Primo via libera del Parlamento europeo alla direttiva sull’efficientamento energetico degli edifici, cosiddetta “case green”. Il processo è ancora lungo, ma come si è visto con il bando delle auto a benzina e diesel, la cui ratifica del Coreper è stata rinviata in zona Cesarini, occorre muoversi per tempo se si vuole evitare che vada a segno il secondo – e ben più pericoloso – attacco alla proprietà sferrato dai comunisti green.
Il piano sembra quello di rendere casa e auto beni non più alla portata di tutti, ma di una ristretta minoranza, così che siano “sostenibili” per il pianeta.
La versione approvata è quella ancora più stringente uscita dalla Commissione all’inizio di febbraio: gli edifici residenziali dovranno raggiungere le classi energetiche E e D (non più F ed E) rispettivamente entro il 2030 e il 2033. Praticamente domani.
Il voto dei partiti
Come hanno votato i partiti italiani? Come previsto: le forze che sostengono il governo Meloni – Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia – hanno votato contro; Pd, 5 Stelle, sinistra e verdi a favore, il Terzo polo si è astenuto, nonostante il gruppo di cui fa parte all’Europarlamento, il macroniano Renew Europe, abbia in maggioranza sostenuto il testo.
Spaccato in tre tronconi il PPE (51 a favore, 58 contro, tra cui il capogruppo Weber, evidentemente incapace di guidare i suoi in un voto così strategico). Un dramma vero questo gruppo, in teoria di centrodestra, ma sempre più risucchiato verso l’agenda progressista e principale responsabile della mancanza di alternanza alla guida delle istituzioni Ue.
La palla ai governi
Dunque, ora il testo sarà oggetto di un negoziato tra Consiglio e Commissione europea e tornerà poi al Parlamento per l’approvazione finale, che dovrà essere ratificata dal Coreper. In pratica, ora la palla passa ai governi nazionali.
Il governo italiano è vincolato da una risoluzione parlamentare approvata di recente che lo impegna a “scongiurare” l’introduzione della direttiva.
Ci auguriamo quindi che questa volta il governo Meloni stia più attento ed eviti autogol come quello dello scorso ottobre, lo scriteriato beneplacito al compromesso sulla direttiva arrivato dal nostro ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin.
Effetti e costi
Gli effetti di una introduzione della direttiva sarebbero immediati e devastanti, come già segnalato da Confedilizia. A cominciare dal deprezzamento del valore degli immobili, passando per l’indebitamento di famiglie e imprese, la riduzione dei consumi, i rischi per il sistema bancario, per finire con l’esplosione dei prezzi dell’edilizia e una ulteriore spinta inflattiva.
In Italia, secondo dati Istat e Ance, nel 2021 il 34 per cento degli immobili era in classe G, il 24 in classe F e il 16 per cento in classe E. Circa il 75 per cento degli immobili residenziali, dunque, pari a oltre 9 milioni, dovrebbe salire in classe energetica D entro il 2033. Secondo alcune stime, la spesa necessaria in Italia si aggirerebbe intorno ai 1.500 miliardi di euro.
Secondo le stime, con un costo medio che si aggirerebbe tra i 50 mila euro per appartamento in condominio ai 100 mila per una villetta unifamiliare. Stime che potrebbero rivelarsi persino ottimistiche, non tenendo conto dell’esplosione dei prezzi.
Chi paga?
Chi paga? Quando questa basilare domanda viene posta ai sostenitori della direttiva, questi rispondono con nonchalance che certo, ci vorrà una qualche forma di aiuto pubblico alle famiglie. Ma a parte l’irresponsabilità di introdurre un obbligo senza sapere come in concreto i cittadini cui viene imposto potranno adempiervi, il problema che gli statalisti trascurano è che non esistono pasti gratis.
Puoi regalare soldi, illuderli che l’efficientamento energetico si possa fare graduidamente, come direbbe Conte, puoi “drogare” il settore e persino tutta l’economia, ma alla fine il conto arriva.
La lezione del Superbonus
E l’Italia vanta già una discreta esperienza. A dimostrare quanto sia folle la direttiva case green è l’ormai comprovato paradosso del Superbonus. Un incentivo che ha funzionato talmente bene, grazie essenzialmente al meccanismo della cessione del credito, da risultare insostenibile per i suoi effetti sulle finanze pubbliche ma anche per la spinta inflattiva che ha determinato, una spirale che rischiava di diventare incontrollabile.
Se 360 mila interventi di efficientamento energetico in due anni hanno aperto una tale voragine nei conti pubblici e fatto schizzare i prezzi alle stelle, immaginate cosa può voler dire finanziare lo stesso numero di interventi ma in un solo anno, quindi il doppio, per portare in soli dieci anni, entro il 2033, 3,7 milioni di immobili in classe D. E si badi bene: 3,7 milioni è la stima più cauta, secondo alcune sarebbero 9 milioni di abitazioni.
Preveniamo l’obiezione: si può escogitare un altro tipo di meccanismo che non preveda la cessione del credito. Certo, si può. Ma come dimostra la nostra lunga esperienza di incentivi nell’edilizia, la detrazione da sola non basta, perché proprio coloro i quali non hanno un capitale sufficiente da anticipare, o un reddito tale da poter usufruire di corpose detrazioni, sono guarda caso gli stessi che vivono nelle case più energivore.
Un approccio rinunciatario
Come abbiamo più volte ripetuto su Atlantico Quotidiano, il governo Meloni dovrebbe portare il nostro Paese fuori da questi piani folli, non limitarsi a negoziare – ammesso che ci riesca – ritocchi cosmetici, rinvii e deroghe.
È purtroppo la linea che sta seguendo sulla messa al bando delle auto a benzina e diesel. Il governo italiano ha indubbiamente colto un primo importante successo con il rinvio della ratifica da parte del Coreper. Ma una vittoria piena arriverebbe solo con il definitivo affossamento dell’assurdo divieto, il che ci sembra improbabile a giudicare da come è stata impostata la questione, ovvero sui biocarburanti e i sussidi.
Non c’è il coraggio di ingaggiare una battaglia in campo aperto, di principio: (1) mettendo in discussione la bufala del catastrofismo climatico; (2) dicendo no ai pianificatori, che mai nella storia dell’umanità ne hanno azzeccata una.
Si cerca di salvare il salvabile, in una logica di riduzione del danno, con il pretesto della neutralità tecnologica. Ma il principio di neutralità tecnologica sarà morto e sepolto anche qualora fosse introdotta una deroga per i motori endotermici a biofuel, dato che far fuori benzina e diesel è comunque una decisione a tavolino basata su un credo religioso.
Se nel breve termine può essere efficace mettere insieme una minoranza di blocco sui biocarburanti, nel medio-lungo la battaglia culturale è persa, se non viene nemmeno combattuta. E lo stesso approccio, rinunciatario e perdente, rischia di ripetersi sulla direttiva casa green.