Politica

25 settembre, la liberazione dal regime Pd e il flop degli influencer

Cinque luoghi comuni sconfessati dal voto: rigettati il Pd con i suoi influencer, Draghi, Mattarella e quelli che non credono a niente ma si bevono tutto

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Se invece che al dito di Giorgia Meloni vogliamo guardare alla luna dei significati, queste elezioni ce ne offrono parecchi, anche in forma di sconfessione di ostinati luoghi comuni.

Un 25 aprile tardivo

Tanto per cominciare, gli italiani (naturalmente) non sono fascisti e non lo sono diventati in questo 25 settembre che, se mai, ha il sapore di un 25 aprile tardivo: la liberazione da un regime tutto piddino, di sinistra, sia pure con generose stampelle da Salvini che adesso si accorge di doverne pagare le conseguenze (che non saranno né lievi né brevi).

Semplicemente, gli italiani a maggioranza non hanno tanto votato per Giorgia, quanto contro un Pd di cui non si sopportava più la tracotanza, la spocchia, l’imbecillità. Cosa che il Politburo dovrebbe capire ma non la capirà, perché sono i soliti ottusi eternamente scolpiti da Giovannino Guareschi: molto più facile concludere che, se non sono stati scelti, la colpa è della plebe sudicia e ingrata, che non ha capito.

Invece, la plebe ha capito benissimo una cosa che sfugge ai trinariciuti di Parioli-Capalbio: l’approccio novecentesco, quel mandare allo sbaraglio i clientes, non solo non tira più ma è un boomerang. Guitti, istrioni, parassiti, cantanti da balera con un livello di cultura politica tendente allo zero, ma che si sentono tutti dei piccoli Giovanni Sartori.

Lasciate perdere, fate solo danni, rompete i coglioni, come Federico Rampini non si stanca di spiegare a proposito dell’America: “Le star Dem non spostano voti, anzi finiscono per indispettire dall’alto delle loro incoerenze, della loro ipocrisia”. 

Il flop degli influencer

Così siamo al secondo significato, che poi è un corollario del primo: le cosiddette imprenditrici digitali possono pure farsi i selfie col presidente influencer; ma se invitano a votare il suo partito, suo del presidente, i seguaci se ne fregano e, se mai, votano in direzione ostinata e contraria.

Per la semplicissima ragione che, esattamente come per i voti, anche i follower non si contano: si pesano. Quindi i Ferragnez della situazione evitino di tirarsela tanto: non li ascolta nessuno, non hanno alcun peso specifico, se fanno i politologi si coprono di ridicolo. Come è giusto.

La santificazione di Draghi e Mattarella

Terza questione: dove starebbe la corrispondenza d’amorosi sensi per Mario Draghi? Ad essere puniti sono stati massimamente i partiti della sua fantomatica agenda e, in definitiva, lo stesso supertecnico superfallimentare.

Uno che piace alle élite, e lo sapevamo, alle cancellerie, ai falansteri europei, ma non proprio a quelli rimasti a scontare un anno e mezzo di decisioni sciagurate e spesso brutali. Punire l’incredibile Pd degli Speranza, le Lamorgese, perfino, in definitiva, Di Maio, per punire Draghi: questo il senso, questo il messaggio.

Se ciò è vero, e lo è, ne consegue che a non godere della incondizionata stima popolare è anche il manico, colui che ha reso possibile un regime assurdo e a suo modo violento, lo ha blindato, lo ha procrastinato, ne ha differito il crollo trovando ogni pretesto per non votare, almeno fino a che Draghi, uccellato nelle ambizioni quirinalizie, non si è vendicato.

Il presidente Sergio Mattarella, esattamente come l’ex banchiere centrale, è molto amato dove sta il sistema, e magari al teatro alla Scala, ma tra i poveri cristi che tirano la carretta, e che adesso si apprestano a tirarla senza energie, in tutti i sensi, pare molto meno indispensabile (ci sarebbe anche un altro corollario, squisitamente politico: se un regime crolla, se viene così clamorosamente sconfessato dal popolo, logica e responsabilità istituzionale vorrebbero che anche chi lo ha avallato… Ma lasciamo perdere).

Non è vero neppure, e siamo al quarto significato, che gli italiani stravedano per l’Europa come è, che smanino per averne ancora di più: hanno premiato chi era diffidente, cauto, comunque inviso, palesemente, alle inette e corrotte burocrazie di Bruxelles, e hanno mandato a stendere gli ortodossi, le cinghie di trasmissione piddine fra potere nazionale e sovrapotere europeo. 

Il flop di casinisti e complottisti

Infine, l’ultima (ma non ultima) evidenza. Quanto a insofferenza, a sospetto per il “sistema”, c’è da distinguere: i cretini in giubbe rosse, i casinisti, i notutto, i visionari e i complottisti a oltranza hanno fatto molto rumore, ma, alla fine, non li ha ascoltati nessuno. Proprio nessuno.

Anche qui, la spiegazione non è difficile: lottare per la democrazia, per la scelta libera, contro lockdown e Green Pass, era (e resterà) sacrosanto: sed est modus in rebus; quando la protesta si salda al fanatismo per quel criminale seriale di Putin, finisce per soddisfare i soliti quattro gatti, ma niente di più.

Distinguere è importante come lo è non buttare il famoso bambino con l’acqua sporca: il cupio (e cupo) dissolvi dei lunatici, convinti che ci sia un disegno coerente che passa per un siero con dentro i coccodrilli, per la finta distruzione delle Torri Gemelle, per lo sbarco fantasma sulla luna, e arriva alla “liberazione” dell’Ucraina per mano zarista, incolpando la Nato, la Nasa, il generale Custer, il Britannia, ecco, quest’ammucchiata di cazzate monumentali, non di rado interessate, non fa presa.

I carrieristi alla Puzzer o Schilirò non incantano. Quelli che non credono a niente, ma si bevono tutto, che riempiono di tutto e il contrario di tutto la fantomatica bolla del “grande reset”, fanno ridere e basta.

La -exit affidata a Paragone

Quanto alla -exit, funziona se gestita da una forza conservatrice seria, se la Brexit la gestisce un Boris Johnson, sull’onda dell’antica insofferenza di Margaret Thatcher; ma se la Italexit la affidi ai Paragone, nessuno la segue.

Del resto, come fidarsi di un anti-sistema che nel sistema ci sta da vent’anni e che per non uscirne farebbe carte false, lui come i neofascisti (questi davvero) di Forza Nuova e i paleo-stalinisti alla Marco Rizzo: tutta gente che tanto ha a cuore libertà e democrazia qui, da vagheggiare (e vaneggiare) un regime sostitutivo improntato a quello cinese o russo.

La scienza politica è appunto una scienza, ha le sue leggi, le sue esigenze, le sue coerenze: questo il popolo, o, nella percezione piddina, la plebe, magari non lo sa, ma col voto appena espresso lo ha colto e lo ha colto nel modo più lucido. Altro che “voto di pancia”, cari compagni.

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