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Bollettino del Dis, che pasticcio: Servizi usati per un report di natura politica

Nessuno ne esce bene, né il Corriere né i Servizi. Il terreno scivolosissimo della lotta alla disinformazione in mano ai governi

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Diciamo subito che va apprezzata la decisione dell’Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, Franco Gabrielli, di declassificare e divulgare il famigerato bollettino dei servizi “sulla disinformazione nel conflitto russo-ucraino“, tra le fonti dell’articolo del Corriere della Sera che ha suscitato un vespaio di polemiche nei giorni scorsi. Senz’altro un contributo di chiarezza.

Le parole di Gabrielli

Gabrielli ha ribadito con forza che “non ha nulla a che vedere con l’attività dell’intelligence, di penetrazione informativa, nulla che possa essere identificato con la schedatura o il dossieraggio di persone”, e ha respinto ogni “infamante sospetto sull’attività dell’Intelligence nazionale o su fantomatici indirizzi governativi volti a limitare il diritto di informazione”.

“Non ci sono giornalisti né politici” tra le persone monitorate, ha chiarito, esprimendo “particolare fastidio” che il Corriere “insinuasse il sospetto che un parlamentare, Vito Petrocelli, fosse oggetto di monitoraggio”.

Tuttavia, se il documento desecretato dà risposta ad alcune domande e chiude un caso, ne solleva altre e apre un caso forse ancora più grande.

La lista del Corriere

Chiude il caso della cosiddetta “lista di proscrizione”, i “putiniani d’Italia” citati nell’articolo a firma Sarzanini-Guerzoni pubblicato dal Corriere della Sera lo scorso 5 giugno. Una operazione discutibile sotto più punti di vista.

Non è corretto con i lettori perché lascia intendere che l’intero articolo sia basato sul materiale raccolto dai servizi di intelligence. Invece, confrontando i testi, solo nella prima parte vengono riportati alcuni passaggi del bollettino, quelli su Giorgio Bianchi e Alberto Fazolo.

Nel bollettino del Dis non vengono citati Manlio Dinucci, Alessandro Orsini e il senatore Vito Petrocelli, ex presidente della Commissione Affari esteri. Né vengono citati i “parlamentari, manager e lobbisti” a cui si fa riferimento nell’articolo.

La lista dei “putiniani d’Italia” presentata dal Corriere, corredata di foto, è quasi interamente opera delle due giornaliste: dei 9 nomi inclusi, solo 2 (Bianchi e Fazolo) vengono citati anche nel rapporto dei servizi. Il rapporto viene quindi utilizzato per dare la “copertura” di una fonte istituzionale ad una ricostruzione che, in mancanza di altri fonti, è invece da attribuire alle due giornaliste.

Inoltre, l’articolo genera una certa confusione tra il rapporto e l’indagine avviata dal Copasir, che non raccoglie informazioni direttamente – da qui la smentita del presidente Urso. E allude alla “rete” dei filo-Putin come ad un unico soggetto organizzato in grado persino di “boicottare” le decisioni del governo, cosa che assolutamente non emerge dal bollettino desecretato.

Dunque, non un’operazione limpidissima, che tra l’altro si è rivelata un boomerang, attribuendo alle persone citate una rilevanza che probabilmente non hanno e permettendo ai cosiddetti “putiniani” di giocare la carta del vittimismo, pur essendo invitati e coccolati in molte trasmissioni.

Altre domande

Ma come dicevamo, la divulgazione del bollettino solleva altre domande.

Non siamo così ingenui da ritenere che i servizi non debbano interessarsi di informazione e disinformazione nel momento in cui sia in gioco la sicurezza della Repubblica. Se ci sono interferenze estere, se emergono rapporti organici di cittadini italiani con potenze ostili, di tutto ciò i servizi devono certamente occuparsi.

Ma come è definibile il rapporto sulla disinformazione che abbiamo potuto leggere ieri pomeriggio, se non come una lunga rassegna di ciò che gira online e viene trasmesso in tv (che qualunque attento osservatore avrebbe potuto raccogliere)? Un minestrone in cui si trova un po’ di tutto: la propaganda ufficiale russa, notizie false o commentate in modo tendenzioso, narrazioni, complottismi, ma anche semplici opinioni e critiche, al governo e alla Nato, e financo simpatie per la Russia.

Il rapporto tuttavia non indica gruppi o singoli cittadini italiani come agenti russi, né stabilisce alcun rapporto tra i cittadini e i gruppi citati e il governo russo, se non una certa corrispondenza di letture e narrazioni degli eventi. Non basta la “viralizzazione” dell’intervista televisiva di Lavrov (già viralizzata da Mediaset, tra l’altro) per dimostrarlo.

Viene da chiedersi innanzitutto perché un documento del genere debba essere classificato, essendo come ha spiegato Gabrielli una “collazione” basata su “fonti aperte” e non contenendo “alcun elemento proveniente da attività di intelligence”, non essendo esposte quindi risorse dei servizi.

E viene da chiedersi come mai, se lo scopo è il monitoraggio della disinformazione, il rapporto non includa anche la carta stampata. La disinformazione filo-russa è senz’altro un fenomeno rilevante e preoccupante, esistono indubbiamente canali strutturati, ma le fake news non circolano solo online.

Notizie false e narrazioni tendenziose vengono veicolate anche attraverso i giornali e non solo a favore della Russia. Per esempio, anche per difendere il governo Draghi dalle critiche al suo operato.

Lo scopo del bollettino

Questa considerazione ci fa arrivare al nocciolo della questione, ovvero quale sia lo scopo di questo bollettino, per quali usi sia stato concepito.

Innanzitutto, Gabrielli spiega che il bollettino “compendia l’attività di uno specifico tavolo creato nel 2019, coordinato dal Dis”, ma al quale partecipano, oltre ad Aise ed Aisi, Palazzo Chigi (Ufficio del consigliere militare e Dipartimento editoria), Farnesina, Interni e Difesa, Mise, Agenzia per la cybersicurezza e Agcom.

Alla luce dei contenuti e dei soggetti istituzionali coinvolti, e delle smentite del sottosegretario, possiamo escludere un suo utilizzo al fine di adottare misure di censura e/o di indagine di controintelligence nei confronti dei soggetti citati. Non c’è, come ha ribadito Gabrielli, un uso di tecniche investigative per indagare sulle opinioni e sui soggetti che le esprimono, né l’intenzione di “limitare il diritto di informazione”.

Diremmo quindi che gli usi che il governo – e in particolare Palazzo Chigi e Ministero degli Affari esteri – potrebbe fare di questi bollettini sono sostanzialmente due. Potrebbe usarlo come base conoscitiva per 1) meglio calibrare la sua comunicazione politica in risposta alle critiche al suo operato che circolano nell’opinione pubblica; 2) meglio contrastare la disinformazione e le narrazioni biased (ma solo quella filo-russa e anti-governativa, non essendo riportata quella di segno opposto, che pure esiste).

In pratica, il bollettino risponde a poche semplici domande: chi sono e quali messaggi veicolano in rete i critici del governo Draghi e delle posizioni atlantiste sulla guerra in Ucraina.

Un’attività conoscitiva di natura politica

Ma questa, pur essendo legittima, è di tutta evidenza un’attività conoscitiva di natura politica. Si tratta di conoscere meglio i propri oppositori e i loro argomenti. Il fatto che “le critiche all’operato del presidente Draghi” sui social, fondate o meno che fossero su notizie false, vengano inserite in un bollettino del Dis ci appare inappropriato.

Tra di esse, tra l’altro, vengono citate le critiche al governo Draghi per “aver colpito il popolo italiano con misure sanitarie inutili”. Il che, diciamo, è molto vicino alla realtà, altro che disinformazione… Si parla genericamente di “continuità con la disinformazione sulla pandemia da Covid-19, nonché con il filone delle teorie cospirative”.

E qui sarebbe interessante approfondire. È ancora considerato “disinformazione” sostenere che i vaccini non impediscono la trasmissione del virus? Fa ancora parte delle “teorie cospirative” sostenere che il virus sia uscito da un laboratorio cinese?

Vengono citati no-vax e no-pass come se di per sé essere contrari all’obbligo vaccinale e al Green Pass sia sinonimo di disinformazione e complottismo anti-sistema.

Certo, non farà piacere al presidente Draghi venire “descritto come allineato alle decisioni americane e disinteressato delle sorti del suo popolo”, ma appunto siamo nell’ordine della critica politica, più o meno condivisibile. Appare almeno verosimile, per fare un altro esempio, che lo stop al petrolio e al gas russi determinerebbe una “pesante penalizzazione del sistema industriale del Paese”, considerazione che nel rapporto viene catalogata tra le “narrative”.

Vengono citate “narrative che tendono a porre in antitesi le figure del ministro degli esteri Di Maio e di Lavrov, elogiando le elevate qualità diplomatiche di quest’ultimo”. Ci pare fuori discussione che le qualità di Lavrov come ministro degli esteri siano superiori, se non altro a suggerirlo al momento sono le diverse carriere dei due, ma la domanda è: farlo notare è disinformazione filo-russa o semplice opposizione al governo in carica.

Proprio passaggi come questi, che come fil rouge hanno le critiche all’operato di Draghi e dei ministri, indicano inequivocabilmente la natura politica del bollettino, che dunque non dovrebbe essere redatto dai servizi, ma al limite dai collaboratori del premier e dei ministri (meglio ancora se funzionari di partito e non governativi).

Il mandato dei Servizi

Cittadini che si organizzano per diffondere le loro opinioni, basate o meno su fake news e teorie strampalate, ad un pubblico più ampio possibile, utilizzando diversi canali, non costituiscono una minaccia per la sicurezza della Repubblica, a meno che non si tratti di un’attività di propaganda propedeutica al compimento di atti eversivi o di agenti consapevoli di uno Stato estero ostile, nei quali casi i servizi devono occuparsene con attività di controintelligence, non con una semplice rassegna commentata. Ma non pare essere questo il caso, avendo sottolineato lo stesso Gabrielli che “nulla a che vedere con l’attività dell’intelligence”.

Nel mandato dei servizi segreti non rientra aiutare il governo a monitorare le opinioni degli oppositori, né eventuali fake news, per meglio calibrare la sua comunicazione politica. Il problema è di natura politica e interessa unicamente il premier, i ministri e i loro staff politici.

Intervenuta ieri sera a 8 e mezzo, non contenta del regalo fatto ai “putiniani” e della scena muta nel confronto con Giorgio Bianchi su Byoblu, Fiorenza Sarzanini ha candidamente sostenuto che “se c’è una scelta del governo, i servizi segreti devono tenere sotto controllo la situazione se questa propaganda va a incidere su scelte di governo”. Il che è chiaramente un mandato politico che esula dalle funzioni proprie dei servizi.

Il terreno scivoloso della lotta alle fake news

Abbiamo qui la dimostrazione di quanto sia scivolosissimo il terreno del monitoraggio e del contrasto della disinformazione – le cosiddette fake news – su cui si sono incamminate le istituzioni a diversi livelli, non ultimo come abbiamo visto quello dei servizi segreti.

Dove finisce il diritto di critica e d’opinione, il sacro free speech, e inizia la pura e semplice disinformazione interessata, o addirittura una vera e propria macchina della propaganda di uno Stato estero ostile, è un confine molto labile. Una materia da maneggiare con estrema cura che probabilmente sarebbe meglio lasciare al libero confronto delle idee e al pluralismo dei media.

“L’unico antidoto alla propaganda e alla disinformazione è una libera informazione“, ha ricordato lo stesso Gabrielli.