla estensione della responsabilità solidale per infortuni sul lavoro negli appalti.

Il Pd contro le sue riforme

La prima osservazione da fare con un occhio all’ultimo quarto di secolo della vita repubblica, è che due delle riforme contestate, autonomia differenziata e Jobs Act, hanno avuto l’Ulivo e il centrosinistra, con quello che oggi è il Pd, come protagonisti assoluti, espressione di una linea autenticamente riformista, ispirata alla visione di una Repubblica delle autonomie e di una politica flessibile del lavoro.

Niente di male a cambiare idea, ma dietro l’attuale conversione referendaria a tutto campo del Pd, non c’è assolutamente una concezione unitaria, se non quella di una mobilitazione permanente contro il governo, sì da alimentare un senso di costante insicurezza nell’opinione pubblica circa la durata del governo, dando sempre l’impressione che all’alba del giorno dopo l’unione sacra dell’opposizione ascenderà a Palazzo Chigi.

La campagna anti-Meloni

La scelta non è priva di rischi, perché può succedere che Giorgia Meloni, destinataria di una campagna demolitoria ossessiva – tanto da poterle adattare una felice battuta di Berlusconi, che se la vedessero camminare sull’acqua, direbbero che non sa nuotare – confermi a pieno titolo la sua credibilità in sede europea, rinforzando proprio la stabilità del governo agli occhi della gente.

Oggetto di una pesante campagna denigratoria per aver isolato l’Italia nella elezione di Ursula Von der Leyen, ha portato a temine una operazione complessa, probabilmente concordata con la stessa presidente della Commissione, di votare contro per non perdere il collegamento col gruppo dei conservatori, così offrendo una sponda alla stessa presidente, per non essere troppo condizionata dal suo corpo elettorale in netto calo di consensi, socialisti, liberali, verdi.

Il che spiega la determinazione con cui la neoeletta presidente ha voluto che il nostro Raffaele Fitto venisse nominato vicepresidente esecutivo, uno smacco per l’opposizione, inutilmente affaticata nel ridimensionare il successo, fino al punto di riservarsi di far soffrire Fitto nell’esame in commissione.

Gli obiettivi dei referendari

Certo, la raccolta delle firme per via digitale l’ha facilitato enormemente, ma non va enfatizzata eccessivamente la misura raggiunta, perché trattasi pur sempre di una piccolissima percentuale del quorum di 50 più uno del corpo elettorale, ormai un traguardo ben difficile per le stesse elezioni europee e politiche; d’altronde non vale sommare il numero delle firme raggiunto nei vari referendum, perché c’è certo gente che ha aderito a tutti.

Ora, a prescindere dal passaggio in Corte costituzionale, che non appare troppo semplice per l’autonomia differenziata e per parte del Jobs Act, il primo obiettivo dei referendari potrebbe essere quello di spingere la maggioranza ad intervenire prima della loro espletazione, con leggi che vadano nello stesso senso. A carte coperte questo potrebbe essere il caso del referendum sulla cittadinanza, sfruttando l’apertura espressa in proposito da Forza Italia, sì da incrinare la stessa maggioranza.

Ma non sembra proprio che l’eventuale adozione dello Ius Scholae, sia tale da bloccare il referendum sul diritto di cittadinanza, riguardando il criterio per acquisirla proprio da parte di quelli che non possano o non vogliano avvalersi dello Ius Scholae. Dunque, mesi intensi di mobilitazione a tamburo battente, poi via al giudizio delle urne.

La scommessa quorum

E qui scatta la scommessa sul quorum. Mentre non è affatto scontato che ci sia, lo è che una volta raggiunto, i “sì” prevarranno nettamente, perché i contrari se ne staranno lontano dalle sezioni elettorali. È del tutto evidente che i proponenti si siano rappresentati la difficoltà di raggiungere il quorum, ma, ripeto, la campagna referendaria dovrebbe tenere ferma l’attenzione della gente, distogliendola dagli eventuali successi del governo, con un clima di turbolenza costante.

Poi, anche in assenza del raggiungimento del quorum, verrebbero magnificate le percentuali dei “sì”, cioè dei cittadini solerti a prendere posizione secondo i canoni di una società democratica.

C’è un “però” pesante come un macigno. Certo, se fosse raggiunto il quorum sarebbe un colpo grosso perché potrebbe mettere in crisi il governo – ma solo per quello sull’autonomia differenziata che è farina del suo sacco – anche se dubito che Giorgia Meloni ne prenderebbe atto in tal senso.

Ma se, come probabile, il quorum non si raggiungesse in nessuno dei referendum, o almeno nei due più importanti, autonomia differenziata e Jobs Act, sempre che la Corte costituzionale vi dia via libera, quelle leggi verranno consacrate come intoccabili, sterilizzando qualsiasi mobilitazione parlamentare per modificarle.