Il caso delle violenze nella notte di Capodanno a Milano sembra allargarsi. Abbiamo chiesto un’analisi dello stato dell’immigrazione islamica in Italia, dalle seconde generazioni alla questione del velo integrale, a Souad Sbai, saggista e politica, di origine marocchina, cittadina italiana dal 1981, dal novembre 2021 membro dell’Osservatorio diritti umani del Ministero della cultura e dal luglio 2021 responsabile del Dipartimento integrazione e rapporti con le comunità straniere presenti in Italia della Lega. Nel 2008 è stata eletta parlamentare nelle liste del Popolo delle Libertà.
Cosa dicono di noi
ANNA BONO: Nella notte di Capodanno si sono verificati in Italia episodi di violenza di cui sono stati protagonisti immigrati di seconda generazione e immigrati illegali la cui richiesta di protezione internazionale è stata accolta. Una forma di violenza su cui soffermarsi è quella verbale, gli insulti rivolti da ragazzi nordafricani contro l’Italia in piazza del Duomo a Milano. L’ostilità e il disprezzo nei nostri confronti derivano tanto dalla rappresentazione di noi italiani come razzisti, fascisti e xenofobi che certe ong, associazioni e personalità politiche continuano a propagare. Anche moschee e centri culturali islamici hanno delle responsabilità? Sappiamo cosa dicono di noi, dell’Italia e della nostra cultura gli imam nelle moschee italiane?
SOUAD SBAI: La situazione sta degenerando e una parte delle seconde generazioni, insieme ai richiedenti asilo e ai minori non accompagnati, sta creando un problema di sicurezza su tutto il territorio italiano. È chiaro che in alcuni centri o moschee “fai da te” non controllate si alimentano odio e confusione, fomentando l’estremismo e richiamando all’odio verso l’Occidente e verso tutti gli “infedeli”. Questa violenza la notiamo in quasi tutta Europa. Non hanno la minima intenzione di integrarsi. Si tratta di un’emergenza.
La militanza jihadista
AB: Dal disprezzo e dall’ostilità alla militanza jihadista… come si deve e si può intervenire per scongiurare questo pericolo?
SS: Chiudere immediatamente i centri irregolari, le moschee “fai da te” e anche i centri culturali non controllati. Per affrontare il fenomeno della militanza jihadista, è fondamentale un approccio multidimensionale. Questo include l’educazione, la prevenzione e il rispetto delle regole.
È importante coinvolgere le scuole nel monitorare e isolare le ideologie estremiste. È fondamentale bloccare tutti i finanziamenti che arrivano dall’estero, da paesi che vogliono creare e alimentare confusione sul territorio italiano, come sta facendo adesso la Francia e il nord Europa. La prevenzione della militanza jihadista deve necessariamente includere un’analisi delle ideologie che possono attrarre i giovani.
Gli interventi di prevenzione dovrebbero mirare a coinvolgere i giovani in attività che possano sviluppare un senso di appartenenza e identità positiva all’interno della società italiana. Le istituzioni dovrebbero inoltre collaborare con le scuole, i centri di accoglienza e le carceri per sviluppare programmi che affrontino non solo le cause immediate, ma anche le radici del radicalismo.
C’è chi si oppone
AB: La pressione dei gruppi integralisti, ovunque nel mondo, può essere vinta solo dai musulmani; solo loro possono screditare chi milita nel jihad e isolarlo. Tra i musulmani che vivono in Italia, ci sono quelli impegnati a contrastare l’integralismo e il jihad?
SS: Sì, ci sono musulmani in Italia che si oppongono attivamente all’integralismo e al jihad, ma la loro voce non viene né ascoltata né supportata. È importante sostenere e dare visibilità a queste voci, poiché possono fungere da modelli positivi per i giovani radicalizzati e contribuire a isolare le ideologie estremiste.
In Italia manca la certezza della pena e dell’espulsione, perché il foglio di via non viene mai rispettato. Proprio in questi giorni in Francia molti musulmani moderati stanno denunciando gli estremisti violenti attivi sui social e si stanno verificando molte espulsioni di immigrati algerini. Spero che in Italia si possa prendere più coraggio, isolando le mele marcie.
Una legge anti-burqa
AB: Passando alla “legge anti-burqa” approvata in Svizzera, la legge italiana proibisce di coprire il volto “senza giustificato motivo”. Il rispetto dei comandamenti, delle prescrizioni e delle norme religiose, in altre parole la libertà religiosa, va tutelato, e l’islam prescrive alle donne norme di comportamento e di abbigliamento.
Tuttavia, in pratica, nel caso dell’abbigliamento, si va dal coprire il capo al nascondere tutto il corpo. Inoltre, decine di milioni di donne musulmane, praticanti e devote, non usano nessun tipo di velo. È importante, non solo ai fini legali, capire quanto l’adozione del velo islamico, nelle sue diverse modalità, abbia a che fare con la religione e quanto invece con norme e prescrizioni preislamiche, tribali e patriarcali. Souad, ci può aiutare a capirlo?
SS: Una legge ad hoc per proibire il velo integrale, come ha fatto la Svizzera, in vigore dal 1° gennaio 2025, contribuirebbe a creare un ambiente più sicuro e, perché no, una scelta di buon senso. Bisogna considerare diversi aspetti, soprattutto dal punto di vista della sicurezza nazionale, aspetto fondamentale. È un argomento cruciale in un’epoca in cui ci sono crescenti preoccupazioni riguardo al terrorismo e alla criminalità; il niqab o il burqa possono infatti suscitare inquietudini legate all’anonimato e alla difficoltà di identificare le persone.
È essenziale garantire la sicurezza dei cittadini e ritengo che una legge che limiti l’uso di questi indumenti possa contribuire a creare un ambiente più sicuro. Inoltre, una legge che limita l’uso del velo integrale potrebbe essere un passo avanti verso una maggiore visibilità e maggiore partecipazione delle donne musulmane nella società, facilitando il loro accesso a opportunità lavorative per un’autentica integrazione.
È solo attraverso una legge chiara che possiamo aiutare molte donne che subiscono vessazioni e si ribellano a un’imposizione. La prima cosa che queste donne fanno quando arrivano nella nostra associazione è togliere il velo che è stato loro imposto, anche se si tratta del più semplice hijab che lascia il volto scoperto. Questo gesto simboleggia non solo una liberazione personale, ma anche una scelta consapevole e autonoma.
È importante sottolineare che molte di loro non hanno mai indossato il velo nei loro paesi di origine. L’islamologa marocchina Asma Lemrabet, studiosa scientificamente autorevole e rispettata, ritiene che nel Corano non si trovi traccia dell’obbligo del velo femminile.
Avendo raggiunto tale consapevolezza, Asma ha deciso di dismettere l’hijab che portava fin da bambina, vincendo finalmente la soggezione nei confronti di un’imposizione che contrasta con la spiritualità islamica, con buona pace dei militanti dei Fratelli Musulmani, dei salafiti e del regime khomeinista iraniano, senza dimenticare i Talebani e gli estremisti vari. Si tratta di una divisa ideologica promossa dai fondamentalisti e non dalla religione.
Mutilazioni genitali e matrimoni combinati
AB: Una bambina musulmana decide di indossare il velo islamico o è costretta a farlo dai suoi familiari? Se si tratta dell’hijab può farlo e tante ne vediamo nelle nostre città. Preoccupa il fatto che sia a rischio, e più di altre, di subire o accettare delle istituzioni inammissibili: in particolare, le mutilazioni genitali femminili e il matrimonio combinato, due istituzioni che come sappiamo sono praticate in Italia. Lei che cosa ci può dire in proposito?
SS: La questione dell’hijab e delle pressioni familiari è delicata. È fondamentale garantire che le bambine e le adolescenti abbiano la possibilità di scegliere liberamente come vestirsi, senza subire pressioni o coercizioni.
Le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni combinati sono inaccettabili, fenomeni da combattere con fermezza. È essenziale lavorare per sensibilizzare le famiglie e le comunità, promuovendo i diritti delle donne e delle bambine e garantendo che non siano soggette a pratiche dannose. L’educazione è un potente strumento per prevenire tali violazioni dei diritti umani.
Contrastare il fenomeno richiede però grande impegno da parte delle istituzioni. È fondamentale promuovere campagne di sensibilizzazione che informino le comunità musulmane, sottolineando che non si tratta di pratiche proprie dell’islam, ma piuttosto di contesti culturali tribali.
Per quanto riguarda le spose bambine, si tratta letteralmente di corpi dati in pasto a mostri. Creature innocenti di 8, 9, 10 anni che subiscono violenze e un destino di atroce sofferenza. In Italia, vengono spedite al “marito” nei paesi di provenienza, oppure sono recluse in casa e tenute sotto chiave.
Poi, c’è chi riesce a chiedere aiuto e chi, purtroppo, non ce la fa, come nel resto del mondo. Malgrado le varie prese di posizione e le “giornate per…”, il fenomeno non accenna a diminuire, poiché alimentato dalla retorica delle presunte differenze culturali da tutelare. In tal modo però, si è soltanto spianata la strada alla barbarie.