Cara Marina Berlusconi,
leggendo l’indiscrezione riportata da Il Foglio secondo cui lei sarebbe infastidita dai paragoni fra suo padre Silvio e Donald Trump, ho pensato che in quel virgolettato riportato non c’è molto di vero: non ritengo verosimile che al suo acume sia sfuggita la somiglianza non tanto personale – che pure in qualche tratto c’è – quanto di postura politica fra suo padre e l’ex (e futuro?) presidente degli Stati Uniti.
La stessa aggressione mediatica
Stando a quel virgolettato, secondo lei Donald Trump rappresenterebbe “la paura, l’isolazionismo, il nazionalismo, l’estremismo, il radicalismo, il complottismo e il protezionismo”: questo è il ritratto che i detrattori vorrebbero appiccicare addosso a DJT – tra essi c’è il direttore del giornale che ha riportato questo suo presunto retroscena – con una tecnica narrativa che lei ben conosce perché suo padre l’ha subìta sulla sua stessa pelle per tutto il tempo che è stato protagonista politico di questo Paese: nemmeno ho iniziato a scriverle questa epistola e già mi imbatto in una cosa che suo padre e Donald Trump hanno in comune.
Già la sola ragionevole probabilità che non le sarà sfuggita, l’identica modalità di aggressione mediatica verso suo padre e verso DJT – tra l’altro dalle stesse testate, dai medesimi commentatori e con tesi sovrapponibili – mi è sufficiente per non credere che lei abbia realmente pronunciato quel virgolettato ma anzi sia ben cosciente che quel parallelismo sotto molti aspetti esiste. Mi propongo però di darle ragioni per rivendicare addirittura l’accostamento.
Elettorato demonizzato
Rivendicare però che cosa? Anzitutto, nella scelta di rappresentare la società profonda e tagliata fuori dai salotti buoni e i circoli che contano: Trump e Berlusconi hanno rappresentato – e Trump rappresenta ancora – una speranza per quella gente normale che già si era rassegnata alla vittoria di quelli che hanno la smania di normare qualunque ambito della vita, di mettere le mani nelle tasche dei cittadini, di decidere cosa è lecito dire nel discorso pubblico e cosa invece no, e parlo ovviamente dei progressisti di Occhetto in Italia e di Hillary Clinton negli Usa (e in questo secondo caso Hillary avrebbe addirittura rappresentato una continuazione degli 8 anni precedenti che erano stati sotto quello stesso tenore).
Il parallelismo potrebbe andare avanti nell’identico modo con cui è stato trattato l’elettorato che li ha votati sbarrando la strada ai vincitori annunciati sopra descritti: l’elettorato di suo padre è stato descritto come una massa di imbecilli bifolchi quando non addirittura come una massa di omertosi nei confronti di un delinquente, esattamente i toni che sono usati nei confronti di chi ha scelto e sceglierà di votare Trump.
E invece no: le vittorie elettorali di Berlusconi e Trump sono state non le vittorie decretate dagli imbecilli-bifolchi-omertosi sull’onda della paura, dell’estremismo, del radicalismo, del complottismo, ma le vittorie di due leader che avevano fatto una cosa che tutta la classe politica in quel momento storico non aveva fatto: ascoltare il malessere del rispettivo Paese lontano dal racconto “ufficiale” e prenderlo per mano, badando poco all’estetica dei benpensanti e molto invece al sodo.
MAGA e Forza Italia
E circa il nazionalismo, usato come aggettivo dispregiativo: per un ex elettore di Forza Italia come chi scrive – ci sarebbe da discutere sul perché sono ex, ma non è questo lo scopo della missiva – quel reaganiano Make America Great Again sentito da al di qua dell’Atlantico fa simpatia proprio perché richiama alla mente sia quel “l’Italia è il Paese che amo” sia il nome dello stesso movimento creato da suo padre, Forza Italia, un invito a rimboccarsi le maniche per il proprio Paese e ridargli il posto e la dignità che le compete. In una parola: nazionalismo, declinato però nel senso più puro e positivo del termine, cioè patriottismo, senso di appartenenza, voglia di riscatto e di ricostruire.
La politica estera
Parlavo prima anche di “badare al sodo” come tratto comune, e questo è particolarmente vero in politica estera dove sia SB sia DJT si sono permessi il lusso di mandare in frantumi le ideologie e prassi consolidate scegliendo di muoversi bilanciando i valori delle nostre società con la necessità di tenere i canali di dialogo aperti nella consapevolezza che sulla scena ci sono anche altri attori.
Sul lato delle posizioni di principio, il miglior esempio è la comune vicinanza a Israele di suo padre e DJT, sebbene spesso non sia né facile né popolare né politicamente conveniente esserlo: entrambi hanno però sempre difeso lo Stato ebraico ritenendolo un baluardo di democrazia e avamposto occidentale nel mezzo di un’area del mondo che democrazia e valori occidentali vorrebbe spazzarli via.
In tema di realpolitik: le critiche ricevute da Trump per non aver mai chiuso a Putin – senza che peraltro questo abbia mai costituito un appeasement, anzi – o aver dialogato anche con i vari Kim del mondo non le sembrano simili a quelle ricevute da suo padre per aver parlato con quello stesso Putin anche in momenti di massima tensione, o per aver aperto un canale di dialogo con Gheddafi?
Proprio quel canale con Gheddafi, tuttavia, fu fondamentale per mettere uno stop all’immigrazione illegale: quel governo Berlusconi, mediante la sua politica estera che a qualcuno faceva storcere il naso, centrò uno dei suoi più importanti obiettivi di politica interna che era quello di contrastare l’immigrazione illegale. Ma sbaglio o il contrasto dell’immigrazione illegale è uno dei punti principali dell’agenda Trump?
Il coraggio
Direi che le ho elencato più di un argomento per concludere che nella testa degli elettori e per posizionamenti politici suo padre e DJT possono essere accostati. Certo che tutto ciò che le ho qui esposto a lei non fosse sfuggito, la invito a smentire virgolettati come quello comparso su Il Foglio, rivendicando con orgoglio che senza la storia politica di suo padre ad aprire la strada, forse non ci sarebbe stata, ispirata, quella di Trump e la invito a farlo con quel coraggio che suo padre ha avuto per tutta la vita pur consapevole che sarebbe diventato un bersaglio: proprio come DJT, anche in questo.
Anzi, cara Marina, le lancio una provocazione: e se invece dei saggi di Tony Blair, la ricostituita “Silvio Berlusconi Editore” desse di nuovo alle stampe un certo libro intitolato “The Art of the Deal”?