Negli ultimi anni, la situazione delle carceri italiane è diventata sempre più critica, con il sovraffollamento che rappresenta uno dei problemi principali. Questo fenomeno non solo peggiora le condizioni di vita dei detenuti, ma ha anche un impatto devastante sulla salute mentale, portando a un aumento preoccupante del numero di suicidi all’interno degli istituti penitenziari.
Le carceri italiane sono sovraffollate, con un tasso di riempimento che supera spesso il 120 per cento. In alcune strutture, il numero di detenuti è ben oltre la capacità massima prevista. Questo significa che molte persone sono costrette a vivere in spazi angusti, senza la possibilità di accedere a servizi essenziali come l’assistenza sanitaria, il supporto psicologico, o persino l’attività fisica all’aperto.
Il sovraffollamento crea inevitabilmente un ambiente di tensione costante, dove le risorse sono limitate e i conflitti tra i detenuti, così come tra detenuti e personale, sono all’ordine del giorno. Questa situazione esaspera ulteriormente le condizioni psicologiche dei reclusi, molti dei quali già affrontano problemi di salute mentale prima ancora dell’incarcerazione.
Allarme suicidi
Negli ultimi anni, il numero di suicidi nelle carceri italiane ha raggiunto livelli allarmanti. Secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, solo nel 2023, si sono registrati oltre 70 suicidi, il numero più alto dell’ultimo decennio.
I detenuti più vulnerabili, inclusi quelli con problemi di salute mentale o con storie di abuso di sostanze, sono particolarmente a rischio. La mancanza di supporto psicologico adeguato, combinata con l’isolamento sociale e la disperazione, spinge molti di loro a compiere gesti estremi. Inoltre, l’insufficienza grave del personale penitenziario rende difficile monitorare efficacemente tutti i detenuti e intervenire in tempo per prevenire queste tragedie.
Non si può mettere a rischio la vita di chi, giustamente, deve scontare la propria pena a causa di una situazione come questa che si è venuta a creare. Aggiungo, inoltre, che la presenza di extracomunitari che delinquono è in aumento e ciò va a gravare ulteriormente sulle nostre strutture carcerarie, non solo in termini di spazi ma di culture diverse e non sempre compatibili.
Possibili soluzioni
Nonostante il crescente numero di suicidi e il sovraffollamento cronico, le risposte della politica sono spesso inadeguate. Le misure proposte, come la costruzione di nuove carceri o l’aumento del personale, non affrontano alla radice il grave problema. L’approccio punitivo, che vede il carcere come la soluzione principale per la gestione della criminalità, continua a prevalere, a scapito di soluzioni alternative come le pene non carcerarie per reati minori, i programmi di riabilitazione e il rafforzamento delle misure di prevenzione. E soprattutto evitare la carcerazione preventiva per (presunti) reati di natura fiscale o comunque di lieve entità.
C’è da dire che la lentezza burocratica e la mancanza di fondi aggravano ulteriormente la situazione. Anche gli interventi di riforma, come quelli appena licenziati dalla recente legge sul sovraffollamento carcerario, sono un timido strumento seppur utile, per tentare di arginare il problema.
Per affrontare in modo efficace la crisi del sovraffollamento e dei suicidi nelle carceri italiane, è essenziale proprio un cambio di paradigma. È necessario passare da un modello punitivo a uno rieducativo e preventivo, incentrato sui diritti umani e sulla dignità delle persone.
Le soluzioni devono includere la depenalizzazione di reati minori, l’espansione delle misure alternative alla detenzione e un maggiore investimento in servizi di supporto psicologico e sociale. In particolare, è fondamentale migliorare l’accesso ai servizi di salute mentale per i detenuti, garantendo che coloro che mostrano segni di disagio psicologico possano ricevere l’assistenza di cui hanno bisogno in modo tempestivo.
Servono riforme strutturali
Il sovraffollamento delle carceri italiane e il crescente numero di suicidi sono problemi urgenti che non possono più essere ignorati. Questi fenomeni rappresentano non solo una crisi umanitaria, ma anche una violazione dei diritti umani fondamentali.
Comunque la si pensi, il carcere è una forma di rieducazione, non la tomba per chi delinque. Il nostro è uno Stato nel quale non si contemplano misure costrittive di fine vita ma si vede il carcere come uno spazio nel quale si può cambiare la propria condizione sociale e morale, tale da uscirne migliori.
È urgente che il governo, le istituzioni e la società civile collaborino per mettere in atto riforme strutturali che possano garantire condizioni di vita dignitose e sicure per tutti i detenuti, ed anche, diciamolo, per tutti coloro che ci lavorano spesso in condizioni di grande disagio, salvaguardando al contempo la loro salute mentale e il loro diritto alla vita.
Non è con “liberi tutti” che si danno risposte, si provocherebbe l’indignazione di chi ha subito reati e violenze e ciò non sarebbe giusto. Si può giustamente rivedere il concetto di fine pena per chi ha commesso reati minori e ha dimostrato di aver compreso l’errore. E soprattutto nessun carcere preventivo in assenza di prove certe e basta con le attese di giudizio dai tempi elefantiaci.
Quanti in stato di arresto vengono poi considerati innocenti? Chiediamocelo.