“Non si invochi la libertà per sottrarsi alla vaccinazione, perché quell’invocazione equivale alla richiesta di licenza di mettere a rischio la salute altrui e in qualche caso di mettere in pericolo la vita altrui”.
Il monito sui vaccini
Ricorderete senz’altro questo infelice monito pronunciato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 5 settembre 2021 a Pavia, in piena pandemia. Infelice perché già allora sapevamo cosa ci diceva la Scienza. Così, impropriamente, si esprimevano i sostenitori dell’approccio dogmatico e autoritario all’emergenza Covid e così si esprimono, oggi, i climatisti. La Scienza con la “S” maiuscola, come una entità monolitica. Noi preferiamo ricordare cosa ci dicevano i dati e cosa ci diceva la stessa Pfizer.
Era noto già allora, infatti, che i vaccini non impediscono la trasmissione del virus, né erano stati testati dalle case farmaceutiche per quello scopo, per il semplice motivo che non ce n’era stato il tempo. Era una speranza che potessero anche impedirne la trasmissione, purtroppo svanita ben presto. Quindi il monito del presidente Mattarella si reggeva su un presupposto sbagliato, perché sottoporsi o sottrarsi alla vaccinazione era in fin dei conti una scelta che atteneva alla propria salute e alla propria vita, non a quelle altrui.
Il monito sul clima
Lo stesso schema di criminalizzazione di chiunque dubiti e non voglia conformarsi al racconto ufficiale lo ritroviamo oggi applicato al clima dallo stesso presidente Mattarella, in un passaggio del discorso pronunciato ieri durante la cerimonia del Ventaglio:
Di fronte alle drammatiche immagini di quel che è accaduto, al Nord, come al Centro, come nel Meridione, tante discussioni sulla fondatezza dei rischi, sul livello dell’allarme, sul grado di preoccupazione che è giusto avere per la realtà che stiamo sperimentando, appaiono sorprendenti. Occorre assumere la piena consapevolezza che siamo in ritardo. Bisogna agire.
Così il presidente Mattarella ha voluto in qualche modo squalificare le “discussioni” sul cambiamento climatico, bollandole come “sorprendenti”. Ci auguriamo che queste discussioni continuino ad essere lecite, sebbene “sorprendano” il Quirinale.
Ma certo, nel momento in cui l’allarmismo mediatico e la pressione sui cittadini sono arrembanti, e sta prendendo di nuovo piede la criminalizzazione di chi osi sollevare dubbi proprio sul grado d’allarme e sulle soluzioni, oltre che sulle cause, e persino a livello parlamentare si evoca il reato di “negazionismo climatico”, le parole del presidente Mattarella assumono un tono molto poco rassicurante.
Chissà se a “sorprendere” il presidente sono anche le “tante discussioni” di autorevoli scienziati, persino premi Nobel, per nulla convinti che sia in atto una crisi climatica, né che le attività umane siano un fattore decisivo del cambiamento climatico. C’è da sperare che la “sorpresa” del Quirinale non venga tradotta dagli operatori dell’informazione come un invito a restringere gli spazi e i tempi di parola delle voci non allineate.
L’attacco alla Commissione Covid
Ma del discorso di ieri del presidente Mattarella vogliamo sottolineare anche un altro passaggio, a nostro avviso ancor più grave. Stupefacente ci è sembrato infatti il suo attacco vagamente intimidatorio alla Commissione di inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid, la cui legge istitutiva è da poco stata approvata alla Camera ed è ora all’esame del Senato.
Dunque un vero e proprio intervento a gamba tesa del presidente che va ad influenzare l’iter parlamentare ancora in corso della legge, un oggettivo assist alle forze politiche, Pd e 5 Stelle, che quella Commissione vorrebbero a qualunque costo sabotarla.
Iniziative di inchieste con cui si intende sovrapporre attività del Parlamento ai giudizi della Magistratura si collocano al di fuori del recinto della Costituzione e non possono essere praticate. Non esiste un contropotere giudiziario del Parlamento, usato parallelamente o, peggio, in conflitto con l’azione della Magistratura. Così come non sono le Camere a poter verificare, valutare, giudicare se norme di legge – che il Parlamento stesso ha approvato – siano o meno conformi a Costituzione, perché questo compito è riservato, dall’art. 134, in maniera esclusiva, alla Corte Costituzionale. Non può esistere una giustizia costituzionale politica.
Pur senza citarla, il riferimento alla Commissione di inchiesta Covid è evidente. E qualcuno potrebbe maliziosamente intravedere nel suo attacco l’irritazione di chi si sente chiamato in causa, essendo stato il presidente stesso uno dei protagonisti apicali della stagione pandemica insieme, tra gli altri, ai premier Conte e Draghi e al ministro della salute Speranza.
Ricordiamo infatti che tutti gli atti su cui è stata edificata l’impalcatura normativa della gestione emergenziale sono stati validati dal Quirinale. E certo, lo capiamo, non farebbe piacere al presidente Mattarella che ora il Parlamento sconfessasse il suo operato come custode della Costituzione. Sarebbe un giudizio grave, come gravi però sono state per i cittadini le misure adottate dal legislatore e avallate e convalidate dal Colle.
Cosa dice l’art. 82 della Costituzione
Innanzitutto, qualcuno dovrebbe forse suggerire al presidente di rileggersi l’art. 82 della Costituzione sui poteri di inchiesta di ciascuna Camera.
Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La commissione di inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’Autorità giudiziaria.
Il nodo giuridico-politico
Il presidente avrebbe ragione a parlare di “contropotere giudiziario” se alla Commissione fosse attribuito il potere di emettere o annullare sentenze, o far decadere leggi per illegittimità costituzionale. Ma evidentemente non è questo il caso e non potrebbe mai esserlo.
Ma che il Parlamento non abbia il potere di revisionare l’operato dei governi, e il suo stesso operato durante una stagione emergenziale, per verificare la ragionevolezza, la proporzionalità, l’efficacia, la compatibilità con i principi fondamentali della nostra democrazia delle severe misure restrittive imposte ai cittadini, non sta scritto da nessuna parte. Nient’altro che tale verifica si prevede alle lettere t), u), v) del contestato art. 3 della legge istitutiva della Commissione d’inchiesta.
Sostenere che il Parlamento non possa effettuare una valutazione politica ex post, a mente fredda, della congruità delle misure adottate, della legittimità di obblighi e restrizioni, dell’utilizzo dello stato di emergenza e dello strumento della decretazione d’urgenza, ci pare un attacco alle sue prerogative. Proprio il Parlamento è invece la sede più appropriata per tale scrutinio.
Come ha più volte sottolineato nei suoi articoli il nostro Gianluca Spera, la sede più idonea per indagare la gestione dell’emergenza Covid è quella politica, parlamentare, non giudiziaria (come accadde per Tangentopoli, con le derive che conosciamo). E il nodo è giuridico-politico, non medico-scientifico.
Si è agito su libertà fondamentali con atti amministrativi (nazionali o locali). Non occorre neppure richiamare il sistema delle gerarchie delle fonti perché l’incongruità appare talmente macroscopica che sarebbe facilmente rilevabile anche da una neo matricola della facoltà di giurisprudenza. Se la Commissione non vuol essere un’occasione sprecata, deve concentrarsi proprio su questo aspetto fondamentale: quali sono i limiti di un legislatore durante un’emergenza? Qual è il perimetro che deve osservare per non esorbitare dalle sue prerogative e non invadere il campo dei diritti costituzionalmente protetti?