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Altro che crisi, il sorriso sornione di Draghi e una legislatura interminabile

Nella foto al Prado, Draghi è tutt’altro che triste, solitario y final. Sa bene che il governo non rischia. Anzi, i catenacciari della politica lavorano al bis

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La maggioranza di governo non esiste più. Forse, è frantumata già da un po’ ma le vicende degli ultimi giorni certificano il definitivo sfilacciamento della larga quanto precaria coalizione che sostiene l’Esecutivo.

Nessuno vuole rompere

La disintegrazione politica del partito di maggioranza relativa ne è il segno più tangibile. La compagine grillina è solo lontana parente di quella che ottenne quasi il 33 per cento delle preferenze nelle elezioni del 2018. Adesso, più dei sondaggi impietosi, sono state le recenti consultazioni amministrative a decretare il crepuscolo del partito del vaffa ormai imborghesito dalle poltrone ministeriali.

Perciò, il solo fatto che Luigi Di Maio abbia deciso di affrancarsi lasciando a Giuseppe Conte quel che resta dei Cinque Stelle sarebbe stato un buon motivo per chiudere la legislatura. Invece, qualsiasi alchimia è utile a tenerla in piedi, anche quelle difficilmente giustificabili o politicamente insostenibili.

D’altronde, proprio l’ex premier Conte mantiene le fibrillazioni a un livello di intensità gestibile in modo da ritagliarsi quel ruolo ibrido, un po’ di lotta e un po’ di governo, in vista delle politiche del prossimo anno.

In un contesto del genere, pure la storia del presunto messaggio inviato da Draghi a Grillo per chiedere la testa del suo predecessore diventa il classico specchietto delle allodole. Nessuno ha intenzione di rompere realmente, anche perché a nessuna delle forze di maggioranza conviene accelerare lo scioglimento delle Camere visti i grattacapi con cui sono alle prese i segretari dei diversi partiti.

Il “campo largo” si è ristretto

Per esempio, il “campo largo” di Enrico Letta si è rivelato un perimetro assai più stretto del previsto nel quale tenere dentro per necessità Conte e Di Maio, Calenda e Renzi, Speranza e Fratoianni, magari puntellando la già traballante coalizione con qualche cespuglietto centrista.

In queste condizioni, l’unico obiettivo concreto è un’altra Große Koalition per i prossimi cinque anni. Per giunta, non mancano le mine disseminate pure dal Pd nel già tormentato percorso dell’Esecutivo. Lo ius scholae e la legalizzazione della cannabis servono a distinguersi e a innervosire la Lega che, sopravanzata dalla Meloni, è sempre sul punto di smarcarsi ma poi prevale la più prudente linea governista.

Restando sul lato destro, nemmeno Forza Italia sembra tanto impaziente di andare al voto. Uno dei ministri di area berlusconiana, Renato Brunetta, vorrebbe prolungare l’esperienza Draghi anche dopo il 2023, magari con una legge elettorale che favorisca un sostanziale pareggio e riduca l’incidenza del voto.

Ecco perché, seppure sgangherata e scalpitante, la maggioranza sopravvive alla sua implosione e alle sue enormi contraddizioni.

Un’altra icona draghiana

Ed ecco anche la ragione per cui Mario Draghi non ha nulla da temere, è consapevole che quelle dei partiti sono armi spuntate, minacce deboli se non tatticismi in chiave pre-elettorale. “Lo sguardo stanco e sfuggente sul capolavoro di Velázquez, las Meninas”, a margine del vertice della Nato di cui ha scritto Monica Guerzoni sul Corriere della Sera sembra tanto un iperbole.

Lo stesso premier ha spiegato durante la conferenza stampa che si era allontanato dai colleghi, intenti ad ammirare le opere del museo Prado, solo per effettuare una telefonata evitando il frastuono della musica.

Eppure quell’immagine all’apparenza banale si è trasformata in un’altra icona draghiana, il simbolo dell’uomo valoroso ed esausto, dell’abile diplomatico che tiene alta la bandiera italiana in giro per il mondo mentre i ragazzi a Roma fanno casino.

In effetti, a guardarla bene quella foto, Draghi non appare affatto triste, solitario y final come lo si vuol dipingere. Anzi, il sorriso sornione è quello di chi sa il fatto suo.

Una legislatura interminabile

Pure far dipendere la tenuta del governo dall’appoggio dei Cinque Stelle non è un azzardo come appare. Beppe Grillo ha dettato la linea (“si resta nel governo”) e Conte si è dovuto adeguare seppure a malincuore. Il patto tra “l’Elevato e il Supremosigillano e suggellano questa legislatura interminabile.

Perciò, le cronache che parlano di un Draghi insofferente e deluso tendono a drammatizzare un po’ troppo la situazione e a creare solo una narrazione ricca di pathos in cui emerge ancor di più l’eccezionale tempra del nostro condottiero.

Così, il governo delle emergenze arriverà alla fine del suo percorso fino alla naturale scadenza delle Camere, nonostante lo stesso presidente del Consiglio aveva fatto capire che il suo ruolo era ormai esaurito poco prima di Natale, quando puntava al Quirinale.

Emergenza sanitaria in agguato

Poi, Mattarella è stato confermato, è arrivata la guerra in Ucraina con la crisi energetica e le ricadute sul piano economico, e le caselle sono ritornate tutte al loro posto. Peraltro, all’orizzonte già si preannuncia la campagna d’autunno del ministro Speranza per spingere nuovamente la gente negli hub con il rischio di un ritorno al passato e alle insopportabili restrizioni.

Con l’emergenza sanitaria che è sempre in agguato, il Pnrr da completare e la legge di bilancio da presentare subito dopo l’estate per mettere al sicuro i conti (per quanto possibile), il governo è blindato e non c’è Conte che possa disturbarne la navigazione verso l’approdo sicuro.

I catenacciari della politica

Anzi, Draghi si prepari perché c’è già chi lavora alacremente per una sua riconferma anche dopo le elezioni. Un Draghi bis, con o senza di lui. È la formula che non cambia: più spazio ai tecnici e sempre di meno alla volontà popolare.

Per giunta, con gli stringenti vincoli europei, la spesa pubblica aumentata a dismisura negli anni della pandemia, le incognite dell’instabilità internazionale, assumere la guida del Paese diventa operazione assai complicata.

Ciò agevola l’azione dei normalizzatori, quelli che vogliono trasformare l’eccezione nella regola. I catenacciari della politica che, pur di non perdere la poltrona, giocano per il pareggio. Non importa che la democrazia venga definitivamente commissariata.