Domenica 12 e lunedì 13 febbraio si voterà per eleggere il nuovo presidente della Regione Lazio. È finita l’era Zingaretti. Sic transit gloria mundi. Si chiude una parentesi rovinosa, contraddistinta dall’inefficienza dei servizi, dalla pioggia di nomine pilotate – vedasi il rinnovo last minute dei contratti per i dirigenti pubblici – e dal florilegio di scandali, come l’inchiesta sulle mascherine fantasma.
Il connubio Pd-5Stelle
Il Lazio è la regione che ha sperimentato per prima il connubio mortifero Pd-5Stelle, con il secondo partito che nel 2018 era all’opposizione della giunta Zingaretti.
Ricorderete Roberta Lombardi, ex candidata grillina alla presidenza, mentre lanciava i peggiori anatemi contro il centrosinistra. Non appena è diventata assessore alla Transizione ecologica e digitale, però, il suo cruccio si è aperto in un sorriso; i giochi di palazzo fanno nascere delle eccezionali alchimie.
Dieci anni di incompetenza mista ad immobilismo sono stati più che sufficienti. Per questo motivo, è necessario che il centrodestra risolva tempestivamente le criticità ereditate da Zingaretti & co. Ma i presupposti dovranno essere chiari fin da subito.
Attenzione alle province senza trascurare Roma
Lo sviluppo di Viterbo, Rieti, Frosinone e Latina è stato eclissato dall’attenzione morbosa – ma inconcludente – verso la Capitale, che certo non brilla di luce propria. Occorre garantire la sinergia tra il cuore della regione e i territori periferici, dove è evidente la stagnazione del tessuto produttivo e la crisi del settore imprenditoriale.
Al tempo stesso, è un impegno prioritario valorizzare le potenzialità inespresse di Roma. Per risultare al passo con le altre metropoli europee, Roma deve diventare dinamica, moderna, avere un appeal internazionale che vada al di là del parco a tema. Quest’ambizioso traguardo può essere raggiunto se si fanno investimenti mirati, non se si sperperano i soldi dei contribuenti in progetti discutibili.
Sanità: il cuore della governance regionale
Francesco Rocca è stato presidente della Croce Rossa dal 2013 ad oggi, mentre il suo competitor, Alessio D’Amato, ha ricoperto l’incarico di assessore alla sanità.
Va da sé che la sfida elettorale sarà centrata su ospedali e salute: un confronto tra lo status quo e l’eccellenza italiana del volontariato. Si punti sull’innovazione tecnologica, sul rafforzamento delle competenze manageriali e sull’abbattimento delle liste d’attesa.
Attenzione ai vecchi errori. Proprio sulla sanità sono inciampate le presidenze Storace e Polverini, le uniche di centrodestra nel Lazio. Vista la delicatezza del comparto, che presenta debiti da capogiro (22,7 miliardi a inizio 2020), anche un solo passo falso può portare alle dimissioni.
Per un Lazio liberale
Il “paradiso” dello Stato usurpatore deve lasciare il posto al laissez-faire per guadagnare competitività. Bisogna intraprendere misure antistataliste in fretta e furia: privatizzare il più possibile i carrozzoni regionali, sfoltire la copiosa burocrazia, favorire la decontribuzione del lavoro e tagliare le imposte.
Agire nel segno del pragmatismo è la chiave del successo. Un’esperienza finalizzata al buon governo non può dire di no ai termovalorizzatori o esitare all’idea di potenziare le infrastrutture. È opportuno, dunque, scongiurare le derive avventuriste e le querelles ideologiche. E qui arriviamo al quarto punto.
Occhio alle sirene della destra sociale
“Basta con gli slogan degli statalesi”, per citare il presidente di Liberisti Italiani Andrea Bernaudo. La tradizione capitolina della destra sociale altro non è che socialismo di destra, poco dissimile dall’idolatria per il big government che anima l’ala sinistra della Pisana.
La destra sociale non è un unicum italiano. Quest’insolito ibrido tra policies di destra e dirigismo economico esiste anche nei Paesi del Commonwealth. I red tories, paternalisti restii al libero mercato, rappresentano una parte importante dei partiti conservatori in Regno Unito, Canada e Australia.
In Italia, Lazio incluso, abbiamo bisogno di più Friedman, meno Keynes.
Civismo, non mediocrità
Ultima, ma non per importanza, una considerazione sui candidati “civici”. Coinvolgere un indipendente alle elezioni regionali non è un male, a patto che il nome sia abbastanza noto e, soprattutto, non troppo sbiadito politicamente. E la professionalità deve essere accompagnata dalla prontezza dei riflessi.
È partito l’accanimento mediatico contro Francesco Rocca: alcune testate denunciano i suoi trascorsi giovanili, in particolare l’essere caduto in giri di spaccio a 19 anni. Strumentalizzazioni che rasentano i bassifondi del giornalismo.
Gli ipocriti dimenticano un dettaglio. Rocca ha cambiato vita dopo il carcere, unendo alla pratica forense la lotta contro la mafia (cinque gli anni sotto scorta) e il sostegno ai giovani travolti dal suo stesso incubo.
Il compito del futuro presidente? Dimostrare la massima fermezza di fronte agli attacchi dell’ultima ora. Ma non c’è spazio per gaffes o cadute di stile.
Il centrodestra badi ad evitare un Michetti-bis in Regione. Altrimenti la débâcle sarà alle porte, così come l’eventualità di un risultato… lapidario. Ipse dixit.