Politica

Come i costituzionalisti hanno degradato i diritti fondamentali

Diritti ampliati a dismisura e libertà negative annichilite. È ancora costituzionalismo questo? Persa la dignità di scienza che dovrebbe tutelare l’individuo dal potere

Costituzione diritti Lgbtq

Negli ultimi sessant’anni il costituzionalismo ha menato vanto, in pompa magna, della teoria dei diritti fondamentali, sino a degradarla a retorica ideologica e politicamente interessata.

I costituzionalisti hanno ampliato a dismisura il catalogo dei diritti fondamentali, ritenendo, non tanto implicitamente, di mostrarsi intellettuali acuti, giuristi particolarmente intelligenti e, soprattutto, consiglieri politici d’animo nobile quanto più ampliavano l’elenco dei diritti fondamentali bisognosi di “effettiva tutela”.

Libertà negative e positive

Sono finiti nel calderone dei diritti fondamentali, così, non solo le tradizionali libertà negative, ma anche una pletora di altre pretese, da quelle davvero inviolabili come la salute ad altre di certo discutibili come la casa per abitazione, la casa per studiare, l’indennità di disoccupazione, il trasporto gratuito, l’assistenza allo straniero, il diritto ad internet gratis (può apparire incredibile ma ci sono saggi di diritto costituzionale su questo ultimo diritto). E si potrebbe continuare all’infinito.

La dottrina era solita distinguere le libertà negative, quelle, vale a dire, per tutelare le quali non è necessario che alcuno faccia alcunché e che non necessitano di pretese economiche a carico del contribuente, dalle libertà positive (o diritti sociali) per realizzare le quali, invece, è necessario approntare un apparato amministrativo mastodontico e costosissimo.

Ebbene, la tendenza ad ampliare il catalogo dei diritti fondamentali, oltre a mettere in mostra costituzionalisti desiderosi di fare la figura degli studiosi trendy, di gente nobile che pensa al prossimo, dei buoni samaritani, insomma di star del welfare state che meritano applausi scroscianti di tanta parte del pubblico democratico, ha annichilito la differenza fra libertà negative (libertà di circolazione, libertà di pensiero, libertà religiosa) e diritti sociali.

Tanto è vero che in alcuni fra i più diffusi manuali di diritto costituzionale si legge oramai come la differenza libertà negative – libertà positive sia fallace perché, in realtà, tutto avrebbe un costo, cosicché il diritto a circolare liberamente non sarebbe prioritario rispetto a quello di avere internet gratis per 24 ore al giorno, perché anche per il primo diritto occorrono risorse per realizzare strade e approntare un apparato di sicurezza. Solo l’esercizio della discrezionalità del legislatore, dunque, può fare la differenza; e la discrezionalità, di solito, non si discute.

Tuttavia questa impostazione, a mio modo di vedere, ha trasformato il costituzionalismo in una visione miope, monoculare e forse non del tutto intellettualmente onesta.

I diritti come pretesa economica

Si tratta di una ricostruzione, infatti, che non tiene conto dell’altra faccia della medaglia dei diritti fondamentali. Il diritto, e questa è un’ovvietà, è una pretesa che l’individuo avanza verso qualche altro individuo.

Chi reclama il diritto all’abitazione sta in realtà pretendendo che qualcun altro metta a disposizione del denaro per realizzare gli alloggi.

Coloro che rivendicano il diritto al trasporto gratuito o l’indennità per questa o quella  “limitazione” che incide sulla “uguaglianza sostanziale”, pretendono, in definitiva, che qualcuno si rechi giornalmente al lavoro per accumulare il denaro che serve ad approntare servizi ed erogare diritti sociali.

Non esistono diritti fondamentali di carattere sociale (pensate i costituzionalisti sono arrivati a teorizzare i diritti fondamentali di terza e quarta generazione) ai quali non corrispondano pesantissimi oneri economici per il resto della collettività.

Questa seconda faccia della medaglia dei diritti fondamentali è stata ed è sottaciuta dalla scienza costituzionale ed è stata scoperta, possiamo dire solo di recente, grazie ai vincoli europei e a causa delle crisi economiche degli ultimi anni.

I vincoli di bilancio

I costituzionalisti, però, (con le ovvie eccezioni) hanno gridato per ogni dove il loro “non ci sto!” e hanno tranquillamente affermato in tutte le sedi che esistono diritti fondamentali la cui tutela e attuazione sono indipendenti dai vincoli di bilancio. Il che è come dire che abbiamo diritto all’acqua anche se non piovesse per secoli.

A dire il vero è accaduto anche di peggio, perché la dottrina costituzionalista (così ama auto definirsi) non ha accettato alcun vincolo sotto il profilo delle fonti costituzionali alla spesa pubblica, al deficit di bilancio o all’indebitamento complessivo. E per chi nutrisse ancora dubbi sarebbe sufficiente constatare la rabbiosa reazione della maggior parte dei costituzionalisti “old stile” all’introduzione delle norme sul pareggio di bilancio e ai vincoli europei sull’indebitamento.

Fortunatamente, la Corte costituzionale negli ultimi anni ha ricordato più volte come “senza soldi non si canti messa”, come si dice dalle mie parti, nemmeno la messa dei diritti sociali e la Corte dei conti sta tentando di diffondere il messaggio secondo il quale un sano bilancio delle pubbliche amministrazioni sia in realtà un fondamentale e primario bene pubblico (altro che teoria dei beni comuni di Stefano Rodotà!).

Appare chiaro come finché il sistema economico riesce a reperire risorse per un welfare state sostanzioso, per la tutela di diritti sociali davvero sui generis, non emergono particolari criticità nonostante l’incredibile dispendio di denaro pubblico. L’enorme ricchezza prodotta dal sistema capitalistico di mercato, verso il quale la maggior parte dei costituzionalisti ostenta disprezzo, consente di tollerare questo e tanto altro ancora.

Ma, come sempre nella vita, i guai affiorano quando cominciano a mancare i soldi. E tuttavia ad un dato di comune ed elementare esperienza si continua a replicare che i diritti non possono dipendere dai denari.

Del resto, però, anche in condizioni di costante crescita economica ci si dovrebbe interrogare sull’obbligo che la scienza costituzionale impone a ciascuno di noi di alzarsi la mattina e spaccarsi la schiena per soddisfare tutte le pretese sottese all’ampio catalogo dei diritti fondamentali. Vale a dire, senza alcun limite predefinito.

È ancora scienza?

La domanda allora sorge spontanea: è ancora scienza costituzionale questa? È ancora quella scienza nata intorno alla fine del Settecento per tutelare l’individuo dal potere dello Stato e quindi anche dal potere della maggioranza che comanda in un dato momento storico? Forse che invece il costituzionalismo ha perso la dignità di scienza che deve tutelare l’essere umano dalla barbarie del potere e soprattutto dal potere che si articola e manifesta nelle moderne democrazie di massa?

Fate una verifica: quanti studi esistono di costituzionalisti italiani che si sono preoccupati di individuare limiti inderogabili al livello della tassazione che lo Stato può imporre all’individuo?