Ci risiamo. Anche quest’anno stiamo per andare alle urne e, puntualmente, si ripetono le manfrine elettorali da ambo le parti. L’esito elettorale, sia quello per le elezioni europee, che per le regionali del Piemonte, è abbastanza scontato, con una probabile riconferma di un centrodestra più che mai trainato personalmente da Giorgia Meloni, che sicuramente si affermerà sulla sinistra velleitaria e confusa che abbiamo visto negli ultimi anni.
Altro discorso, sebbene l’andazzo non si discosti poi tanto rispetto alle politiche e alle europee, per le elezioni comunali. In questo caso, i fattori locali, quelli tipicamente legati alle vicende cittadine e all’eventuale malcontento per le quotidiane cosette di quartiere, come la nettezza urbana, gli autovelox, l’illuminazione stradale e consimili, fanno sentire il peso di una cittadinanza perlopiù scontenta di qualcosa, piuttosto che soddisfatta per qualcos’altro.
In sostanza, nelle città e nei paesi si vota contro un sindaco e la sua giunta, oppure si lascia tutto com’è. La crescita delle fin troppe liste concorrenti anche nei paesi al di sotto dei 10 mila abitanti, è, probabilmente, il solo elemento nuovo di questa tornata elettorale. Nulla di nuovo sotto il sole.
Cambiati i mezzi non la sostanza
Semmai, sono cambiati i mezzi della propaganda, più che la sostanza, ma le tarantelle che ci vengono suonate e/o ballate dai candidati sono le solite di sempre. Non uno di questi eroi che abbia il coraggio di dire chiaramente ch’egli si candida, più che per amor di patria, per la prosaica ma condivisibile aspirazione di diventare (o rimanere) uno che conta, per gestire la sua fettina o fettona di potere.
Nulla vi sarebbe di male, dopotutto, ad ammettere di essersi candidati per ambizione e desiderio di occupare una posizione di rilievo, con ciò che ne consegue. Quello, solo quello, è, alla fine, il motivo per cui ci si propone al voto. Il resto sono balle, più o meno ben raccontate. Con ciò, non voglio dire che qualcuno tra questi martiri della politica non possa essere sinceramente convinto di utilmente mettere a disposizione della collettività le proprie conoscenze e capacità, ma la manfrina del “lo faccio per voi” potrebbero anche risparmiarcela, non siamo scemi. Lo fanno per loro.
Minestre riscaldate
Mi sia concesso uno di quei passaggi logici che tanto m’appassionano. Se non fosse come io sostengo essere, la regola base della candidatura dovrebbe, pressappoco, essere questa: ho molte e valide idee da realizzare per la comunità, ergo mi candido. Temo invece che succeda quasi sempre il contrario: 1. Mi candido. 2. Se verrò eletto, qualcosa di buono da fare mi verrà in mente.
La prova di questa non rispettabilissima strategia elettorale ci viene distribuita a piene mani da molti candidati, nei loro stessi discorsi. L’assenza di un programma realizzabile e coerente è il comune denominatore di tante chiacchiere elettorali, peraltro condensate in denominazioni di lista scontate, ripetitive e assolutamente indicative della totale assenza di originalità e capacità di cambiamento reale (sempre ammesso che sia necessario cambiare).
Non v’è Comune in Italia in cui non si voti per “cambiAMO Paperopoli”, “Insieme per Paperopoli”, “Paperopoli unita” ecc. Si ripete, dunque, il noioso e mediocre rito del ritenere gli elettori dei deficienti, ammannendo loro slogan vecchi come il cucco e simboli in cui primeggiano il solito sole (benché quello dell’avvenire è tramontato da un pezzo), oppure i soliti ridenti prati e succosi vigneti a perdita d’occhio, quando non sia la solita torre comunale di cui, per nostra fortuna storica, abbondiamo ovunque.
Mi si dirà che sono dettagli, ma non mi troverete d’accordo: non lo sono affatto. Sono la misera sostanza di una minestra di bassissima qualità che ci viene riproposta, riscaldandola oltre ogni sopportabilità.
Il partito dell’astensione
E che dire del partito degli astenuti? Esso esiste soltanto nelle menti bacate di quelli che, avendo perso malamente le elezioni, lo resuscitano ogni volta per sviare da loro la colpa della sconfitta. La realtà è che l’elettorato (non solo italiano, ma in ciò primeggiamo) è stufo, stramazzato al suolo per le attuali formule elettorali cerebrotiche, per certi raggruppamenti elettorali trasversali che gridano vendetta, per le schede strapiene di simboli che aumentano la confusione e il disamore per la politica in generale.
Croci a casaccio
Più si complicherà il meccanismo elettorale, in nome della ricerca di una perfezione impossibile (perché la politica è e resterà sempre tutt’altro che perfetta), tantopiù si voterà alla cazzo, ovviamente senza dire in giro di averlo fatto, comunque sprecando voti o attribuendoli ai candidati che non s’intendeva premiare.
Che la gente comune, ossia il 90 per cento degli elettori, del Porcellum, del Mattarellum o del Rosatellum non soltanto non ne capisca una beata, beninteso, non meno di quanto alla gente stessa importi, è un dato di fatto.
Moltissimi saranno, anche stavolta, quelli che metteranno croci a casaccio. È inevitabile quanto direttamente conseguente alla crescente distanza tra il popolo e il palazzo. Abbiamo voluto la sacrosanta democrazia e per essere perfettamente democratici ne abbiamo complicato a dismisura le regole.
Metà Costituzione è stata riscritta in un lasso di tempo tutto concentrato negli ultimi quindici- vent’anni, dopo quasi settant’anni di rispettosa osservanza senza averne mai cambiato un solo comma. Che abbiano fatto bene o meno lo lascio giudicare a voi, ma stiamo pericolosamente complicando le regole fondamentali del vivere assieme e ciò non aiuta a tirare dritto per una via maestra. È come se, sull’autostrada, trovassimo un cartello indicatore ogni dieci metri, rendo l’idea?
Buon voto a tutti.