In questi giorni in cui il gran caldo sembra lasciare il passo a un piacevolissimo – seppure temporaneo – refrigerio, il tema delle carceri è al centro dell’agenda politica e mediatica. Un fatto che è naturale conseguenza di due fattori tra loro collegati: da un lato il decreto Nordio che vuole mettere mano alla situazione esplosiva del sistema penitenziario italiano; dall’altro lato l’oggettiva e generalizzata condizione di disagio che grava sull’universo carcerario. Universo sempre più segnato dal dolore, dal sentimento di impotenza e di ingiustizia, gravido di impulsi autolesionisti e antisociali.
Tre principi violati
Siamo di fronte ad una questione sostanziale: le statistiche carcerarie mostrano il fallimento dello Stato, l’incapacità dell’ecosistema penale di attuare ciò che la nostra Costituzione prevede all’articolo 27, che contiene, dopo l’iniziale statuizione sulla responsabilità penale personale, tre principi che dovrebbero irradiare il funzionamento generale della macchina giudiziaria.
Il primo principio che pone l’art. 27 è quello liberale o garantista, quando afferma che l’imputato non è considerato colpevole fino al momento in cui non sia stato considerato colpevole nel terzo e ultimo grado di giudizio. Principio, questo, violato quotidianamente attraverso lo strumento delle misure cautelari che consistono, nei fatti, in una pena anticipata inflitta in assenza di un giudizio definitivo che stabilisca la presenza o l’assenza di illeciti penali.
Il secondo principio stabilito dall’art. 27 potrebbe essere definito principio umanitario: poiché sancisce il divieto nei confronti del potere punitivo di comminare pene che siano contrarie al senso di umanità. Questo secondo principio chiama in causa un valore, quello della dignità umana, che può essere visto come architrave di tutti gli altri diritti fondamentali attinenti la persona: poiché non vi può essere godimento di alcun diritto se, anteriormente o contemporaneamente non venga garantito il rispetto della dignità dell’uomo. Le statistiche relative al numero elevatissimo di suicidi in carcere e le caratteristiche architettoniche, vetuste e fatiscenti, di molte strutture penitenziarie sono una chiara violazione del secondo principio umanitario.
Il terzo e ultimo principio, direttamente collegato al secondo, è il principio rieducativo o riabilitativo: la Costituzione, e nello specifico l’art. 27, istituisce come ulteriore obbligo, gravante nei confronti del potere punitivo, quello di garantire che l’esecuzione della pena – in un ottica temporale prospettica – sia finalizzata alla rieducazione del soggetto punito, ovvero al suo
reinserimento nella società civile. Anche tale principio è costantemente tradito e inattuato laddove le attività riabilitative in carcere sono spesso carenti o in molti casi del tutto assenti. Prova ne è l’importante percentuale dei soggetti detenuti in recidiva, vale a dire persone finite più volte in carcere per aver commesso reati di natura similare.
Superare le differenze in Parlamento
La conseguenza di questa breve digressione è evidente: è giusto che la politica e i media rimettano al centro del dibattito pubblico una questione per troppo tempo taciuta. Così come sarebbe giusto, nel riguardo di una emergenza umanitaria e giuridica, adottare provvedimenti che sappiano superare le differenze particolari, all’interno di una coalizione politica, e partitiche, all’interno delle due assemblee rappresentative previste dalla Costituzione repubblicana.
Se è vero, come stabilito da Voltaire, che il grado di civiltà di una nazione si misura in base alle condizioni delle sue carceri, allora dovremmo seriamente preoccuparci per il nostro futuro. Poiché, stando a questo parametro, siamo un Paese terribilmente incivile. E la storia insegna che le nazioni incivili hanno sempre fatto una brutta fine.