Autonomia differenziata: perché non ammissibile un referendum abrogativo

Non è una riforma della Costituzione ma una sua attuazione. La giurisprudenza della Corte sulle leggi costituzionalmente necessarie e/o obbligatorie parla chiaro

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Come noto, è stata approvata mercoledì scorso in via definitiva dalla Camera dei Deputati la legge sull’autonomia differenziata, fortemente voluta dalla Lega. La riforma costituisce, infatti, insieme al premierato a alla separazione delle carriere, il ventaglio di riforme dell’attuale governo che complessivamente ha il fine di riconfigurare l’edificio istituzionale.

La singolarità dell’autonomia differenziata rispetto alle altre riforme consiste però nel fatto che essa è una attuazione di una disposizione costituzionale già vigente, cioè l’art. 116, 3 comma, della Costituzione. Quindi non è una revisione del testo costituzionale – sebbene spesso venga fatta della confusione strumentale lasciando intendere che di questo si tratti – ma una sua attuazione che, però, ha evidentemente un contenuto sostanziale riformatore, nel senso che muta i caratteri concreti del regionalismo italiano.

Non sorprende ovviamente che l’opposizione alla riforma sia dura e in molti hanno già lanciato l’idea di raccogliere le firme per un referendum abrogativo, posto che si tratta formalmente di una legge ordinaria.

Problema di ammissibilità

A parte le valutazioni sull’uso (e sull’abuso dello strumento referendario) e dunque sulla sua minore efficacia sistematica per la difficoltà di raggiungere il quorum previsto per la sua validità, va evidenziato nello specifico che un eventuale referendum abrogativo ex art. 75 Cost. suscita non poche perplessità in termini di una sua ammissibilità.

La giurisprudenza costituzionale, infatti, a partire già dalla famosa pronuncia n. 16/1978, ha enucleato una serie di limiti impliciti all’uso dello strumento referendario. In particolare, la Corte ha inteso escludere l’ammissibilità di referendum abrogativo di leggi ordinarie c.d. costituzionalmente necessarie e/o obbligatorie. Si tratta di distinte categorie concettuali di elaborazione giurisprudenziale, il cui discrimine talvolta può essere incerto.

Entrambe le categorie però sono escluse dall’intervento referendario perché necessarie/obbligatorie per il funzionamento di organi di rilevanza costituzionale, come certamente sono le Regioni, soprattutto nella ipotesi in cui esse diano espressa attuazione alla Costituzione, come di nuovo in questo caso.

Queste leggi sono quindi modificabili da altre leggi ma non possono essere abrogate da referendum perché così si determinerebbe necessariamente un vuoto normativo che ostacolerebbe il regolare funzionamento degli organi di rilevanza costituzionale coinvolti. Si pensi, nel caso dell’autonomia differenziata, alle possibili conseguenze dell’abrogazione referendaria: sarebbe impedita di diritto la possibilità per qualsiasi regione di accedere alle ulteriori forme di autonomia di cui al terzo comma dell’art. 116 Cost (a cui appunto la riforma da attuazione)

In definita, la sua riconducibilità certa alla categoria delle leggi costituzionalmente obbligatorie e/o necessarie fa ritenere che un eventuale referendum abrogativo non dovrebbe ritenersi ammissibile alla luce della consolidata giurisprudenza costituzionale.

Certo, è anche vero che la Corte non è nuova a clamorosi ribaltamenti giurisprudenziali ed è più che sensibile ai richiami di una certa parte politica solita gridare all’attentato alla Costituzione e all’allarme fascismo. Vedremo se terrà fede alla sua giurisprudenza, costante in materia, o se vorrà farsi influenzare da valutazioni di natura politica e dai molti (troppi) costituzionalisti che hanno assunto posizioni “resistenziali”.

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