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Come la Consulta ha demolito le bislacche tesi della Procura di Firenze

I giudici costituzionali costretti a ribadire l’ovvio di fronte alle tesi grottesche dei pm: anche chat whatsapp ed email sono corrispondenza, ha ragione il senatore Renzi

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La notizia oramai è nota: la Corte costituzionale ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzione con il quale il Senato della Repubblica ha contestato alla Procura presso il Tribunale di Firenze la facoltà di procedere al sequestro dei messaggi whatsapp e delle email del senatore Matteo Renzi senza previa autorizzazione della Camera d’appartenenza, come esige, invece, l’art. 68 della Carta fondamentale.

La grottesca tesi della Procura

Ciò che però un lancio d’agenzia così stringato e apparentemente esaustivo non dice al lettore disinteressato e poco avvezzo alle questioni giuridiche è che la Consulta si è dovuta occupare, nell’occasione, di una questione banale che è sconfinata nell’incredibile, nell’assurdo e nel grottesco.

I pm di Firenze, infatti, hanno avuto il coraggio di ritenere che i messaggi whatsapp e le email del senatore Renzi non rientrassero, nell’anno del Signore 2023, all’interno della nozione di “corrispondenza”, poiché con quest’ultima si dovrebbe intendere esclusivamente la corrispondenza cartacea, la vecchia e bella lettera in busta chiusa che mandavamo alla fidanzata, alla moglie o agli amici.

Per l’Ufficio della Procura tutte le comunicazioni che gli individui si scambiano tramite mail e per mezzo del telefonino, di qualsiasi carattere e natura, avente contenuto personale, familiare, politico o professionale, non rappresenterebbero corrispondenza e non sarebbero protette dalle garanzie dell’articolo 15 della Costituzione, in generale, e dalle guarentigie dell’articolo 68 Costituzione, in particolare, con riferimento ai deputati e ai senatori, cosicché il loro sequestro non necessiterebbe della previa autorizzazione della Camera di appartenenza.

Cosa ha detto la Consulta

Sembra uno scherzo, invece è tutto vero, tant’è che la Consulta è stata costretta a ricordare agli investigatori di Firenze che “Posta elettronica e messaggi inviati tramite l’applicazione WhatsApp (appartenente ai sistemi di cosiddetta messaggistica istantanea) rientrano, dunque, a pieno titolo nella sfera di protezione dell’art. 15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi. La riservatezza della comunicazione, che nella tradizionale corrispondenza epistolare è garantita dall’inserimento del plico cartaceo o del biglietto in una busta chiusa, è qui assicurata dal fatto che la posta elettronica viene inviata a una specifica casella di posta, accessibile solo al destinatario tramite procedure che prevedono l’utilizzo di codici personali; mentre il messaggio WhatsApp, spedito tramite tecniche che assicurano la riservatezza, è accessibile solo al soggetto che abbia la disponibilità del dispositivo elettronico di destinazione, normalmente protetto anch’esso da codici di accesso o altri meccanismi di identificazione. […] Sostenere il contrario, in un momento storico nel quale la corrispondenza cartacea, trasmessa tramite il servizio postale e telegrafico, è ormai relegata, nel complesso, a un ruolo di secondo piano, significherebbe d’altronde deprimere radicalmente la valenza della prerogativa parlamentare in questione”.

La Corte ha ricordato, poi, che chi avesse avuto un minimo di pratica della giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo avrebbe preso atto di una valanga di pronunce della Corte di Strasburgo che da più di un decennio considerano mail e messaggi whatsapp nel novero della corrispondenza.

Ma non è finita qui. Per respingere le tesi bislacche della Procura della Repubblica di Firenze la Consulta ha dovuto affrontare un’altra questione che appare davvero incredibile.

Riservatezza a termine

La riservatezza della corrispondenza di qualsiasi individuo, in generale, e del parlamentare, in particolare, è protetta solo nella fase antecedente alla ricezione dei messaggi e delle mail, e quindi la comunicazione e il supporto che la contiene possono essere sequestrati dopo la ricezione, perché a quel punto non si tratterebbe più di corrispondenza, o la tutela esige che la segretezza permanga anche dopo che il destinatario abbia inviato/ricevuto le comunicazioni?

Detto altrimenti, il messaggio whatsapp col quale confidiamo i nostri più intimi segreti al nostro partner, agli amici o ai parenti, è corrispondenza riservata in ogni tempo o una volta inviato/letto non è più protetto dalla legge e dalla Costituzione?

Questo l’interrogativo della Corte: “Il problema, però, è un altro: stabilire, cioè, se mantengano la natura di corrispondenza anche i messaggi di posta elettronica e WhatsApp già ricevuti e letti dal destinatario, ma conservati nella memoria dei dispositivi elettronici del destinatario stesso o del mittente (come quelli di cui si discute nella specie). Ed è su questo specifico punto che le parti prospettano tesi radicalmente contrapposte”.

I PM di Firenze hanno sostenuto che gli sms e le email non rappresenterebbero più “corrispondenza” dal momento in cui vengono ricevuti dai supporti elettronici (PC, telefono) di destinazione, cosicché da quell’istante in poi le comunicazioni archiviate sarebbero “documenti” sequestrabili e non più corrispondenza tutelata.

Insomma, la lettera in busta chiusa che contiene una confidenza di una persona a noi cara non può essere letta da nessuno, finché non l’abbiamo aperta, dopodiché sarebbe un mero documento e la magistratura potrebbe rovistare nei vostri cassetti per recuperarla e leggerla senza vincolo giuridico alcuno.

Fortunatamente la Consulta ha respinto anche questo sconveniente artificio retorico della Procura affermando che “Degradare la comunicazione a mero documento quando non più in itinere, è soluzione che, se confina in ambiti angusti la tutela costituzionale prefigurata dall’art. 15 Cost. nei casi, sempre più ridotti, di corrispondenza cartacea, finisce addirittura per azzerarla, di fatto, rispetto alle comunicazioni operate tramite posta elettronica e altri servizi di messaggistica istantanea, in cui all’invio segue immediatamente – o, comunque sia, senza uno iato temporale apprezzabile – la ricezione”.

La tutela dei parlamentari

In ultimo, il Giudice delle Leggi ha ricordato alla Procura di Firenze, l’ovvio, e cioè che la libertà e la segretezza della corrispondenza di un parlamentare sono previste a tutela dell’esercizio della sue funzioni costituzionali, per evitare che il deputato/senatore subisca ricatti e condizionamenti indebiti dalla diffusione pubblica delle sue comunicazioni riservate.

E appare evidente a tutti, conclude la Corte, che tale esigenza permanga sia quando la comunicazione viene sequestrata in itinere (nel suo viaggio fra mittente e destinatario) sia quando essa giace nel dispositivo elettronico che la conserva.

Ora, fra le varie accezioni del termine “corrispondenza” il vocabolario italiano elenca anche quella che fa riferimento al rapporto reciproco fra elementi diversi che devono dialogare in termini di mutua conformità, cosicché sorge spontaneo un interrogativo: siamo sicuri che ciò che ha fatto la Procura della Repubblica di Firenze “corrisponda” all’esercizio ordinario della funzione giurisdizionale?