Altro che “scienza”, ha vinto un teorema smentito dai fatti e perso il diritto

Non è compito della Consulta far vincere “la scienza”. Lo sarebbe, invece, non mortificare il diritto.

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Così ha vinto la scienza”, ha scritto Eugenia Tognotti sulla prima de La Stampa a proposito della assai discutibile sentenza della Corte Costituzionale sull’ammissibilità degli obblighi vaccinali e delle relative sanzioni decretati in epoca pandemica.

La Consulta non “valida” la scienza

Beh, ha vinto la “scienza” (quale? Quella ufficiale o televisiva?) non significa nulla giuridicamente parlando quando in ballo ci sono valori delicatissimi come le libertà e i diritti individuali sui quali si fondano gli Stati moderni di stampo liberale.

Peraltro, la Consulta è il giudice delle leggi di cui ne valuta la compatibilità con gli articoli della Costituzione, non un organo deputato a certificare la validità dei metodi scientifici che, peraltro, a rigor di logica, non sono così infallibili come sembra o come viene veicolato dall’informazione mainstream.

Ecco perché il ragionamento della Tognotti è irricevibile, oltre a essere sganciato dal complessivo quadro giuridico.

Lavoro diritto non negoziabile

La Costituzione italiana, infatti, riconosce al lavoro addirittura valore fondativo della Repubblica. Ergo, lo ritiene un principio e un diritto non negoziabile. Perciò, un obbligo di natura sanitaria non poteva certo prevedere una sanzione che andasse a ledere un altro diritto costituzionale, per di più – come detto – primario e fondante dell’ordinamento.

Avrebbe dovuto saperlo anche l’ex ministro della salute, Roberto Speranza, che, trionfante, ha consegnato la sua gioia alle colonne – per lui rassicuranti – di Repubblica.

La sentenza della Corte, che rispetto e che leggerò con grandissima attenzione, riconosce in fondo la razionalità delle scelte che son state fatte, ispirate sempre dal principio della difesa del diritto alla salute delle persone, seguendo l’evidenza scientifica.

Peccato che il diritto alla salute non sia l’unico contenuto all’interno della Costituzione. Anzi, prima dell’art. 32, non a caso ce ne sono altri trentuno che non si possono certo sospendere in nome dell’emergenza permanente.

La “scienza” smentita dai fatti

Così come si avrebbe facile gioco a scardinare il concetto ridondante di “evidenza scientifica”, sulla base della quale il precedente premier aveva affermato che il Green Pass rappresentava la “garanzia di ritrovarsi tra persone non contagiate e non contagiose”.

Un teorema smentito dai fatti perché è arcinoto che i vaccini anti-Covid non prevengono il contagio (non essendo neppure stato testato sulla trasmissibilità del virus come ammesso anche dal rappresentante della Pfizer durante l’audizione davanti al Parlamento europeo).

All’epoca in cui sono stati introdotti, e ancor più quando sono stati prorogati gli obblighi, si erano già verificati casi di infezione tra persone a cui era stato somministrato il farmaco anti-Covid. Così il richiamo al principio di solidarietà (che è stato il mantra – più etico che giuridico – dei difensori dell’obbligo) è evaporato di fronte alla realtà.

Ai fini della giustificazione degli obblighi, non è un argomento valido neppure il concetto riportato sul sito del Ministero della salute (datato 11 aprile 2022 e magari da aggiornare), nonché ribadito da tanti noti virologi, circa la protezione dei vaccinati dalla malattia severa e dalle ospedalizzazioni. Perché, se così fosse, mai si potrebbe imporre a un individuo un trattamento sanitario che attiene solo alla sua sfera decisionale visto che non porta i famigerati benefici alla collettività sui quali tanto si persevera.

La strada scelta solo dall’Italia

Speranza, dal canto suo, ha insistito sul “primato del diritto alla salute, anche su altri interessi (diritti e libertà, ndr) in campo” e che “la strada scelta dall’Italia è stata quella giusta”. Strada che, tuttavia, il resto del mondo occidentale ha deciso più saggiamente di non seguire.

Nessun altro Paese è arrivato a imporre sanzioni durissime, a privare del lavoro e dello stipendio (proprio in Italia dove si elargisce con una certa generosità il reddito di cittadinanza), in alcuni casi anche della dignità, per costringere le persone a recarsi negli hub.

Il 90 per cento di vaccinati sbandierato dall’ex ministro andrebbe confrontato con il sostanziale flop della quarta dose, somministrata solo al 15 per cento della popolazione. Insomma, senza certificato verde e costrizioni, la musica cambia anche perché la gente ha iniziato ad aprire gli occhi e la propaganda è meno efficace che in passato.

Altro che “game changer”. Il vero punto (negativo) di svolta è stato il perseguimento ostinato di una politica incredibilmente repressiva, inimmaginabile in uno Stato moderno e formalmente democratico, in cui il diritto alla salute è stato preponderante rispetto a tutti gli altri, compresi quelli astrattamente inviolabili.

Ha perso il diritto

Può darsi che abbia vinto la “scienza”, come sostiene la Tognotti, ma ha perso il diritto o comunque una concezione liberale delle norme. E, soprattutto, non solo si è ratificato ex post l’operato del precedente governo ma si è pure creato un pericoloso precedente secondo il quale un’eventuale futura emergenza può giustificare qualsiasi limitazione dei diritti e delle libertà.

Forse, nemmeno il più ottimista tra gli avversari di diktat sanitari poteva immaginare un epilogo diverso, ma resta una profonda inquietudine per come abbia trovato legittimazione l’opprimente stato di eccezione dell’ultimo biennio di cui non vi è alcuna traccia nella nostra Carta costituzionale.

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