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Atlante di geografia del potere per il governo di centrodestra che (forse) verrà

Alcuni criteri per la composizione della squadra, ma fare i nomi dei ministri prima del voto non è una buona idea: rischio di innescare litigi e bruciare i migliori

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La scelta dei ministri, specialmente in governi di coalizione, è uno dei rituali più complessi in assoluto, un esercizio a metà tra matematica pura e alchimia: non casualmente, i democristiani, da geniali reggitori del potere quali erano, escogitarono il mitologico Manuale Cencelli, autentico libro sacro della spartizione dei posti di potere.

Le incognite, nella suddivisione dei posti di ministro, viceministro e sottosegretari, sono sempre molte e delicate: un ministero con portafoglio vale di più, appare ovvio, di un mero dipartimento trasformato in ministero privo di portafoglio, e soprattutto alcuni ministeri, come Economia, Affari Esteri, Sviluppo Economico, Interno, da sempre valgono più di altri.

Il prossimo governo avrà quindi, da subito, vita difficilissima, sin nella compilazione dell’album delle figurine della squadra di governo: da un lato una coalizione composta da una crescente mole di partiti e movimenti, spesso divisi su tutto fuorché sulla idea di sbarrare il passo alla destra, e dall’altro lato una coalizione in cui le antipatie tra leader e le rivendicazioni non mancano.

I nomi dei ministri prima del voto

Proprio in questa ultima prospettiva, l’uscita di Matteo Salvini sulla necessità che i cittadini sappiano prima del voto da chi sarebbe composta la squadra di governo, ha suscitato più di una perplessità: irrituale, di certo, potenzialmente divisiva, più che altro essa è sembrata una strategia per andare a vedere, diciamolo in gergo pokeristico, le carte di Giorgia Meloni.

Meloni che, dal canto suo, non sembra essersi sottratta all’input salviniano, forse anche desiderosa di rassicurare la platea internazionale: in pochi giorni, sono state moltissime le indiscrezioni filtrate a mezzo stampa e diversi nomi sono stati snocciolati. Panetta al Ministero dell’economia e delle finanze, Terzi di Sant’Agata agli Esteri, Descalzi allo Sviluppo economico, e via dicendo.

Una squadra importante, istituzionalmente possente e di sicuro standing internazionale, capace di tranquillizzare organismi sovranazionali e mercati. C’è un però, e non propriamente secondario.

Agli alleati le briciole

Quei nomi, proposti dalla Meloni, per quanto tecnici e di elevatissimo spessore, sono percepiti politicamente come in quota Fratelli d’Italia: immaginare quindi che FdI possa vantare al tempo stesso Presidenza del Consiglio, Economia e Finanze, Sviluppo economico e Affari esteri, senza contare qualche altra suggestione emersa che potrebbe chiamare in causa anche il Ministero della difesa, significa disegnare un quadro in cui agli alleati di governo verrebbero lasciate letteralmente le briciole.

Poter rivendicare questo ensemble di potere significa presentarsi al tavolo come partito dal vantaggio quantitativo-elettorale notevolissimo nei confronti degli alleati, e questo è tutto da vedersi: perché, per quanto non ci siano dubbi sul fatto che FdI sarà il primo partito della coalizione di centrodestra, andrà misurata esattamente la ‘larghezza’ di questo vantaggio, al fine di soppesare cencellianamente le quote di potere da assegnare.

I “vincoli esterni” su Chigi e Mef

Vero che il Ministero dello sviluppo economico è significativamente mutilo di una delle sue storicamente più importanti e prestigiose funzioni, quella energetica, traslata in seno al Ministero della transizione ecologica, ma si tratta pur sempre, e specialmente in tempi di crisi industriale ed economica, di un gigante consolidato per i cui uffici transitano gli assetti del potere produttivo italiano.

Su Presidenza del Consiglio e su MEF gravano, come macigni, i vincoli esterni, e amministrativamente interni, del Pnrr: sotto il primo punto di vista, va ricordato come il combinato Commissione europea-Quirinale senza dubbio alcuno eserciterà uno scrutinio di aderenza del ministro proposto ai canoni di responsabilità istituzionale implicati dagli obiettivi Pnrr.

Se già nel 2018, il Quirinale espresse i suoi dubbi sull’allora proposto ministro dell’economia e delle finanze, in un anno che ancora non conosceva guerra, pandemia, crisi economica né Pnrr, figuriamoci ora.

Per questo, le figure che siederanno a Palazzo Chigi e a Via XX Settembre dovranno essere di altissimo profilo istituzionale, accettate in sede euro-unitaria e dalle istituzioni finanziarie globali; ogni partito, nonostante cercherà di porre la sua bandierina identitaria, dovrà saper tirare fuori dal cilindro un nome davvero spendibile.

Cosa che, sia detto per inciso, sembra indicare un vantaggio di posizione della Meloni, che si è mossa molto meglio di Salvini e ha senza dubbio alcuno a disposizione nomi molto più spendibili rispetto quelli che la Lega potrebbe mettere in campo.

I “vincoli interni”

Per quanto concerne invece i vincoli amministrativi interni, si dovrebbe ricordare che il complessivo sistema di governance del Pnrr, istituito con il decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, successivamente convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, ha inserito in seno alla Presidenza del Consiglio organi come la Cabina di Regia e la segreteria tecnica, da cui discendono poi in maniera polisinodica altri uffici incardinati sia presso la Presidenza che presso il MEF, ove si situa la rendicontazione e il monitoraggio.

Ciò significa, molto semplicemente, che una nuova compagine di governo dovrà misurarsi con questo potere tecno-politico, la cui scadenza prevista è quella del 31 dicembre 2026, a scadenza cioè del Pnrr e dei suoi obiettivi.

Per fare questo sarà necessario un monitoraggio, politico, del monitoraggio tecnico, modellando oltre alle figure politiche anche dei tecnici di propria, reale, fiducia. E anche qui si dovrà giocare una delicata partita tra le distinte anime politiche del governo.

I ministeri “leghisti”

La Lega, per la sua vocazione federalista e tralasciando la spinosa questione del Ministero dell’interno a cui Salvini ambisce in maniera chiarissima vista anche la sua campagna elettorale quasi tutta giocata su sicurezza e immigrazione, dovrebbe poter esprimere tutti quei ministeri direttamente intrecciati al sistema delle autonomie e le cui funzioni si riverberano in maniera diretta su Regioni e Comuni.

Ministero della coesione, e no, non ho dimenticato ‘Sud’, ma semplicemente il Ministero potrebbe divenire un Ministero per il federalismo tout court e farsi parte diligente nel riconoscimento dell’autonomia differenziata; quello del Turismo, che peraltro non esisteva prima del 2021 (quello esistente fino al 1993, fino cioè al referendum che lo espunse dall’orizzonte del nostro ordinamento, era cosa del tutto diversa) ed è stato faticosamente e brillantemente modellato dal leghista Garavaglia che quindi lo padroneggia e conosce, senza dubbio quello dello Sviluppo economico, anche per quella sua funzione storica di ‘sindacato dei ceti produttivi e dei territori’ esplicata dalla Lega e la Salute, funzione da sempre importantissima, con non banali ripercussioni di matrice regionale e che soprattutto, in chiave simbolica, sarebbe nettissimo segno di discontinuità rispetto alla gestione Speranza.

Non è mia intenzione indicare ogni singolo ministero, ma è chiaro che Istruzione, Università e Ricerca, Giustizia, Lavoro, la prima citata Transizione ecologica, costituiscono altre funzioni di assoluto rilievo, su cui Forza Italia e area centrista potrebbero dire la loro per pescarne due o tre.

Fare la quadra

I restanti verrebbero divisi tra FdI e Lega, soppesandone la importanza alla luce degli altri ministeri già assegnati e cercando di tirare le somme e di fare la quadra, facendo davvero combaciare il peso elettorale e politico al potere istituzionale-governativo.

Ciò che davvero importa è che la divisione del potere non disarticoli ora la coalizione, divenendo fattore di polemica politica, e soprattutto, a urne chiuse, laddove si dovesse aver vinto, la suddivisione venga curata in maniera razionale, ragionevole, ponderata e tenendo soprattutto conto dei fattori interni ed esterni che abbiamo sopra delineato.

Per questo, non si dovrebbe discutere pubblicamente ora di nomi in maniera eccessiva o reiterata, visto che così si rischia semplicemente di innescare litigi e di bruciare nomi di prestigio. Si lavori a testa bassa, ma in silenzio e sui tavoli a ciò preposti, non a mezzo di agenzie di stampa.